Sudafrica: xenofobia e razzismo mettono alla prova la “Nazione Arcobaleno”
di Enrico Casale
Vasti strati della popolazione sudafricana nutrono sentimenti xenofobi nei confronti di migranti provenienti da altre parti dell'Africa. La Chiesa cattolica che è molto impegnato nell'accoglienza di queste persone, ha promosso una campagna di preghiera e di riflessione su razzismo e xenofobia in occasione della Quaresima.
Xenofobia, è una parola che nessuno avrebbe mai pensato di associare al Sudafrica. Nel Paese che ha saputo combattere e vincere l’apartheid, che è stato in grado di avviare un lungo processo di riconciliazione tra la minoranza bianca e la maggioranza nera, non si riusciva a concepire potessero avere luogo feroci pogrom contro i migranti illegali e i richiedenti asilo. Eppure, come le notizia di cronaca, gli scontri tra la popolazione sudafricana (soprattutto le fasce più povere) e gli stranieri sono una realtà. Lo scorso anno gruppi di sudafricani hanno incendiato decine di case, negozi e locali di proprietà di immigrati africani in diverse parti del Paese. Nel distretto di West Rand si è registrata una rivolta contro i nigeriani perché le loro gang sarebbero responsabili di numerosi atti di microcriminalità e gestirebbero le case chiuse.
Alcuni politici alimentano il malcontento, soffiando sulla frustrazione accumulata in questi ultimi anni dalla popolazione povera del Sudafrica, che non ha visto, nonostante la fine dell’apartheid, migliorare le proprie condizioni di vita. I migranti diventano quindi un facile capro espiatorio sui quali riversare le accuse di portare delinquenza, povertà e di rubare il lavoro ai sudafricani. Il sindaco di Johannesburg, Herman Mashaba, si è particolarmente distinto nella campagne di odio. Le comunità dei migranti lo accusa di fare dichiarazioni durissime contro gli stranieri. Nel 2016, nel corso di una conferenza stampa, ha detto che i clandestini sono criminali e, come tali, vanno trattati.
“La violenza xenofoba è una costante minaccia per molti migranti” spiega Miranda Madikane dello Scalabrini Refugee Service . Le ragioni delle tensioni sono complesse e sfaccettate, tuttavia Jean Pierre Misago del Centro africano per la migrazione e la società ha svolto ricerche approfondite su questo argomento e le sue conclusioni mi sembrano particolarmente interessanti. In breve, direi che le cause dei focolai di violenza xenofoba su larga scala sono in gran parte legate alla leadership politica locale (o dalla sua mancanza), alla mancanza di processi per la risoluzione dei conflitti e ai pochissimi procedimenti giudiziari contro chi dà vita a scontri, pestaggi, danneggiamenti. Inoltre, la situazione economica generale è difficile per molte persone, cittadini e non cittadini, e i migranti sono spesso considerati come la causa di un impoverimento generale».
Ma perché molti africani invece di migrare verso Nord si recano in Sudafrica? E quali dimensioni ha il fenomeno? Il Sudafrica, nonostante la recessione in atto da anni, è una delle economie più dinamiche del continente africano. Nel 2017 il Pil è aumentato dell’1,4% e molti analisti ritengono che crescerà ancora nel 2018 e nel 2019. Il Paese ha notevoli risorse naturali (oro, platino, diamanti, ecc.) e possiede un ricco tessuto industriale. In Sudafrica, però, non è tutto oro ciò che riluce. La fine dell’apartheid non ha risolto tutti i problemi. Anzi. La disoccupazione ufficiale è ancora alta e nel 2016 si attestava intorno al 27%. Il debito estero è elevato e assorbe il 48% del Pil. Il 16% della popolazione locale vive ancora al di sotto della soglia di povertà (meno di due euro al giorno). Queste contraddizioni non fermano i flussi, il Sudafrica appare ancora come un miraggio per popolazioni africane che devono fare i conti con guerre, carestie, tensioni etniche, ma anche povertà endemica e prospettive di crescita ridotte.
«Secondo l’ultimo rapporto dell’Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati) – osserva Tim Smith del Jesuit Refugee Service -, nel 2016, in Sudafrica erano presenti 1.217.708 richiedenti asilo, cioè rifugiati non registrati, e 121mila rifugiati. Questi ultimi vengono prevalentemente da Somalia (41.458), Repubblica Democratica Congo (32.582), Etiopia (20.324), Zimbabwe (6.358), Congo Brazzaville (6.556). A costoro si aggiunge un numero enorme di migranti che provengono da altri Paesi, ma non entrano a far parte del sistema di asilo o dei rifugiati. Vengono da Kenya, Malawi, Mozambico, Nigeria. Si trasferiscono in Sudafrica in cerca di migliori opportunità. Sono distribuiti in tutto il Paese, in tutte le province, in tutte le città, ma nessuno sa realmente quanti siano». Se è vero che i migranti sono presenti in tutto il Paese, è anche vero che la maggior parte di essi si concentra nelle aree più economicamente sviluppate e, in particolare, nella provincia del Gauteng (che include la capitale Pretoria e Johannesburg) e nel Western Cape (che comprende Città del Capo).
In Sudafrica esistono molti tipi di permessi per i migranti economici regolari, ma in realtà non ci sono molte vie legali per migranti che non vogliono lavorare come bassa manovalanza. Di conseguenza molti entrano nel Paese senza documenti e i loro numeri precisi sono sconosciuti. «Diciamo – sottolinea Miranda Madikane – che, una volta che sono riusciti ad entrare in Sudafrica, per i migranti irregolari ci sono restrizioni minime alla loro libertà di movimento. Sono liberi di spostarsi e di andare dove ritengono ci siano le migliori condizioni di vita e di lavoro. E così si arrangiano, senza trovare grandi ostacoli. Per esempio, molti somali non riescono a trovare lavori legali e quindi si dedicano al piccolo commercio. Attività illegali, ma non pericolose, che permettono loro di racimolare qualche soldo e di sopravvivere».
I migranti sono in gran parte lasciati a se stessi in Sudafrica. Lo Stato estende loro alcune le protezioni previste dalla Costituzione e offre l’accesso ad alcuni servizi in base al loro status legale. I rifugiati e i residenti permanenti possono accedere alle sovvenzioni sociali attraverso l’Agenzia per la sicurezza sociale del Sudafrica (Sassa). L’Unhcr e altre organizzazioni sono presenti in alcune province per assistere i richiedenti asilo e rifugiati maggiormente vulnerabili. Anche coloro che non hanno uno status legale (cioè le persone prive di documenti) sono tutelate nei loro diritti civili fondamentali, ad esempio sono protetti dallo sfruttamento del lavoro). Ma al di là di queste tutele di base, lo Stato e le organizzazioni internazionali non vanno.
Molto impegnata sul fronte dei migranti è la Chiesa cattolica sudafricana, sebbene rappresenti una minoranza di fedeli (circa il 7% della popolazione). La SACBC (Southern African Catholic Bishops’ Conference) ha istituito un dipartimento specifico, guidato dal vescovo di Johannesburg che si occupa direttamente di mettere in campo attività che rispondano ai bisogni materiali e spirituali di migranti, rifugiati, ma anche dei lavoratori marittimi. «Va segnalato anche il CPLO (Parliamentary Liaison Office of the Southern African Catholic Bishops’ Conference, l’Ufficio di collegamento tra il Parlamento e la Conferenza episcopale cattolica dell’Africa australe) – ricorda Miranda Madikane -. Questa commissione si occupa spesso dei problemi dei migranti. Negli ultimi anni è stata molto attiva e il suo lavoro è stato prezioso nel definire politiche di integrazione rispettose dei diritti umani».
Sul campo poi operano le congregazioni religiose. Tra esse, soprattutto, i padri e le suore scalabriniani e i gesuiti che hanno propri programmi specifici che si fondano su un’esperienza maturata in decenni di attività (non solo in Sudafrica) nell’accompagnare i rifugiati e i immigrati in una vera integrazione con la popolazione locale. I gesuiti, attraverso il Jesuit Refugee Service, lavorano molto sul piano educativo. In particolare, forniscono materiale scolastico (libri, uniformi, ecc.), trasporto per e dalle scuole e sostegno economico per le tasse scolastiche. Nelle comunità locali, poi molti sacerdoti e religiosi si prendono cura dei migranti (solo a Città del Capo ci sono 10 cappellani responsabili di gruppi etnici, linguistici o nazionali). A Città del Capo e a Durban, ci sono molti lavoratori marittimi che lavorano nei locali porti e hanno bisogno di assistenza spirituale, materiale e una particolare cura e attenzione per evitare casi di sfruttamento.
Nonostante questi sforzi, le tensioni tra popolazione locale e migranti si accendono periodicamente. Il governo ha cercato di correre ai ripari, ma le misure non paiono essere efficaci. «La chiusura di tre dei sei uffici d’accoglienza per rifugiati – è scritto in un rapporto stilato da Amnesty International - ha avuto un impatto negativo sui rifugiati, che erano costretti a percorrere lunghe distanze per ottenere il rinnovo dei permessi d’asilo. A giugno è stata poi presentata una bozza di legge sull’immigrazione internazionale, che prevedeva un approccio verso i richiedenti asilo basato sulla sicurezza e che avrebbe limitato i loro diritti. Il documento proponeva procedure per la determinazione dell’asilo e centri di detenzione amministrativa per migranti alle frontiere. Questi centri avrebbero ospitato i richiedenti asilo durante l’esame delle loro domande, limitando pertanto il loro diritto al lavoro e alla libertà di movimento, in attesa dell’esito della loro richiesta».
A rischio è il sogno della «nazione arcobaleno» che il Sudafrica ha coltivato con la fine delle politiche segregazioniste. Una nazione che fosse accogliente con tutte le sue componenti. Così come voleva Nelson Mandela. «Durante gli anni in cui ho vissuto qui - affermò Madiba in un discorso tenuto nella città di Alexandra -, il popolo di questa città ha ignorato le distinzioni tribali ed etniche. Invece di essere xhosa, o sotho, o zulu, o shangaan, eravamo alexandran. Eravamo un unico popolo e così abbiamo minato le convinzioni che il governo dell’apartheid ha cercato di imporci. Mi rattrista e mi fa arrabbiare vedere l’odio crescente verso gli stranieri».