La Santa Sede ha riconosciuto il martirio del Vescovo di Oran, Pierre Claverie, e di 18 compagni, sacerdoti, religiosi e religiose, uccisi negli anni 1994-96 in Algeria. Una ricerca negli archivi dell’Agenzia Fides svela il prezioso patrimonio delle loro esperienze di fede
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Il Santo Padre Francesco ha autorizzato il 26 gennaio la pubblicazione del decreto che riconosce il martirio del Vescovo di Oran, Pierre Claverie, e di 18 compagni, sacerdoti, religiosi e religiose, uccisi negli anni 1994-96 in Algeria.
Si calcola che quasi duecentomila persone siano state uccise in quegli anni di crisi a tutti i livelli e di forte tensione sociale, apertasi nel 1992 con l’annullamento delle elezioni vinte, al primo turno, dal Fis (Fronte Islamico di Salvezza). Il terrorismo islamista prese di mira anche gli stranieri e la piccola comunità cattolica, composta in gran parte da missionari europei, ma “l’intolleranza religiosa non c’entra” dichiarò a più riprese Mons. Henry Teissier, allora Arcivescovo di Algeri. “L’ondata di violenze che ha colpito l’Algeria è causata da una lotta per il potere fine a se stessa. Ciò che è più grave è che gli ambienti che stanno tentando di prendere il potere fanno appello ad argomenti religiosi per legittimare la loro violenza” (Fides 2/8/1994).
“Camminando con il popolo algerino siamo presi dal vortice di una crisi la cui conclusione si fa attendere – scrissero i Vescovi algerini in un loro messaggio del 2 gennaio 1994 sulla grave situazione -. Non possiamo sapere cosa ci riserva l’avvenire. Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri a vivere la nostra esistenza attuale... Ciascuno, di volta in volta, deve potersi autodeterminare liberamente con l’aiuto dei suoi fratelli e sorelle più vicini. In questi tempi di incertezza, continuate a fare coscienziosamente il vostro lavoro, sapendo, con i numerosi amici algerini, che ponete le basi più sicure per l’avvenire. Noi vogliamo anzitutto rendere grazie a Dio per questa serenità e tenacia in mezzo a difficoltà quotidiane talvolta angoscianti”.
Tutti i missionari che sono stati uccisi erano consapevoli dei rischi che correvano, e alle sollecitazioni dei rispettivi governi nazionali, delle congregazioni religiose cui appartenevano, dei Pastori della Chiesa locale, avevano sempre risposto, alcuni pochi giorni prima di essere uccisi, che non avrebbero lasciato il paese che amavano, la gente che amavano, ricambiati, la missione che il Signore aveva loro affidato.
Il priore di Notre Dame de l’Atlas, padre Christian Marie de Chergé, aveva scritto tre anni prima della sua tragica morte, nel testamento spirituale: “Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a quel Paese… Per questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto. In questo grazie in cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di questa terra, accanto a mia madre ed a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa! E anche a te, amico dell’ultimo minuto, che non sapevi quel che facevi. Sì, anche per te voglio prevedere questo grazie e questo addio”. (Fides 10/6/1996)
All’annuncio del riconoscimento del martirio di questi 19 missionari da parte della Santa Sede, e quindi della loro prossima beatificazione, i Vescovi della CERNA (Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa) hanno scritto: “Ci viene data la grazia di poter ricordare i nostri diciannove fratelli e sorelle come martiri, cioè, secondo il significato della parola stessa, testimoni del più grande amore, quello di dare la propria vita per quelli che si amano. Dinanzi al pericolo di una morte che era onnipresente nel paese, hanno fatto la scelta, a rischio della loro vita, di vivere fino alla fine i legami di fratellanza e amicizia che avevano intessuto con i loro fratelli e sorelle algerini attraverso l’amore. I legami di fraternità e amicizia sono stati più forti della paura della morte”.
“La loro morte ha rivelato che le loro vite erano al servizio di tutti: i poveri, le donne in difficoltà, i disabili, i giovani, tutti musulmani… I più angosciati, al momento della loro tragica morte, furono i loro amici e vicini musulmani, che si vergognavano si usasse il nome dell'Islam per commettere tali atti”. “Ma oggi non guardiamo al passato - esortano i Vescovi -. Queste beatificazioni sono una luce per il nostro presente e per il futuro. Dicono che l'odio non è la risposta giusta all’odio, che non c'è un'inevitabile spirale di violenza. Vogliono essere un passo verso il perdono e la pace per tutti gli uomini, a partire dall'Algeria ma al di là dei confini dell'Algeria”. (Fides 27/1/2018).
Fratel Henri Verges e suor Paule-Helene Raymond
Domenica 8 maggio 1994 due giovani armati hanno ucciso due missionari francesi nel quartiere della Casbah di Algeri: fratel Henri Verges, dei Fratelli Maristi, 64 anni, e suor Paule-Helene Raymond, 67 anni, delle Petit Soeurs de l’Assomption. I giovani hanno bussato alla porta del Centro culturale di via Ben-Cheneb, una biblioteca aperta agli studenti che lì trovavano i libri e gli spazi per lavorare, gestita dai Maristi con la collaborazione delle Assunzioniste. Suor Paule-Helene ha accolto i due giovani ed ha chiesto loro la tessera di ingresso. Alla loro risposta negativa li ha portati da fratel Henri per avere il regolare pemesso. Allora i giovani hanno puntato le armi contro i due missionari uccidendoli, quindi si sono dati alla fuga.
Fr. Henri, in Algeria dal 1969, voleva essere un amico per tutti, uno strumento di pace per l’Algeria e per il mondo: si era prodigato in particolare per aiutare le vittime del terremoto del 1980 e aveva particolare attenzione verso i poveri. Suor Paule-Helene Raymond era in Algeria dal 1964, dove aveva lavorato come infermiera, operatrice familiare e sociale. Ora prestava la sua opera alla biblioteca. Aveva scelto di restare in Algeria nonostante i rischi e gli avvertimenti: "bisogna iniziare a lottare contro la propria violenza" aveva scritto a questo proposito, e a Mons. Teissier che la metteva in guardia sul pericolo: "Padre, in ogni modo le nostre vite sono già state donate".
(Fides 24 maggio 1994)
Suor Ester Paniagua e suor Maria Caridad Alvarez
Nella domenica in cui la Chiesa celebrava la Giornata Missionaria Mondiale, il 23 ottobre 1994, due religiose spagnole delle Agostiniane Missionarie sono state assassinate nel quartiere Bab El Oued di Algeri: suor Ester Paniagua, 45 anni, originaria della provincia di Leon, e suor Maria Caridad Alvarez, 61 anni, della provincia di Burgos. Le religiose erano uscite dalla loro casa per andare a partecipare alla Messa domenicale nella chiesa delle Piccole Sorelle di Charles de Foucault, poco distante, quando i terroristi che erano appostati gli hanno sparato uccidendole. Nella porta del convento è rimasto conficcato uno dei proiettili che ha raggiunto suor Ester mentre stava bussando.
Suor Ester e suor Maria erano impegnate da molti anni in opere di assistenza per bambini e anziani, in asili e ospedali. Inoltre erano insegnanti in una scuola professionale per ragazze musulmane, stimate e amate dal popolo algerino. Poche settimane prima avevano deciso di rimanere in Algeria, nonostante la pericolosità della situazione, insieme alle altre religiose della loro comunità, per essere fedeli al Vangelo, per amore del popolo algerino e per condividere la stessa situazione della comunità locale. (Fides 29 ottobre 1994)
I quattro Padri Bianchi
Quattro sacerdoti dei Missionari d’Africa, conosciuti come Padri Bianchi, sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco il 27 dicembre 1994 nella missione di Tizi-Ouzou, capoluogo della provincia omonima, nella regione della Cabilia, un centinaio di chilometri da Algeri: p. Jean M.Chevillard, francese, 69 anni; p. Alain Dieulangard, francese, 75 anni; p. Christian Chessel, francese, 36 anni; p. Charles Deckers, belga, 70 anni. Alcuni terroristi travestiti da poliziotti si sono presentati al convento all’ora di pranzo, chiedendo al superiore, p. Chevillard, di seguirli per firmare dei documenti. Mentre questi cercava di telefonare al commissario, che conosceva bene, è stato ucciso con una raffica di Kalashnikov. Padre Deckers è stato la seconda vittima. I padri Dieulangard e Chessel hanno cercato di allontanarsi per chiamare i soccorsi, ma sono stati uccisi entrambi dai colpi di arma da fuoco che li hanno raggiunti alle spalle.
A Tizi-Ouzou i Padri Bianchi erano impegnati a portare avanti una grande biblioteca aperta a tutti, senza distinzione di razza o religione, che per questo era un punto di riferimento per gli studenti. Tre dei missionari uccisi risiedevano in Algeria dagli anni ’50, il più giovane, p. Chessel, da 2 anni. Alcuni di loro avevano la cittadinanza algerina, tutti parlavano arabo o addirittura lo insegnavano, conoscendo anche la lingua berbera. In altre parole, “si sentivano a casa”, come hanno dimostrato migliaia di musulmani che hanno partecipato ai funerali.
Suor Bibian Leclerc e suor Angel Marie Littlejohn
La sera di domenica 3 settembre 1995 due suore della Congregazione di Nostra Signora degli Apostoli sono state uccise ad Algeri, a colpi d’arma da fuoco: suor Bibian Leclerc, francese, 62 anni, e suor Angel Marie Littlejohn, maltese, 62 anni. Le religiose rientravano a casa dopo aver partecipato alla messa. Entrambe erano impegnate da 35 anni in Algeria: da 31 anni lavoravano in una scuola professionale femminile a Belcourt. Da pochi mesi avevano deciso di rimanere, nonostante i rischi. (Fides 9 settembre 1995)
Suor Odette Prevost
Una religiosa francese delle Petite Sœur du Sacré-Cœur, suor Odette Prevost, 63 anni, è stata uccisa il 10 novembre 1995 mentre usciva dalla sua abitazione nel centro di Algeri per andare a messa. Un commando di estremisti ha aperto il fuoco colpendo anche un’altra religiosa che era con lei, ma che è sopravvissuta. Suor Odette, in Algeria dal 1968, vi era tornata spontaneamente dopo qualche settimana trascorsa in Francia, in quanto amava profondamente il popolo algerino. Condivideva da molti anni la vita delle famiglie del popolare quartiere di Kouba, ad Algeri, e lavorava con generosità al Centro studi diocesano, nello spirito di Charles de Foucauld. (Fides 18 novembre 1995)
I sette monaci di Tibhirine
Verso le ore 1,30 del 27 marzo 1996, sette monaci Trappisti francesi sono stati rapiti dal loro convento di “Notre Dame de l’Atlas” a Tibhirine, nella circoscrizione di Medea, un centinaio di chilometri a sud-est di Algeri. In piena notte un gruppo di uomini armati ha bussato al convento chiedendo che l’anziano monaco ottantaduenne, che era medico, li seguisse. Al diniego dell’Abate, il gruppo ha fatto irruzione nel convento ed ha costretto altri sei monaci a seguirli.
Questi i loro nomi:
Dom Christian de Chergé, Abate (59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971)
fr. Paul Favre Miville (57 anni, monaco dal 1984, in Algeria dal 1989)
fr. Michel Fleury (52 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1985)
fr. Luc Dochier (82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1946)
p. Celestin Ringeard (62 anni, monaco dal 1983, in Algeria dal 1987)
p. Christophe Lebreton (45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987)
p. Bruno Lemarchand (66 anni, monaco dal 1981, in Algeria e Marocco dal 1990).
La comunità dei Trappisti (“Cistercensi della stretta osservanza”) di Tibhirine è stata fondata nel 1934 da alcuni monaci provenienti dalla Slovenia e annessa all’Abbazia di Notre Dame d’Aiguebelle (Drome) in Francia nel 1937. Dopo l’indipendenza dell’Algeria, nel 1962, in un primo tempo i monaci pensarono di chiudere la comunità, ma successivamente si decise di mantenere questa presenza cristiana. I religiosi avevano ricevuto diverse minacce in passato, volte ad ottenere la loro partenza. La regione di Medea infatti è considerata una delle roccaforti degli estremisti islamici. Soltanto una settimana prima del rapimento l’Abate, pur consapevole del pericolo e in risposta all’invito formulato dalle Autorità perchè lasciassero il convento, aveva confermato all’Arcivescovo di Algeri la volontà unanime dei monaci di non abbandonare il loro “luogo di preghiera e di servizio”, in ragione della loro vocazione monastica.
Come confermò l’allora Procuratore generale dei Trappisti, p. Armand Veilleux, al momento del rapimento, pur essendo stati più volte minacciati, i monaci “avevano ottimi rapporti con la popolazione locale. Per questa ragione non hanno mai voluto abbandonare la regione, per restare accanto alla gente con la quale vivono in comunione da molto tempo. Sono anche molto impegnati nel dialogo tra cristiani e musulmani. Gruppi di fondamentalisti si sono più volte rivolti a loro per chiedere collaborazione ed aiuto, ma essi hanno sempre rifiutato, come hanno rifiutato del resto anche la protezione dell’esercito algerino, nel desiderio di rimanere del tutto neutrali”.
Giovedì 23 maggio 1996 la Radio marocchina “Meditarrenée internationale 1” (Medi 1) ha diffuso un comunicato in cui il Gia (Gruppi islamici armati) dichiarava di “aver tagliato questa mattina la gola” ai sette monaci Trappisti. I loro resti mortali vennero ritrovati una settimana dopo poco lontano.
L’Abate generale dei Cistercensi, p. Bernardo Olivera, scrisse un messaggio ai suoi confratelli nel mondo, invitando in primo luogo alla preghiera: per le famiglie degli uccisi, per i cittadini dell’Algeria, per i cristiani e le cristiane della Chiesa di Algeri già tanto provata, per i religiosi e le religiose assassinati negli ultimi due anni. “Siamo profondamente commossi da quello che è successo ai nostri fratelli - scrisse l’Abate -. Ci lasciano una testimonianza incredibile, quella del Vangelo vissuto fino in fondo, quella delle Beatitudini”.
Rispondendo all’invito del Premier francese Juppé rivolto a tutti i suoi connazionali, perché abbandonassero immediatamente l’Algeria, l’Arcivescovo di Algeri, mons. Henri Teissier, dichiarò: “Noi non tradiremo l’eredità di abnegazione e di sacrificio che ci hanno lasciato i nostri fratelli uccisi... Noi resteremo, non abbandoneremo i nostri amici musulmani in un momento di difficoltà. Sono piccoli gruppi che ci attaccano, non il popolo algerino”.
Anche il Vescovo di Oran, mons. Pierre Claverie, nativo di Algeri, a cui poche settimane dopo sarebbe toccata la stessa sorte, ribadì la ferma volontà della Chiesa di non abbandonare l’Algeria: “La popolazione è sconvolta, la costernazione è generale. Ricevo telefonate di algerini in lacrime che mi dicono ‘A che punto siamo arrivati? Come è possibile arrivare a tanto?’. Ogni giorno vittime innocenti muoiono in Algeria. I cristiani che rimangono nel Paese hanno legato la loro vita a questo popolo nel bene e nel male. La decisione della Chiesa di rimanere non cambierà”.
(Fides 30 marzo, 29 maggio 1996)
Mons. Pierre Lucien Claverie
Il 1° agosto 1996 a tarda sera, il Vescovo di Oran (Algeria occidentale), Sua Ecc. mons. Pierre Lucien Claverie, domenicano, è stato ucciso da una bomba fatta esplodere nella sede del Vescovado. Nell’attentato rimase ucciso anche il suo giovane autista. Secondo le ricostruzioni, la bomba fu collocata all’entrata dell’abitazione del Vescovo, subito dopo il cancello di ingresso, ed è esplosa appena il Presule è sceso dalla macchina. Mons. Claverie aveva partecipato poche ore prima ad una cerimonia a Tibhirine, in ricordo dei sette monaci Trappisti, assassinati.
Il Padre generale dei Domenicani, Timothy Radcliffe, in un comunicato dal titolo “Pierre Claverie, una vita donata”, ricordò che mons. Claverie aveva donato la sua vita coscientemente per la Chiesa di Algeria, per la pace e per la fraternità di quel Paese. “Come i monaci di Tibhirine, conosceva i rischi che correva, ma la sua scelta è stata di restare, in segno di solidarietà con il popolo algerino e con tutti quelli che lavorano per la pace”. Padre Radcliffe ricordò che mons. Claverie si era espresso qualche tempo prima sul senso di questa presenza, come naturale per la vocazione e la missione della Chiesa, presente laddove si aprono le ferite che crocifiggono l’umanità nel suo corpo e nella sua unità. Padre Radcliffe ricordava ancora nel suo messaggio, la determinazione e la gioia del Presule per questa scelta: “La gioia di qualcuno che sa di aver messo la propria vita in mani sicure. In continuità con il sacrificio di tante altre vittime in Algeria, credenti e musulmani innamorati della pace, il sacrificio del nostro fratello sia, come il sacrificio di Gesù, fonte di pace per il nostro mondo di violenza”.
Mons. Pierre Lucien Claverie, dell’Ordine dei Frati Predicatori, Vescovo di Oran, era nato ad Algeri l’8 maggio 1938 ed era algerino da quattro generazioni. Entrato nell’Ordine dei Domenicani nel 1958, aveva studiato in Algeria e in Francia. Al Cairo aveva frequentato l’Istituto Domenicano di studi orientali (Ideo). Era stato ordinato sacerdote il 4 luglio 1965. Eletto alla Chiesa residenziale di Oran il 12 maggio 1981, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 2 ottobre dello stesso anno, per le mani del Card. Duval, Arcivescovo di Algeri. Nonostante gli innumerevoli pericoli, mons. Claverie era sempre in viaggio per visitare le sue comunità, che incoraggiava in ogni modo, confermando la loro fede e il loro impegno per la pace.
Aveva numerose amicizie anche nel mondo musulmano, dal momento che era apprezzata la sua istruzione e il suo profondo rispetto per la loro cultura. Era una delle personalità ecclesiastiche più impegnate della Chiesa cattolica di Algeria. Ha diretto il Centro di formazione cristiana ed era anche membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Più volte il Presule aveva invitato gli algerini alla comprensione ed al dialogo. Persona molto schietta, non perse mai occasione per denunciare la violenza politica, le tristi condizioni di vita della popolazione e condannare i gruppi integralisti. (Fides 9 agosto 1996)
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ENGLISH ---
Algeria, stories of martyrdom
The Holy Father Francis authorised on 26 January the publication of the Decree recognizing the martyrdom of Bishop Pierre Claverie of Oran, and 18 companions, priests, religious, brothers and sisters killed 1994-96 in Algeria.
It is estimated that some two hundred thousand people were killed in those years of crisis and serious social tension at every level which started in 1992 with the annulment of first round elections won by country’s Islamic Salvation Front. Islamist terrorism targeted also foreigners including the small Catholic community mostly composed of European missionaries, however, the then Catholic archbishop of Algiers Archbishop Mons. Henry Teissier, declared repeatedly, “this is not a question of religious intolerance…the wave of violence which has struck Algeria is caused by a struggle for power, power for power’s sake. What is concerning is that the perpetrators use religious questions to legitimize the violence,” (Fides 2/8/1994).
“Walking with the people of Algeria we have been gripped in the vortex of a crisis whose conclusion is slow to arrive – the Algerian Catholic Bishops wrote in a message dated 2 January 1994 regarding the seriousness of the situation -. The future is not ours to see. We can only help one another to live life as it comes... Each of us, one step at a time, must be able to freely decide for himself aided by the closest brothers and sisters. In these times of uncertainty, continue to perform your work conscientiously, in the knowledge that, together with our numerous Algerian friends, we are laying the best foundations for the future. We wish above all to thank God for such serenity and tenacity amidst daily often distressing difficulties”.
All the missionaries killed were aware of the risks they ran, but, to urgent calls from their respective national governments, religious congregations, Bishops of the local Church, they continued to repeat, even days before being assassinated, that they would not leave the country they loved, the people they loved and who loved them in return, or the mission entrusted to them by the Lord.
The Prior of Notre Dame de l’Atlas, Fr. Christian Marie de Chergé, had written three years before his tragic death in a spiritual testimony: “If one day (and it could be today) I should be a victim of the terrorism which appears to target all foreign citizens living in Algeria, I would wish that my community, my Church, my family would remember that my life was given to God and to this country and its people, … For this life lost, totally mine, totally theirs, I give thanks to God who seems to have desired it for this joy alone, despite everything and for everything. In this thanks in which all is said of my life, I include you of course, friends of yesterday and today, ah you friends of this land, together with my mother and my father, my sisters and my brothers and loved ones, a hundredfold as He promised! And you also, my friend of the last moment, who will not have known what you were doing. Yes, for you too I wish to foresee this THANKS and this A-DIEU » (Fides 10/6/1996)
Informed of the Holy See’s recognition of the martyrdom of these 19 missionaries and therefore the forthcoming beatification, the Bishops of CERNA, Regional Bishops Conference of North Africa said: “We are given the grace to remember our 19 brothers and sisters as martyrs, that is, according to the meaning of the word, witnesses to the greatest of all loves, the giving of one’s life for others. In the face of danger, omnipresent in that country, they chose, endangering their own lives, to live to the end the bonds of brotherhood and friendship they had woven with their Algerian brothers and sisters by means of love. The bonds of brotherhood and friendship proved stronger than all fear of death”.
“Their death revealed that their lives were at the service of all: the poor, the women in difficulty, the disabled, youth, all of them Muslims… the most distressed at the moment of their tragic death, were Muslim friends and neighbours, ashamed that such crimes should be committed in the name of Islam”. “However today let us not look at the past – the Bishops exhort the people -. These beatifications are a light for our present and for our future. These beatifications tell us that hatred is not the answer to hatred, and a spiral of violence is not unavoidable. These beatifications are a step towards forgiveness and peace for all, starting with Algeria, but reaching over and beyond the boundaries of Algeria”. (Fides 27/1/2018).
Brother Henri Verges and Sr. Paule-Helene Raymond
On Sunday 8 May 1994 two young gunmen killed two French missionaries in the Casbah district of Algiers: Br. Henri Verges, a Marist Brother aged 64 and Sister Paule-Helene Raymond, aged 67, a member of the Little Sisters of the Assumption. The men knocked at the door of the Cultural Centre in Ben-Cheneb street, a library where students found books and space to study, run by the Marist community in with the help of the Assumption Sisters. Sr. Paule-Helene welcomed the young men and asked for their membership cards. When they said they had none, she took them to Brother Henri to ask for a entrance permission. At this point the young men pulled out guns, killed the two missionaries and ran off.
Br. Henri, in Algeria since 1969, desired to be friends with everyone, a channel of peace in Algeria and the whole world: he was particularly involved in helping the victims of the 1980 earthquake and caring for the poor. Sr. Paule-Helene Raymond had been in Algeria since 1964, serving as a nurse and family/social worker. More recently she had started to work at the library. She had chosen to stay in Algeria despite the risks and the warnings: "we must begin by fighting our own violence" Bishop Teissier had written to her warning of the danger: "Father, whatever happens, we have already made the gift of our lives".
(Fides 24 May 1994)
Sr. Ester Paniagua and Sr. Maria Caridad Alvarez
On the Sunday when the Catholic Church celebrates World Mission Day, 23 October in 1994, two Spanish nuns, Augustinian Missionaries, were assassinated in the Bab El Oued district of Algiers: Sr. Ester Paniagua, aged 45, from the province of Leon, and Sr. Maria Caridad Alvarez, aged 61, from the province of Burgos. The nuns were on their way to Sunday Mass in the church kept by the Little Sisters of Charles de Foucault not far away, when they were shot dead by terrorists lying in wait. One of the bullets fired at Sr. Ester as she knocked can still be seen still embedded in the convent door.
Sr. Ester and Sr. Maria had for many years worked in homes and hospitals, caring for children and old people The sisters, who were also teachers at the local Girls Training School for Muslims, were respected and loved by the Algerian people. A few days earlier they had decided despite the dangerous situation to remain in Algeria, together with other members of their community, to be faithful to the Gospel, for love of the Algerian people and to share the same situation as the local community. (Fides 29 October1994)
Four White Fathers
Four members of the Missionaries of Africa, also known as White Fathers, were shot dead on 27 December 1994 at the Catholic Mission in Tizi-Ouzou, main city of the Tizi-Ouzou province, in the region of Cabilia, about 100 km from Algiers: Fr. Jean M.Chevillard, French age 69; Fr. Alain Dieulangard, French, age 75; Fr. Christian Chessel, French age 36; Fr. Charles Deckers, Belgian, age 70. Terrorists wearing police uniforms knocked at the monastery door at lunch time, asking the superior, Fr. Chevillard, to follow them to sign some papers. While the Superior was on the telephone with the local chief of police, well known to him, he was mortally wounded with a burst of Kalashnikov. Father Deckers was the second casualty. Fathers Dieulangard and Chessel tried to escape to call for help, but both received mortal wounds to the shoulder.
In Tizi-Ouzou the White Fathers ran a large library open to the general public irrespective of race or religion which had become a point of reference for the local students. Three of the murdered missionaries had been resident in Algeria since the 1950s, the youngest of the four, Fr. Chessel, had been in the country for two years. One or two of them had Algerian nationality, all spoke Arabic and some even taught it since they were familiar with the local Berber tongue. In other words, “they felt at home”, as it was demonstrated by the thousands of Muslims who attended the funeral of the religious.
Sr. Bibian Leclerc and Sr. Angel Marie Littlejohn
In the evening of 3 September 1995 two nuns belonging to the congregation of Our Lady of the Apostles were shot dead in Algiers: French Sr. Bibian Leclerc, aged 62, and Maltese Sr. Angel Marie Littlejohn, aged 62. The sisters were returning home after attending Mass. Both had been serving in Algeria for 35 years: for 31 years they had worked at a Training School for Women in Belcourt.
A few months earlier the sisters had chosen to remain despite the danger. (Fides 9 September 1995)
Sr. Odette Prevost
A French nun, a member of the Little Sisters of the Sacred Heart, Sr. Odette Prevost, aged 63, was murdered on 10 November 1995 as she left her home to go to Mass. The extremists opened fire, wounding another nun who however survived. Sr. Odette, in Algeria since 1968, had chosen to return to the country after spending a few weeks in France, since she loved the Algerian people deeply. For many years she had lived the life of ordinary families in the Kouba district of Algiers, working with generosity at the Diocesan Centre of Studies in the spirit of Charles de Foucauld. (Fides 18 November 1995)
The seven monks of Tibhirine
At about 1.30 in the morning of 27 March 1996, seven French Trappist monks were kidnapped from their monastery of Notre Dame de l’Atlas in Tibhirine, a district of Medea, about 100 kilometres south east of Algiers. In the middle of the night armed men came to the door of the monastery asking for one of the monks who was a doctor (aged 82 year), to follow them. When the Abbot refused, the men broke into the monastery and forced the remaining 6 monks to follow them.
Here are their names:
Abbot Christian de Chergé, (59, a monk since 1969, in Algeria since 1971)
Fr. Paul Favre Miville (57, a monk since 1984, in Algeria since 1989)
Fr. Michel Fleury (52, a monk since 1981, in Algeria since 1985)
Fr. Luc Dochier (82, a monk since 1941, in Algeria since 1946)
Fr. Celestin Ringeard (62, a monk since dal 1983, in Algeria since 1987)
Fr. Christophe Lebreton (45, a monk since 1974, in Algeria since 1987)
Fr. Bruno Lemarchand (66, a monk since 1981, in Algeria and Morocco since 1990).
The Trappist community (Cistercians of Strict Observance) in Tibhirine was established in 1934 by a group of monks from Slovenia connected with the 12th century Abbey of Notre Dame d’Aiguebelle (Drome) France. Following the independence of Algeria in 1962, initially the monks thought of closing the community, but later decided to maintain the Christian presence. The brothers had received threats in the past to make them leave. The region of Medea is in fact considered a stronghold of Islamic extremists. Only a week before the kidnapping, the Abbot, fully aware of the danger and in response to a call from the authorities to leave the convent, confirmed to the archbishop of Algiers the unanimous will of the monks to remain, not to abandon their “place of prayer and silence”, faithful to their monastic vocation.
As confirmed by Trappist Procurator general, Fr. Armand Veilleux, at the time of the kidnapping, despite receiving many threats, the monks “were on excellent terms with local people. This was why they refused to leave the region, preferring to remain with the people with whom they had lived in communion for years. The monks were committed to promoting Christian-Muslim dialogue. Fundamentalist groups had often tried to obtain collaboration and help from the monks but the latter refused, just as they declined offers of protection by the Algerian army, determined to remain neutral”.
On Thursday 23 May 1996 the Moroccan radio station Mediterrenée Internationale 1 (MEDI 1) broadcast a statement in which GIA (Armed Islamic Groups) claimed it had “cut the throats this morning” of seven Trappist monks. The mortal remains were found a week later.
Cistercian Abbot general Bernardo Olivera, wrote a message to his confreres all over the world asking them to pray for the families of the murdered Brothers, for the people of Algeria, for the Christians of the Church in Algeria who had suffered so much, and for the numerous men and women Religious murdered in recent years. “We are deeply saddened by what has happened to our brothers – the Abbot wrote -. They leave us an incredible testimony of the Gospel lived to the very end, the Gospel of the Beatitudes”.
In response to a call from the French prime minister Juppé urging all French citizens to leave Algeria immediately, the Archbishop of Algiers Mons. Henri Teissier, declared “We will not betray the heritage of abnegation and sacrifice left to us by our slaughtered brothers... We will remain here, we will not abandon our Muslim friends at such a difficult time. The attackers are small groups, not the Algerian people”.
The same stance was taken by the Bishop of Oran, Mons Pierre Claverie, born in Algiers, who, a few weeks later would experience the same plight. Bishop Claverie confirmed the will of the local Catholic Church not to abandon Algeria: “The people are deeply shocked, consternation is widespread. I receive telephone calls from Algerians in tears who ask ‘How did this happen? How can anyone come to this point?’. Every day in Algeria innocent people are dying. The Christians still living in this country have bound their lives to the people for better or for worse. The decision taken by the Church to remain will never change”.
(Fides 30 March - 29 May 1996)
Mons. Pierre Lucien Claverie
In 1996 late in the evening of August 1st the Bishop of Oran (western Algeria), Mons Pierre Lucien Claverie, a Dominican, was killed when a bomb exploded in the compound of the Bishops’ Residence. The bishop’s young chauffeur was also killed. According to a reconstruction, the bomb had been placed at the entrance of the compound near the gates and exploded as soon as the Bishop stepped out of the car. A few hours earlier Bishop Claverie had taken part in a ceremony in Tibhirine in memory of seven murdered Trappist monks.
Master of the Dominican Order, Fr. Timothy Radcliffe, in a statement titled ‘Pierre Claverie, a Life that was Given’, recalls that Fr. Claverie “consciously offered his life for the Church in Algeria, and for peace and brotherhood in that country. Just like the monks of Tibhirine, he knew the risks he ran, but it was his choice to remain in solidarity with the people of Algeria and with all those who work for peace.” Father Radcliffe recalls that Mons. Claverie, some months earlier had explained the meaning of this presence: "The Church accomplishes her calling and her mission when she is present where there is that tearing apart of humanity, that very crucifixion of its flesh.” Father Radcliffe also recalls Bishop Claverie’s determination and joy for the decision: “I was struck both by his determination and his joy. The joy of one who knows he has set the compass of his life on the right path. In the wake of the sacrifice of so many victims in Algeria, Christians and Muslims who are devoted to peace, may the sacrifice of our brother be, like that of Jesus, a source of peace for our violent world.”
Mons. Pierre Lucien Claverie, a member of the Order of Friar Preachers, and Bishop of Oran, was born in Algiers on 8 May 1938 a fourth generation Algerian. He entered the Dominican Order in 1958, having studied in Algeria and in France. In Cairo he studied at the Dominican Institute of Oriental Studies (IDEO). He was ordained a priest on 4 July 1965. Appointed residential Bishop of Oran 12 May 1981, he was ordained a Bishop on 2 October in the same year by Cardinal Duval, Archbishop of Algiers. Despite numerous dangers Mons. Claverie travelled far and wide to visit his communities, encouraging them, confirming them in their faith and their commitment to peace.
He had numerous friends, including Muslims, who appreciated his learning and his profound respect for Muslim culture. He was one of the most committed ecclesiastic figures in the Catholic Church in Algeria. He served as Director of the Centre for Christian Formation and as a member of the Pontifical Council for Interreligious Dialogue in the Vatican. Bishop Claverie encouraged Algerians to show understanding and to practice dialogue. Being outspoken, he never overlooked an opportunity to denounce political violence, lament the poor living conditions of the people and to condemn extremist groups. (Fides 9 August 1996)
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FRANÇAIS ----
Algérie, les histoires du martyre
Le Saint-Siège a reconnu le martyre de l’Evêque d’Oran, S.Exc. Mgr Pierre Claverie, et de 18 de ses compagnons, prêtres, religieux et religieuses, tués entre 1994 et 1996 en Algérie. Une recherche dans les Archives de l’Agence Fides révèle le patrimoine précieux de leurs expériences de foi.
Le Saint-Père François a en effet autorisé, en date du 26 janvier dernier, la publication du Décret qui reconnaît le martyre de l’Evêque d’Oran, S.Exc. Mgr Pierre Claverie, et de 18 de ses compagnons. On estime que près de 200.000 personnes aient été tuées au cours de ces années de crise à tous les niveaux et de forte tension sociale, qui a débuté en 1992 au travers de l’annulation des élections remportées au premier tour par le Front islamique du salut (FIS). Le terrorisme islamiste prit pour cible également les étrangers et la petite communauté catholique, composée en grande partie par des missionnaires européens, mais « l’intolérance religieuse n’y est pour rien » déclara à plusieurs reprises S.Exc. Mgr Henry Teissier, alors Archevêque d’Alger. « La vague de violence qui a frappé l’Algérie est causée par une lutte pour le pouvoir qui est une fin en soi. Ce qui est plus grave encore est que les milieux qui tentent actuellement de prendre le pouvoir font appel à des argumentaires religieux pour légitimer leur violence » (voir Fides 02/08/1994).
« En cheminant avec le peuple algérien, nous sommes pris dans le tourbillon d’une crise dont la conclusion se fait attendre – écrivirent les Evêques d’Algérie dans leur Message du 2 janvier 1994 dédié à la grave situation. Nous ne pouvons savoir ce que nous réserve l’avenir. Nous devons nous aider les uns les autres à vivre notre existence actuelle. Chacun, de fois en fois, doit pouvoir s’autodéterminer librement avec l’aide de ses frères et sœurs les plus proches. En ces temps d’incertitude, continuez à faire consciencieusement votre travail en sachant, avec les nombreux amis algériens, que vous jetez les bases les plus sûres de l’avenir. Nous voulons tout d’abord rendre grâce à Dieu pour cette sérénité et cette ténacité au milieu de difficultés quotidiennes parfois angoissantes ».
Tous les missionnaires qui ont été tués étaient conscients des risques qu’ils couraient et, aux sollicitations de leurs gouvernements nationaux respectifs, des Congrégations religieuses auxquelles ils appartenaient, des Pasteurs de l’Eglise locale, ils avaient toujours répondu, certains quelques jours avant d’être tués, qu’ils n’auraient pas quitté le pays qu’ils aimaient, la population qu’ils aimaient et qui les aimaient, la mission que le Seigneur leur avait confiée. Le Prieur de Notre-Dame de l’Atlas, le Père Christian Marie de Chergé, avait écrit trois ans avant sa mort tragique, dans son testament spirituel : « S'il m'arrivait un jour - et ça pourrait être aujourd'hui - d'être victime du terrorisme qui semble vouloir englober maintenant tous les étrangers vivant en Algérie, j'aimerais que ma communauté, mon Église, ma famille, se souviennent que ma vie était donnée à Dieu et à ce pays… Cette vie perdue, totalement mienne, et totalement leur, je rends grâce à Dieu qui semble l'avoir voulue tout entière pour cette JOIE-là, envers et malgré tout. Dans ce MERCI où tout est dit, désormais, de ma vie, je vous inclus bien sûr, amis d'hier et d'aujourd'hui, et vous, ô amis d'ici, aux côtés de ma mère et de mon père, de mes sœurs et de mes frères et des leurs, centuple accordé comme il était promis ! Et toi aussi, l'ami de la dernière minute, qui n'aura pas su ce que tu faisais. Oui, pour toi aussi je le veux, ce MERCI, et cet "A-DIEU" » (voir Fides 10/06/1996).
A l’annonce de la reconnaissance du martyre de ces 19 missionnaires de la part du Saint-Siège, et donc de leur prochaine béatification, les Evêques de la CERNA (Conférence épiscopale régionale d’Afrique du Nord) ont écrit : « La grâce nous est donnée de pouvoir faire mémoire de nos dix-neuf frères et sœurs en qualité de martyrs, c’est-à-dire, (selon le sens du mot lui-même), de témoins du plus grand amour, celui de donner sa vie pour ceux qu’on aime. Devant le danger d’une mort qui était omniprésent dans le pays, ils ont fait le choix, au risque de leur vie, de vivre jusqu’au bout les liens de fraternité et d’amitié qu’ils avaient tissés avec leurs frères et sœurs algériens par amour. Les liens de fraternité et d’amitié ont ainsi été plus forts que la peur de la mort ».
« Leur mort a révélé que leur vie était au service de tous : des pauvres, des femmes en difficultés, des handicapés, des jeunes, tous musulmans. (…) Les plus peinés, au moment de leur mort tragique, ont été leurs amis et voisins musulmans qui avaient honte que l’on utilise le nom de l’islam pour commettre de tels actes ». « Mais nous ne sommes pas, aujourd’hui, tournés vers le passé – exhortent les Evêques. Ces béatifications sont une lumière pour notre présent et pour l’avenir. Elles disent que la haine n’est pas la juste réponse à la haine, qu’il n’y a pas de spirale inéluctable de la violence. Elles veulent être un pas vers le pardon et vers la paix pour tous les humains, à partir de l’Algérie mais au-delà des frontières de l’Algérie » (voir Fides 27/01/2018).
Frère Henri Verges et Sœur Paule-Hélène Raymond
Dimanche 8 mai 1994, deux jeunes armés ont tué deux missionnaires français dans la Casbah d’Alger : il s’agit du Frère Henri Verges, des Frères maristes, 64 ans, et de Sœur Paule-Hélène Raymond, 67 ans, des Petites Soeurs de l’Assomption. Les jeunes ont frappé à la porte du Centre culturel de la rue Ben-Cheneb, une bibliothèque ouverte aux étudiants qui y trouvaient les livres et les espaces pour travailler, gérée par les Maristes en collaboration avec les Assomptionnistes. Sœur Paule-Hélène Raymond a accueilli les deux jeunes et leur a demandé leur carte d’entrée. Face à leur réponse négative, elle les a emmenés chez le Frère Henri Verges pour obtenir l’autorisation. Les jeunes ont alors pointé leurs armes contre les deux missionnaires, les tuant avant de prendre la fuite.
Le Frère Henri Verges, qui se trouvait en Algérie depuis 1969, voulait être un ami pour tous, un instrument de paix pour l’Algérie et pour le monde. Il s’était en particulier prodiguer à aider les victimes du séisme de 1980 et avait une attention particulière envers les pauvres. Sœur Paule-Hélène Raymond était en Algérie depuis 1964, et y avait travaillé comme infirmière, opératrice familiale et sociale. Elle prêtait désormais service à la bibliothèque. Elle avait choisi de rester en Algérie malgré les risques et les avertissements : « Il faut commencer à lutter contre sa propre violence » avait-elle écrit à ce propos et, à Mgr Teissier qui la mettait en garde contre le danger : « Père, dans tous les cas, nos vies ont déjà été données » (voir Fides 24/05/1994).
Sœur Ester Paniagua et Sœur Maria Caridad Alvarez
Au cours du Dimanche durant lequel l’Eglise célébrait la Journée missionnaire mondiale, le 23 octobre 1994, deux religieuses espagnoles des Augustines missionnaires ont été assassinées dans le quartier de Bab El Oued à Alger. Il s’agit de Sœur Ester Paniagua, 45 ans, originaire de la province de Leon, et de Sœur Maria Caridad Alvarez, 61 ans, de la province de Burgos. Les religieuses étaient sorties de leur maison pour se rendre à la Messe dominicale dans l’église des Petites Sœurs de Charles de Foucault, toute proche, lorsque les terroristes, qui étaient à l’affût, ont ouvert le feu, les tuant. Sur la porte du couvent, est resté encastré l’une des balles qui a frappé Sœur Ester Paniagua alors qu’elle frappait.
Sœur Ester Paniagua et Sœur Maria Caridad Alvarez étaient depuis de nombreuses années actives dans le cadre d’oeuvres d’assistance au profit des enfants et des personnes âgées, dans des crèches et des hôpitaux. En outre, elles étaient enseignantes dans une école professionnelle pour jeunes filles musulmanes, estimées et aimées du peuple algérien. Quelques semaines auparavant, elles avaient décidé de rester en Algérie malgré le danger de la situation, en compagnie des autres religieuses de leur communauté pour être fidèles à l’Evangile, par amour du peuple algérien et pour partager la même situation que la communauté locale (voir Fides 29/10/1994).
Les quatre Pères Blancs
Quatre prêtres des Missionnaires d’Afrique, connus également sous le nom de Pères Blancs, ont été tués par balles le 27 décembre 1994 dans la mission de Tizi-Ouzou, chef-lieu de la province homonyme, sise en Kabylie, à une centaine de kilomètres d’Alger. Il s’agit du Père Jean M. Chevillard, français, âgé de 69 ans, du Père Alain Dieulangard, français, âgé de 75 ans, du Père Christian Chessel, français, âgé de 36 ans et du Père Charles Deckers, belge, âgé de 70 ans. Des terroristes déguisés en agents de police se sont présentés au couvent à l’heure du déjeuner, demandant au Supérieur, le Père Chevillard, de les suivre pour signer des documents. Alors que celui-ci cherchait à téléphoner au Commissaire, qu’il connaissait bien, il a été tué d’une rafale de Kalachnikov. Le Père Deckers a été la deuxième victime. Les Pères Dieulangard et Chessel ont cherché à s’éloigner pour appeler les secours mais ils ont été tous deux tués par balles, celles-ci les atteignant dans le dos.
A Tizi-Ouzou, les Pères Blancs s’occupaient d’une grande bibliothèque ouverte à tous, sans distinction de race ou de religion, qui, pour cette raison, constituait une référence pour les étudiants. Trois des missionnaires tués résidaient en Algérie depuis les années 1950 alors que le Père Chessel, le plus jeune, était dans le pays depuis deux ans. Certains d’entre eux avaient la nationalité algérienne, tous parlaient arabe voire même l’enseignaient, connaissant également la langue berbère. En d’autres termes, ils se sentaient chez eux, comme l’ont démontrée les milliers de musulmans qui ont participé à leurs obsèques.
Sœur Bibian Leclerc et Sœur Angel Marie Littlejohn
Au soir du Dimanche 3 septembre 1995, deux religieuses de la Congrégation de Notre-Dame des Apôtres ont été tuées par balles à Alger. Il s’agit de Sœur Bibian Leclerc, française, âgée de 62 ans, et de Sœur Angel Marie Littlejohn, maltaise, âgée de 62 ans. Les religieuses rentraient chez elles après la Messe. Elles étaient toutes deux actives en Algérie depuis 35 ans et travaillaient depuis 31 ans dans une école professionnelle féminine de Belcourt. Depuis quelques mois seulement, elles avaient décidé de rester sur place, malgré les risques (voir Fides 09/09/1995).
Sœur Odette Prévost
Une religieuse française des Petites Sœurs du Sacré-Cœur, Sœur Odette Prévost, âgée de 63 ans, a été tuée le 10 novembre 1995 alors qu’elle sortait de son habitation, au centre d’Alger, pour se rendre à la Messe. Un commando d’extrémistes a ouvert le feu, atteignant également une autre religieuse qui se trouvait en sa compagnie, mais a survécu. Sœur Odette Prévost, qui se trouvait en Algérie depuis 1968, y était revenue spontanément après quelques semaines passées en France, en ce qu’elle aimait profondément le peuple algérien. Elle partageait depuis de nombreuses années la vie des familles du quartier populaire de Kouba, à Alger, et oeuvrait avec générosité au Centre d’Etudes diocésain, dans l’esprit de Charles de Foucauld (voir Fides 18/11/1995).
Les sept moines de Tiberine
Le 27 mars 1996, vers 01.30 locales, sept moines Trappistes français ont été enlevé de leur monastère Notre-Dame de l’Atlas, sis à Tiberine, dans la circonscription de Medea, à une centaine de kilomètres au sud-est d’Alger. En pleine nuit, un groupe d’hommes armés a frappé à la port du monastère, demandant que le moine âgé de 82 ans, qui était médecin, les suive. Face à l’opposition du Père Abbé, le groupe a fait irruption dans le monastère et a contraint six autres moines à le suivre.
Il s’agit de
Père Christian de Chergé, Abbé (59 ans, moine depuis 1969, en Algérie depuis 1971)
Frère Paul Favre Miville (57 ans, moine depuis 1984, en Algérie depuis 1989)
Frère Michel Fleury (52 ans, moine depuis 1981, en Algérie depuis 1985)
Frère Luc Dochier (82 ans, moine depuis 1941, en Algérie depuis 1946)
Père Célestin Ringeard (62 ans, moine depuis 1983, en Algérie depuis 1987)
Père Christophe Lebreton (45 ans, moine depuis 1974, en Algérie depuis 1987)
Père Bruno Lemarchand (66 ans, moine depuis 1981, en Algérie et au Maroc depuis 1990).
La communauté des Trappistes (Cisterciens de la stricte observance) de Tiberine a été fondée en 1934 par des moines provenant de Slovénie et annexée à l’Abbaye Notre-Dame d’Aiguebelle (Drome) en 1937. Après l’indépendance de l’Algérie, en 1962, les moines pensèrent dans un premier temps de fermer la communauté mais, par la suite, il fut décidé de maintenir cette présence chrétienne. Les religieux avaient reçu différentes menaces par le passé, visant à obtenir leur départ. La région de Medea est en effet considérée comme l’un des bastions des extrémistes islamiques. Une semaine avant l’enlèvement, le Père Abbé, bien que conscient du danger et en réponse à l’invitation des autorités visant à les faire quitter le monastère, avait confirmé à l’Archevêque d’Alger, la volonté unanime des moines de ne pas abandonner leur « lieu de prière et de service » en raison de leur vocation monastique.
Comme le confirma le Procureur général des Trappistes de l’époque, le Père Armand Veilleux, au moment de l’enlèvement, bien qu’ayant été menacés à plusieurs reprises, les moines « avaient d’excellents rapports avec la population locale. C’est pourquoi ils n’ont jamais voulu abandonner la région, de manière à rester aux côtés de la population avec laquelle ils vivent en communion depuis très longtemps. Ils sont également fortement engagés dans le dialogue entre chrétiens et musulmans. Des groupes fondamentalistes se sont déjà plusieurs fois adressés à eux pour demander leur collaboration et leur aide mais ils ont toujours refusé, tout comme ils ont refusé du reste également la protection de l’armée algérienne, dans le désir de demeurer totalement neutres ».
Le jeudi 23 mai 1996 la radio marocaine Méditerranée internationale 1 (Medi 1) a diffusé un communiqué par lequel le GIA (groupe islamique armé) déclarait « avoir ce matin coupé la gorge » aux sept moines Trappistes. Leurs dépouilles mortelles furent retrouvées une semaine après à peu de distance.
L’Abbé général des Cisterciens, le Père Bernardo Olivera, écrivit un message à ses confrères de par le monde, invitant dans un premier lieu à la prière : pour les familles des religieux tués, pour les citoyens d’Algérie, pour les chrétiens de l’Eglise d’Alger, déjà si fortement éprouvée, pour les religieux et religieuses assassinés au cours des deux dernières années. « Nous sommes profondément émus par ce qui est arrivé à nos frères – écrivait l’Abbé. Ils nous laissent un témoignage incroyable, celui de l’Evangile vécu jusqu’au bout, celui des Béatitudes ».
Répondant à l’invitation du Premier Ministre français de l’époque, Alain Juppé, adressé à l’ensemble de ses compatriotes pour qu’ils quittent immédiatement l’Algérie, l’Archevêque d’Alger, S.Exc. Mgr Henri Teissier, déclara : « Nous ne trahirons pas l’héritage d’abnégation et de sacrifice que nous ont laissé nos frères tués… Nous resterons. Nous n’abandonnerons pas nos amis musulmans dans un moment de difficulté. Ce sont de petits groupes qui nous attaquent, pas le peuple algérien ».
L’Evêque d’Oran, S.Exc. Mgr Pierre Claverie, natif d’Alger, qui aurait subi le même sort quelques semaines plus tard, réaffirma, lui aussi, la ferme volonté de l’Eglise de ne pas abandonner l’Algérie. « La population est bouleversée, la consternation est générale. Je reçois des appels téléphoniques d’algériens en larmes qui me disent : Où en sommes-nous arrivés ? Comment est-il possible d’arriver à ce point ? » Chaque jour, des victimes innocentes meurent en Algérie. Les chrétiens qui demeurent dans le pays ont lié leur vie à ce peuple dans le bien et dans le mal. La décision de l’Eglise de rester ne changera pas » (voir Fides 30/03 et 29/05/1996).
S.Exc. Mgr Pierre Lucien Claverie
Le 1er août 1996, en fin de soirée, l’Evêque d’Oran – dans l’ouest du pays – S.Exc. Mgr Pierre Lucien Claverie OP, a été tué par une bombe faite explosé à l’Evêché. De cet attentat fut également victime le jeune chauffeur de l’Evêque. Selon les reconstructions, la bombe fut placée à l’entrée de l’habitation de l’Evêque, immédiatement après la grille d’entrée et a explosé dès que l’Evêque est descendu de voiture. Mgr Claverie avait participé quelques heures auparavant à une cérémonie à Tiberine en souvenir des sept moines Trappistes assassinés.
Le Père général des Dominicains, le Père Timothy Radcliffe, dans un communiqué intitulé « Pierre Claverie, une vie donnée » se souvient que Mgr Claverie avait donné sa vie consciemment pour l’Eglise d’Algérie, pour la paix et la fraternité de ce pays. « Comme les moines de Tiberine, il connaissait les risques qu’il courrait mais son choix a été de rester en signe de solidarité avec le peuple algérien et avec tous ceux qui travaillent pour la paix ». Le Père Radcliffe rappela que Mgr Claverie s’était exprimé quelque temps auparavant sur le sens de cette présence, comme naturelle pour la vocation et la mission de l’Eglise, présente là où s’ouvrent les blessures qui crucifient l’humanité dans son corps et dans son unité. Le Père Radcliffe se souvenait encore dans son Message de la détermination et de la joie de l’Evêque suite à son choix, « la joie de quelqu’un qui sait qu’il a mis sa vie en de bonnes mains. En continuité avec le sacrifice de tant d’autres victimes en Algérie, croyants et musulmans aimant la paix, le sacrifice de notre frère sera, comme le sacrifice de Jésus, source de paix pour notre monde de violence ».
Mgr Pierre Lucien Claverie, de l’Ordre des Frères Prêcheurs, Evêque d’Oran, est né à Alger le 8 mai 1938 et était algérien depuis quatre générations. Entré dans l’ordre des Dominicains en 1958, il avait étudié en Algérie et en France. Au Caire, il avait fréquenté l’Institut dominicain d’Etudes orientales (IDEO). Il avait été ordonné prêtre le 4 juillet 1965. Elu à l’Eglise résidentielle d’Oran le 12 mai 1981, il avait reçu l’Ordination épiscopale le 2 octobre de cette même année, des mains de S.Em. le Cardinal Duval, Archevêque d’Alger. Malgré les innombrables dangers, Mgr Claverie avait toujours voyagé pour visiter ses communautés, qu’il encourageait de toutes les manières, confirmant leur foi et leur engagement en faveur de la paix.
Il avait de nombreuses amitiés également au sein du monde musulman, du moment que son instruction et son profond respect de sa culture étaient très appréciés. Il s’agissait de l’une des personnalités ecclésiastiques les plus engagées de l’Eglise catholique en Algérie. Il a dirigé le Centre de formation chrétienne et était également membre du Conseil pontifical pour le Dialogue interreligieux. A plusieurs reprises, l’Evêque avait invité les algériens à la compréhension et au dialogue. Personne très franche, il ne perdit jamais une occasion pour dénoncer la violence politique, les tristes conditions de vie de la population et pour condamner les groupes intégristes (voir Fides 09/08/1996)
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ESPAÑOL ---
Argelia, historias de martirio
La Santa Sede ha reconocido el martirio del obispo de Orán, Pierre Claverie, y de sus 18 compañeros, -sacerdotes, religiosos y religiosas-, asesinados entre 1994 y 1996 en Argelia. Una búsqueda en los archivos de la Agencia Fides revela el valioso patrimonio de su experiencia de fe.
El Santo Padre autorizó el 26 de enero la publicación del decreto que reconoce el martirio del obispo de Orán, Pierre Claverie, y de 18 compañeros, -sacerdotes, religiosos y religiosas-, asesinados entre 1994 y 1996 en Argelia.
Se calcula que unas doscientas mil personas murieron en esos años de crisis y gran tensión social, que comenzó en 1992 con la cancelación de las elecciones ganadas, en la primera ronda, por el Fis (Frente Islámico de Salvación). El terrorismo islamista también fijó como objetivo a los extranjeros y a la pequeña comunidad católica, integrada en gran parte por misioneros europeos, pero “la intolerancia religiosa no tiene nada que ver con eso”, aseguró en varias ocasiones el obispo Henry Teissier, entonces arzobispo de Argel. “La ola de violencia que afecta a Argelia tiene su origen en una lucha por el poder. Lo más grave es que los círculos que intentan tomar el poder esgrimen argumentos religiosos para legitimar su violencia”(Agencia Fides, 8/8/94).
“Caminando con el pueblo argelino nos encontramos en la cumbre de una crisis cuyo final se hace esperar - escribían los obispos argelinos en su mensaje del 2 de enero de 1994 a propósito de la grave situación -. No podemos saber qué nos depara el futuro. Debemos ayudarnos unos a otros a vivir esto... Cada uno, de vez en cuando, debe poder contar con la ayuda de sus hermanos y hermanas más cercanos. En estos tiempos de incertidumbre, continuad haciendo vuestro trabajo concienzudamente, sabiendo establecer, junto a los muchos amigos argelinos, cimientos firmes para el futuro. Queremos agradecer a Dios esta serenidad y tenacidad en medio de dificultades cotidianas, a veces angustiosas”.
Todos los misioneros que fueron asesinados eran conscientes de los riesgos que corrían, y estaban al tanto de las peticiones de sus respectivos gobiernos nacionales, así como de las congregaciones religiosas a las que pertenecían y de los pastores locales de la Iglesia, pero siempre habían respondido, -incluso algunos días antes de su muerte-, que se quedarían en el país que amaban, con las personas que amaban, que formaban parte de la misión que el Señor les había confiado.
El prior de Notre Dame de Atlas, el padre Christian Marie de Chergé, había escrito tres años antes de su trágica muerte, una suerte de testamento espiritual: “Si algún día sucediera (e incluso pudiera ser hoy), que fuera una víctima del terrorismo, -que parece tener en el punto de mira a todos los extranjeros que viven en Argelia-, me gustaría que mi comunidad, mi Iglesia, mi familia recuerden que mi vida fue dada a Dios y a este país ... De esta vida perdida, totalmente mía y totalmente de ellos, doy gracias a Dios porque parece haberla querido por entero para esta alegría, por encima de todo y a pesar de todo. En este “gracias”, en el que ya está dicho todo de mi vida, los incluyo a ustedes, por supuesto, amigos de ayer y de hoy, y a ustedes, amigos de aquí, junto con mi madre y mi padre, mis hermanas y mis hermanos y a ellos, ¡céntuplo regalado como había sido prometido! Y a ti también, amigo del último instante, que no sabrás lo que estés haciendo, sí, porque también por ti quiero decir este gracias y este a-Dios en cuyo rostro te contemplo”. (Fides 10/6/1996)
Los Obispos de CERNA (Conferencia Episcopal Regional de África del Norte) escribieron: “Estamos agradecidos de recordar a nuestros diecinueve hermanos y hermanas como mártires, es decir, -tal y como reza el significado de la misma palabra- , testigos del mayor amor, del dar la vida por los que se aman. Ante el peligro de muerte omnipresente en el país, tomaron la decisión, -aún a riesgo de sus propias vidas-, de vivir hasta las últimas consecuencias los lazos de hermandad y amistad que habían entablado con sus hermanos y hermanas argelinos a través del amor. Los lazos de fraternidad y amistad eran más fuertes que el miedo a la muerte”.
“Su muerte reveló que sus vidas estaban al servicio de todos: los pobres, las mujeres en dificultades, los discapacitados, los jóvenes, todos los musulmanes ... Los más afligidos en el momento de su trágica muerte fueron sus amigos y vecinos: los musulmanes, que se avergonzaban de que el nombre del Islam hubiera sido usado para cometer tales actos”. “Pero hoy no miramos el pasado - exhortan los obispos -. Estas beatificaciones son una luz para nuestro presente y para nuestro futuro. Gritan que el odio no es la respuesta adecuada al odio, que no existe una espiral de violencia que sea inevitable. Quieren ser un paso hacia el perdón y la paz para todos los hombres, comenzando desde Argelia y más allá de las fronteras de Argelia”. (Fides 27/1/2018).
El hermano Henri Verges y la hermana Paule-Helene Raymond
Domingo, 8 de mayo de 1994. Dos jóvenes hombres armados mataron a dos misioneros franceses en el barrio de la Casbah de Argel. Son el hermano Henri Verges, de los Hermanos Maristas de 64 años; y la hermana Paule-Hélène Raymond, de 67, de las Petit Soeurs de la Asunción. Los jóvenes llamaron a la puerta del Centro Cultural de Ben-Cheneb, una biblioteca abierta a los estudiantes en la que cuentan con libros y espacios para trabajar, a cargo de los Maristas con la colaboración de los Asuncionistas. La hermana Paule-Helene dio la bienvenida a los dos jóvenes y les pidió su carnet. Como no contaban con él, la religiosa les condujo hasta el hermano Henri para proporcionárselo. Entonces los jóvenes apuntaron con sus armas a los misioneros, los asesinaron y huyeron.
El hermano Henri, en Argelia desde 1969, quería ser amigo de todos, un instrumento de paz para el país y para el mundo. Había trabajado para ayudar a las víctimas del terremoto de 1980 y se dedicó especialmente a los pobres. La hermana Paule-Helene Raymond vivió en Argelia desde 1964, donde trabajó como enfermera, asistente familiar y trabajadora social. En el momento de los hechos trabajaba en la biblioteca. Había decidido permanecer en Argelia a pesar de los riesgos y advertencias: “Tenemos que empezar a luchar contra la propia violencia” escribió sobre esta situación. También a monseñor Teissier a quien habló sobre el peligro que corrían los religiosos con estas palabras: “Padre, en cualquier caso, nuestras vidas ya han sido entregadas”.
(Fides, 24 de mayo de 1994)
La hermana Ester Paniagua y la hermana María Caridad Álvarez
El domingo, cuando la Iglesia celebra la Jornada Mundial de las Misiones, el 23 de octubre de 1994, dos religiosas españolas de las Misioneras Agustinas fueron asesinadas en el barrio de Bab El Oued en Argel. Eran la hermana Esther Paniagua, de 45 años, natural de la provincia de León; y la hermana María Caridad Álvarez, de 61 años, de la provincia de Burgos. Las hermanas habían salido de su casa para asistir a la misa dominical en la Iglesia de las Hermanitas de Charles de Foucault, cuando fueron tiroteadas por los terroristas. En la puerta del convento quedó encajada una de las balas que alcanzó a Sor Ester mientras estaba intentando entrar.
La Hermana Ester y la Hermana María habían trabajado durante muchos años en la asistencia a niños y ancianos, en guarderías y hospitales. Además, eran profesoras en una escuela profesional para niñas musulmanas, y muy apreciadas y queridas por los argelinos. Unas semanas antes habían decidido quedarse en Argelia, -a pesar de la peligra situación-, junto con otros religiosos de su comunidad, para ser fieles al Evangelio, por el bien del pueblo de Argelia y para compartir el mismo destino que las comunidades locales. (Fides 29 de octubre de 1994)
Los cuatro padres blancos
Cuatro sacerdotes de los Misioneros de África, conocidos como los Padres Blancos, murieron en el tiroteo 27 de de diciembre de 1994 en la misión de Tizi-Ouzou, capital de provincia, en la región de la Cabilia, a un centenar de kilómetros de Argel. Eran el padre Jean M. Chevillard, francés, 69 años; el padre Alain Dieulangard, francés, de 75 años; el padre Christian Chessel, francés, de 36 años de edad; el padre Charles Deckers, belga, 70 años. Los terroristas, disfrazados de policías, llegaron al convento a la hora del almuerzo, pidiendo al superior, el padre Chevillard, que lo acompañaran para firmar unos documentos. Mientras intentaba llamar al comisario, a quien conocía bien, fue asesinado con una ráfaga de disparos de Kalashnikov. El padre Deckers fue la segunda víctima. Los padres Dieulangard y Chessel trataron de huir para pedir ayuda, pero ambos fueron asesinados por disparos que los alcanzaron por la espalda.
En Tizi-Ouzou los Padres Blancos trabajaban por crear una gran biblioteca abierta a todos, sin importar la raza o la religión, que fuera un punto de referencia para los estudiantes. Tres de los misioneros asesinados residían en Argelia desde la década de 1950 mientras que el más joven, el padre Chessel, estaba allí desde hacía