Mentre il paese si prepara alle elezioni politiche (26 - 28 marzo) la posizione del presidente al-Sisi sembra rafforzarsi. Per molti elettori, i cristiani in testa, considerano al Sisi l’unica risorsa che possa evitare il ritorno al potere della Fratellanza musulmana.
ENGLISH -
ESPAÑOL -
“È meglio scegliere una persona che conosco piuttosto che una sconosciuta. Così recita un proverbio egiziano. Non sono un politologo ma, conoscendo un po’ gli egiziani, dico che, alla fine sceglieranno ancora Abdel Fattah al Sisi". Quella del frate francescano egiziano p. Mamdouh Chéhab è un’analisi empirica, basata su sensazioni e non su studi approfonditi. L’impressione è che, sia per mancanza di rivali sia perché è ancora visto come un baluardo contro gli estremismi, il presidente al Sisi trionferà ancora. Il rivale Mousa Mustafa Mousa del partito el Ghad è troppo debole per insidiare l’attuale presidente alle elezioni che si terranno dal 26 al 28 marzo. "D’altra parte – continua p. Chéhab - in Egitto ha sempre vinto chi aveva il sostegno delle forze armate. Pensiamo a Nasser, Sadat, Mubarak. Al Sisi, che viene dalle fila dell’esercito, è in continuità con questa tradizione. Rappresenta l’uomo forte alle cui spalle è presente e solida la presenza dei generali. Difficilmente cambierà qualcosa".
Il sostegno delle forze armate però non è l’unico asso nella manica del presidente. “In questi anni – spiega Giuseppe Dentice, dottorando di ricerca dell’Università cattolica e ricercatore del programma Medio Oriente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano - al Sisi è stato in grado di creare un consenso intorno alla sua persona. Ha tessuto una fitta tela di rapporti e appoggi in tutto il paese. Sono al suo fianco magistrati, poliziotti, burocrati, imprenditori, ecc. Questo sistema di amicizie lo aiuterà a mantenersi in sella insieme al sostegno dei militari che, comunque, rimane vitale anche perché gli ufficiali gestiscono una parte importante dell’economia nazionale”.
È d’accordo padre Henri Boulad, gesuita, studioso di dinamiche politiche: “Penso anch’io che al Sisi vincerà queste elezioni. Non ci sono alternative. Il generale non è il candidato ideale, ma attualmente è l’opzione migliore. Da molti elettori, cristiani in testa, al Sisi è visto come l’unica risorsa che possa evitare il ritorno al potere della Fratellanza musulmana, che con Mohammed Morsi ha governato dal 2012 al 2013”.
“Le prossime elezioni presidenziali sono peggiori di quelle che si sono tenute durante la presidenza di Hosni Mubarak (1981-2011)” spiega un giornalista egiziano attento osservatore delle dinamiche politiche, chiedendo l’aninimato. “Credo che gli elettori che andranno alle urne voteranno per al Sisi. Chi non vuole votare, invece, boicotterà le elezioni. La maggioranza dei cristiani (copti in testa) continua a preferire Sisi, soprattutto nella comunità ortodossa. Al Sisi è stato infatti il primo presidente a visitare la cattedrale durante le messa di Natale e di Pasqua. Non solo, ma è considerato il “salvatore” perché ha interrotto il governo della Fratellanza musulmana”.
I Fratelli musulmani
La Fratellanza musulmana è il convitato di pietra di questa tornata elettorale. Ufficialmente è bandita. I vertici o sono i prigione o sono fuggiti all’estero. Il partito è stato sciolto. Le organizzazioni sociali, che sono sempre state alla base del consenso del movimento, sono state chiuse o fortemente ridimensionate. Eppure in Egitto, la Fratellanza musulmana e la sua predicazione di un Islam politico, fortemente coinvolto nelle istituzioni e nell’amministrazione statale, ha tuttora un grande peso. Aggiunge p. Boulad: “Alla Fratellanza musulmana è stato dato un colpo durissimo. Ma il movimento è stato solo tramortito, non eliminato. Suoi esponenti sono inseriti nel gangli vitali dell’amministrazione pubblica. Specialmente nel settore educativo (in particolare nelle università) dove possono esercitare una forte influenza sulle nuove generazioni. La loro visione pervasiva dell’Islam è così diffusa perché sono le stesse autorità islamiche a farsi portavoce di una lettura intransigente del Corano. A partire da al Azhar, la massima istanza mondiale dell’Islam sunnita”.
Al Sisi, spiegano fonti di Fides al Cairo, ha certamente cambiato in meglio la situazione dei cristiani. Ha varato leggi, decreti e regolamenti per favorire la costruzione di chiese, luoghi di incontro. Ma, siccome la libertà religiosa non si impone per decreto, costruire una chiesa è ancora oggi difficile, professarsi cristiano anche. Questo perché la società egiziana è fortemente permeata da una visione fondamentalista dell’Islam. Tutto ciò che non è musulmano è considerato contro Dio.
Non è un caso che gli attacchi alle chiese cristiane e ai cristiani stessi non si siano arrestati, ma continuino. Nel 2017, i numerosi attentati portati da miliziani dell’Islam radicale hanno provocato più di cento morti. Anche il 2016 si era chiuso allo stesso modo: l’11 dicembre 2016 un'esplosione aveva devastato un edificio che faceva parte del complesso della cattedrale copta di San Marco al Cairo, nel quartiere Al Abasiya, sede del capo spirituale papa Tawadros II, centodiciottesimo patriarca di Alessandria. Il bilancio è stato di almeno 25 morti, tra cui sei bambini, e 35 feriti.
I diritti umani
Ciònonostante, una durissima repressione che sta minando i diritti umani degli egiziani. L’Egitto è il terzo Paese al mondo per numero di giornalisti in carcere, secondo solo a Turchia e Cina. Se ne contano più di venti e da quando al Sisi a gennaio ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali altri quattro reporter sono finiti dietro le sbarre. Da agosto 2016 sono stati bloccati 500 siti internet, compresi la maggior parte dei media indipendenti, che si sono visti costretti a chiudere i battenti o a ridimensionare fortemente la loro attività. l ricorso alla pena capitale, minacciata e sempre più spesso eseguita, è diventato routine negli ultimi anni. Dal 26 dicembre sono già 39 le condanne eseguite per impiccagione. Altre 29 persone attendono nel braccio della morte.
Al Sisi però non sta lavorando solo sul piano della sicurezza. Sta facendo pressioni affinché gli studiosi dell’Islam recuperino la tradizione pluralista e dialogante della fede musulmana. “l lavoro sul piano culturale – continua la fonte di Fides - è essenziale. Bisogna scardinare dalla società egiziana la visione wahabita dell’Islam, che è a noi estranea (proviene dall’Arabia Saudita) ed è portatrice di intolleranza e violenza. Siamo coscienti che il cammino da percorrere per raggiungere una piena libertà religiosa è ancora lungo e la strada è tortuosa. Se non ci incamminiamo su questo sentiero culturale e teologico, però, difficilmente le cose potranno cambiare”.
Le sfide
Quella per un Islam plurale e moderno non è l’unica sfida che dovrà affrontare al Sisi. Dal 2011, anno delle rivolte contro Hosni Mubarak, l’economia ha fortemente rallentato la sua corsa. Se prima delle Primavere arabe, la crescita annua del Pil si attestava intorno al 7% annuo, oggi si ferma al 4,3% (2016-2017). A ciò si aggiunge un tasso medio annuo di inflazione intorno al 17,2% nel 2018, rispetto a una previsione del 13%. “Rispetto agli anni Duemila – spiega Giuseppe Dentice – i dati sono peggiori, è vero. Gli indicatori macreconomici stanno però migliorando grazie a due fattori: i prestiti del Fondo monetario internazionale e il risanamento dei conti pubblici. Il problema è che questi miglioramenti a livello macro non hanno ricadute a livello micro. Anzi”. Per ridurre il debito, il Governo ha infatti fortemente tagliato i sussidi su beni di prima necessità che gravavano per il 10% sulle finanze pubbliche. Questo taglio ha portato a un drastico aumento dei prezzi e a una crescita della povertà e della povertà estrema. “Ciò – continua Dentice - ha creato rabbia nella popolazione che quotidianamente vede svuotarsi il portafoglio per acquistare prodotti un tempo economici. Nelle scorse settimane sono aumentate le proteste. Non sto parlando di manifestazioni guidate da estremisti, ma di fiammate di malcontento della gente comune, spesso non politicizzata. Siamo alla vigilia di una rivoluzione simile a quella del 2011? È difficile dirlo. Dall’esterno si può affermare che i presupposti ci sono tutti».
Sul fronte internazionale, l’Egitto probabilmente continuerà a lavorare su tre dossier direttamente legati alla difesa dei suoi interessi nazionali: Libia, Sinai e Gaza. “In Libia - conclude Dentice -, proseguirà il sostegno al governo di Khalifa Haftar. Per al Sisi, l’uomo forte di Bengasi è una garanzia contro l’espansione dell’islamismo jihadista e dell’islam politico nel Nord Africa. Nel Sinai, continua la lotta contro i fondamentalisti che lì hanno le basi e lì intrecciano la loro azione con il contrabbando e i traffici dei beduini. Infine, Gaza. Ufficialmente, l’Egitto tratta con Hamas. Ma al Sisi non si fida di un movimento che flirta con l’Iran e crea destabilizzazione”.
---------------
ENGLISH
Egypt to vote: “iron man” al-Sisi between radical Islam and religious freedom
As the country prepares for political elections (26 - 28 March) the position of president al-Sisi would appear to gain strength. Many voters, Christians in particular, consider al-Sisi the only option for preventing a return to power of the Muslim Brotherhood.
“Better the man you know, than the man you don’t, says an Egyptian proverb. I am no political expert but, for what I know about Egyptians I say that in the end they will again choose Abdel Fattah al-Sisi". Egyptian Franciscan Friar Mamdouh Chéhab offers his empirical analysis, based on sensations rather than in depth investigation. The impression is that both for the absence of rivals and the fact that he is still seen as a bulwark against extremisms, president al-Sisi will triumph once again. Rival Mousa Mustafa Mousa of the El-Ghad Party is too weak to pose any threat to the incumbent president in the elections scheduled for 26 - 28 March. "Besides – friar Chéhab continues - in Egypt the winner has always been someone supported by the armed forces. We recall Nasser, Sadat, Mubarak. Al-Sisi , from the ranks of the army, is in continuity with this tradition. He represents the iron man backed by the strong effective presence of generals. There is little chance of a change".
However the support of the armed forces is not the only ace in the hand of the President . “In recent years – says Giuseppe Dentice, studying for a doctorate in research at Milan’s Catholic University and a researcher in the Middle East Programme of the ISPI, Milan based Institute for Studies in International Politics – al-Sisi has succeeded in creating a consensus around his person. He has established a closely woven network of relations and endorsements all over the country. He is flanked by magistrates, members of the police, bureaucrats, entrepreneurs, etc. This system of relationships will help him stay in the saddle together with the support of the military still thriving also because army officers run a good part of the national economy ”.
Of the same mind is Jesuit Father Henri Boulad, a scholar in political dynamics : “I too think Sisi will win the elections. There are no alternatives. The General is not the ideal candidate, but at the moment he is the best option. Many voters, Christians in the forefront, see al-Sisi as the only means to avoid the return to power of the Muslim Brotherhood which with Mohammed Morsi governed from 2012 to 2013”.
“The approaching presidential elections are worse that those held during the presidency of Hosni Mubarak (1981-2011)” says an Egyptian journalist who follows political dynamics and asks not to be named. “I think the people who go to the booths will vote for al-Sisi. Those who do not intend to vote will boycott the elections. The majority of Egyptian Christians (Copts mainly) continue to prefer Sisi, particularly the Orthodox community. Al Sisi was the first president to visit the Cathedral during masses at Christmas and Easter. What is more, he is seen as a “saviour” because he interrupted the government of the Muslim Brotherhood”.
The Muslim Brotherhood
The Muslim Brotherhood is the unwanted guest at this round of voting. Officially it has been outlawed. The leaders are either in prison or abroad. The Party has been dissolved. The social organisations, that have always been the basis of the movement’s consensus, have been either closed or scaled down. Yet in Egypt the Muslim Brotherhood and its preaching of political Islam deeply present in state institutions and administration, still carries considerable weight. Fr Boulad adds: “the Muslim Brotherhood suffered a serious blow. But the movement it is only stunned, not eliminated. Its members remain part of the vital glands of the national public administration. Especially in the sector of education (particularly in universities) in which to exert a strong influence on the new generations. The Brotherhood’s pervasive vision of Islam is vastly diffused because it is the Islamic authorities that act as spokespersons for an intransigent interpretation of the Koran. Starting with al Azhar, the major world instance of Sunnite Islam”.
Al-Sisi, say Fides sources in Cairo, has certainly changed for the better the situation of the country’s Christians. He passed laws, decrees and rules to facilitate the construction of churches and meeting halls. But, since religious freedom is not imposed with a decree, here it is still difficult to build a church, and to profess the Christian faith. This is because Egyptian society is still widely permeated by a fundamentalist vision of Islam. Anything non-Muslim is considered to be against God.
Not by chance attacks on Christian church buildings and Christians themselves have not ceased, they continue. In 2017, numerous attacks by radical Muslim militants left more than a hundred dead. The year 2016 closed in the same way: on 11 December 2016 an explosion devastated a building inside the Compound of St Mark’s Copt Cathedral in Cairo, situated in the Al Abasiya district, and headquarters of spiritual leader Papa Tawadros II, the 118th Coptic Orthodox Patriarch of Alexandria. The number of those killed was at least 25, including six children, and there were 35 wounded.
Human rights
Despite all this, harsh repression is undermining the human rights of the Egyptian people. Egypt is third in the world for the number of journalists in prison, second only to Turkey and China. They number at least twenty and since al-Sisi announced in January his candidature for the presidential vote, four more reporters are behind bars. Since August 2016 some 500 internet sites have been blocked, including most of the independent media, either forced to close or drastically reduce activity. Recourse to capital punishment, threatened and repeatedly performed, has become routine in recent years. Since 26 December 2017 already 39 hangings have taken place. Another 29 people are awaiting impending execution.
Al Sisi however is not only working on a level of security. He is pressing Muslim scholars to retrieve the traditional pluralist and dialogist nature of the Muslim faith. “Work at the cultural level – Fides source continues – is essential. It is necessary to uproot from Egypt’s society the Wahabi vision of Islam, foreign to us (it comes from Saudi Arabia) and the carrier of intolerance and violence. We are aware that the path towards reaching full religious freedom is still long and tortuous. However unless we take this cultural and theological way it will be difficult for things to change ”.
The challenges
The challenge of a plural and modern Islam is not the only one faced by al-Sisi. Since 2011, the year of the revolt against Hosni Mubarak, the economy has slowed considerably. If before the Arab Springs, the annual growth PIL stood at about 7% per year, today it is fixed at 4.3% (2016-2017). In addition, 2018 registered an annual inflation rate of 17.2% instead of the forecasted 13%. “Compared with the years 2000 –Giuseppe Dentice explains – the figures are worse, it is true. But macro-economic indicators are improving thanks to two factors: loans from the International Monetary Fund and public accounts recovery. The trouble is that these improvements at the macro level have little or no effect at the micro level. On the contrary”. To reduce the national debt, the government made serious cuts in subsidies for prime necessities which weighed 10% on public finances. The cuts led to drastic increases in prices and poverty, and extreme poverty. “This –Dentice continues – sparked anger among the people who see purses emptied to pay for goods which once were cheaper to buy. In recent weeks protests have increased. I refer not to demonstrations led by extremists but outbursts of malcontent among the common people often not politicised. Are we on the verge of a revolution similar to that in 2011? Difficult to say. From the outside all the presuppositions would appear to be present».
On the international front Egypt will probably continue to work on three dossiers directly connected to the defence of its national interests: Libya, Sinai and Gaza. “In Libya - Dentice concludes -, support for the Khalifa Haftar government will continue. For al-Sisi, the iron man of Bengasi, this is a guarantee against the expansion of Jihadist Islamism and the political Islam of North Africa. In Sinai the on-going struggle against extremists which have bases there and there intertwine their activity with Bedouin smuggling and trafficking. Lastly, Gaza. Officially, Egypt and Hamas talk to one another. But al Sisi has little trust in a movement that flirts with Iran and creates destabilisation”.
---------------
ESPAÑOL
“Mejor elegir a una persona que conozco que a una desconocida”, tal y como reza el proverbio egipcio. No soy un politólogo, pero, por lo que conozco a los egipcios, puedo asegurar que al final elegirán de nuevo a Abdel Fattah al Sisi”. Es el pronóstico del fraile franciscano egipcio Mamdouh Chehab para Fides haciendo un análisis empírico basado en sus propias sensaciones, no realmente en un estudio en profundidad de la situación. La impresión que se tiene es que, ya sea por falta de rivales, ya sea porque se le ve todavía como un baluarte contra los extremistas, Al Sisi vencerá. Su rival, Moussa Mustafa Moussa del partido Ghad, es demasiado débil como para socavar la popularidad del presidente en las elecciones que se celebrarán del 26 al 28 de marzo. “Por otro lado, - continúa el padre Chéhab -, en Egipto siempre ha ganado quien cuenta con el apoyo de las fuerzas armadas. Ahí están los casos de Nasser, Sadat, Mubarak. Al Sisi, que proviene del ejército, está, por lo tanto, en continuidad con esta tradición. Representa al hombre fuerte respaldado por la sólida presencia de los generales. Difícilmente cambiará algo”.
El apoyo de las fuerzas armadas, sin embargo, no es el único as bajo la manga del presidente. “En estos años, -explica Giuseppe Dentice, estudiante de doctorado de la Universidad Católica e investigador del programa sobre Oriente Medio del Instituto de Estudios Políticos Internacionales (ISPI) de Milán-, Al Sisi ha sido capaz de crear consenso en torno a su persona. Ha tejido una densa red de relaciones y apoyos en todo el país. Magistrados, policías, burócratas y empresarios están de su lado. Esta red de amistades lo ayudará a permanecer en la presidencia contando además con el apoyo del ejército, que sigue siendo vital, porque los oficiales manejan una parte importante de la economía nacional”.
El padre Henri Boulad, jesuita y conocedor de la dinámica política, hace el mismo diagnóstico: “Creo que Al Sisi ganará las elecciones. No hay alternativas. El general no es el candidato ideal pero actualmente es la mejor opción. Para muchos votantes, los cristianos incluidos, Al Sisi es el único que puede evitar el regreso al poder de los Hermanos Musulmanes que gobernaron con Mohammed Morsi del 2012 al 2013”.
“Las próximas elecciones presidenciales son más delicadas que las que se celebraron durante la presidencia de Hosni Mubarak (1981-2011)”, asegura un periodista egipcio que analiza atentamente la dinámica política y que nos pide mantener el anonimato. “Creo que los votantes que irán a las urnas votarán por Al Sisi. Sin embargo, quien no quiera votar, boicoteará las elecciones. La mayoría de los cristianos (coptos) sigue prefiriendo a Al Sisi, sobre todo los de la comunidad ortodoxa. De hecho, Al Sisi fue el primer presidente en visitar la catedral durante la misa de Navidad y la de Pascua. No solo eso, sino que está considerado como “el salvador”, porque ha terminado con el gobierno de los Hermanos Musulmanes”.
Los Hermanos Musulmanes
Los Hermanos Musulmanes son los convidados de piedra en estos comicios. Oficialmente están prohibidos. Sus líderes están en prisión o han huido al extranjero. La formación ha sido disuelta. Las organizaciones sociales, que siempre han estado en la base del movimiento, se han disuelto o han quedado muy reducidas. Sin embargo, en Egipto, los Hermanos Musulmanes y su promoción de un Islam político, fuertemente involucrado en las instituciones y en la administración estatal, todavía conserva una gran influencia. Según el padre Boulad: “A los Hermanos Musulmanes se les ha asestado un golpe fortísimo. Pero el movimiento solo ha quedado solo herido, no acabado. Sus miembros forman parte de órganos vitales de la administración pública. Están especialmente presentes en el sector educativo (en las universidades) donde pueden ejercer una gran influencia en las nuevas generaciones. Su visión omnipresente del Islam está tan extendida porque son las mismas autoridades islámicas las que se erigen en portavoces de una lectura intransigente del Corán, empezando por Al Azhar, la máxima instancia mundial del Islam sunita”. Al Sisi, -explican fuentes de la Agencia Fides en El Cairo-, ciertamente ha mejorado la situación de los cristianos. Ha aprobado leyes, decretos y reglamentos para promover la construcción de iglesias y lugares de culto. Pero, como la libertad religiosa no se puede imponer a través de un decreto, construir una Iglesia es difícil hoy en día, casi tanto como confesarse cristiano. Esto se debe a que la sociedad egipcia está fuertemente impregnada por una visión fundamentalista del Islam. Todo lo que no es musulmán se considera en contra de Dios.
No es casual que no se haya puesto fin a los ataques contra las iglesias cristianas y contra los cristianos. En 2017 los numerosos ataques llevados a cabo por militantes del Islam radical provocaron más de cien víctimas mortales. También 2016 se cerró con este trágico balance. El 11 de diciembre de 2016 una explosión destrozó un edificio que formaba parte de la catedral copta de San Marcos en El Cairo, en el barrio de Abasiya, sede del jefe de la Iglesia copta, el papa Tawadros II. El atentado se cobró la vida de 25 personas, entre los que había 6 niños, y 35 heridos.
Los Derechos Humanos
Existe una durísima represión que está minando los Derechos Humanos de los egipcios. Egipto es el tercer país en el mundo con más periodistas en la cárcel, seguido solo de Turquía y de China. Más de 20 han sido encarcelados desde que Al Sisi anunció en enero su candidatura presidencial. Desde agosto de 2016 se han bloqueado 500 webs, incluidas aquellas de la mayor parte de los medios independientes, que se han visto obligados a cerrar o a readaptar su actividad. La pena de muerte se ha convertido en un recurso común durante los últimos años. Desde el 26 de diciembre se han ahorcado a 39 personas. Otras 29 esperan en el corredor de la muerte.
Al Sisi no está trabajando en el campo de la seguridad. Está presionando para que los estudiosos del Islam recuperen la tradición pluralista y dialogante de la tradición musulmana. “El trabajo en el plano cultural, -prosigue la fuente de Fides-, es esencial. Hace falta erradicar de la sociedad egipcia la visión wahabista del Islam que es ajena a nosotros (proviene de Arabia Saudí) y que conlleva la intolerancia y la violencia. Somos conscientes de que el camino hacia la plena libertad religiosa todavía es largo y tortuoso. Si no caminamos en este sendero cultural y teológico, difícilmente podrán cambiar las cosas”.
Los desafíos
Pero para Al Sisi promover un Islam plural y moderno no es el único desafío al que deberá hacer frente. Desde 2011, año de las revueltas contra Hosni Mubarak, la economía se ha contraído. Si antes de la Primavera Árabe el crecimiento anual del PIB rozaba el 7%, hoy se sitúa en torno al 4,3% (2016-2017). A estos números se añade una tasa de inflación anual cercana al 17,2% en 2018, cuando la previsión era del 13%. “Respecto al año 2000, -explica Giuseppe Dentice-, los datos son peores. Sin embargo, los indicadores macroeconómicos están mejorando gracias a dos factores: los préstamos del Fondo Montario Internacional y el saneamiento de las cuentas públicas. El problema es que estas mejoras a nivel macro no han repercutido a nivel micro. Es más, para reducir la deuda, el gobierno ha cortado las ayudas a los bienes de primera necesidad”. Este recorte ha conllevado un drástico aumento de los precios y un crecimiento de la pobreza y de la pobreza extrema. Según Dentice: “Esto ha suscitado enfado entre la población que a diario debe vaciar sus carteras para adquirir productos que fueron baratos en otro tiempo. En las pasadas semanas el descontento ha aumentado. No hablo de manifestaciones conducidas por los extremistas sino malestar de la población, de gente corriente no politizada. ¿Nos encontramos en los albores de una revolución similar a la de 2011? Es difícil decirlo. Desde fuera parece que están presentes todos los elementos necesarios”.
En el ámbito internacional, Egipto continuará volcado en los tres asuntos relacionados con la defensa de sus intereses internacionales: Libia, el Sinaí y Gaza. “En Libia, -concluye Dentice-, seguirá apoyando al gobierno de Khalifa Haftar. Para Al Sisi, el hombre fuerte de Bengasi es una garantía contra la expansión del islamismo yihadista y del Islam político del Norte de África. En el Sinaí reforzará la lucha contra los fundamentalistas que han establecido allí sus bases y que son además responsables de contrabando y del tráfico de seres humanos. Por último Gaza, donde oficialmente Egipto trata con Hamas pero donde, al mismo tiempo, Al Sisi no se fía de un movimiento que tiene lazos con Irán y que genera inestabilidad”.