Le Nazioni Unite dipingono un paese in crisi, in cui non esistono istituzioni e processi democratici, la libertà di stampa è inesistente, il servizio militare è a tempo indeterminato e i rapporti con tutte le nazioni vicine sono pessimi. Anche le comunità religiose soffrono
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«L’Eritrea è il paese con meno libertà al mondo». Ad affermarlo non è un oppositore del presidente Isayas Afeworki e neanche una dichiarazione dell’odiato governo etiope, bensì un documento ufficiale delle Nazioni Unite. Il rapporto, frutto del lavoro di una Commissione d’inchiesta sui diritti umani che ha preso in esame le testimonianze di 550 eritrei e ha visionato 160 scritti (ma alla quale è stato impedito di entrare nello Stato), accusa il governo eritreo di «sistematiche, diffuse e gravi violazioni dei diritti umani», tra le quali torture, violenze sessuali, sparizioni e lavori forzati. L’Eritrea è dipinta come una «Corea del Nord africana» nella quale non esistono istituzioni e processi democratici, la libertà di stampa è inesistente, il servizio militare è a tempo indeterminato e i rapporti con tutte le nazioni vicine sono pessimi.
Alle radici della crisi
Ma come si è arrivati a questa situazione? La situazione attuale affonda le radici nella storia del Paese. Ex colonia italiana, l’Eritrea, dopo il periodo di protettorato britannico (1941-1952), viene prima federata e poi annessa alla vicina Etiopia (allora retta dal negus Hailè Selassiè). A partire dagli anni Sessanta, gli eritrei, sempre più insofferenti al controllo etiope, danno il via a una trentennale guerra di indipendenza. Lo spirito nazionale si forgia in questa lotta. Lo sforzo dei miliziani che combattono sul campo si unisce a quello degli eritrei della diaspora che raccolgono i fondi e lavorano per trovare il sostegno internazionale. Tra i vari movimenti, negli anni Settanta emerge il Fronte di liberazione del popolo eritreo (Eplf). Il suo leader, Isayas Afeworki, assume una linea marxista, ma indipendente dal blocco sovietico che, in quegli anni, sostiene l’Etiopia (nel frattempo l’impero negussita è caduto e, al suo posto, è nata una repubblica popolare). La guerra continua fino al 1991 quando Mengistu Hailè Mariam, il leader etiope, si dimette e fugge. L’Eplf, alleato con una frangia della resistenza etiope, prende il controllo del territorio e nel 1993, grazie a un referendum, svoltosi sotto l’egida dell’Onu, l’Eritrea diventa indipendente.
«Quando l’Eritrea è diventata indipendente - ricorda un italiano che dagli anni Sessanta ha sostenuto i ribelli eritrei - pensavamo si trasformasse in un nuovo Sudafrica e che Isayas Afeworki diventasse il suo Nelson Mandela. Mai ci siamo sbagliati di tanto». Nei primi anni, l’Eritrea è pervasa da grande entusiasmo. Molti eritrei della diaspora tornano in patria per investire in attività e vivere nel loro Paese. L’Eplf, movimento guerrigliero, si trasforma in Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (Pfdj) e si istituzionalizza. Si inizia a parlare di democrazia e di una nuova Costituzione. In effetti, una Carta costituzionale vede la luce nel 1997, ma non entra in vigore. Anche perché sul Paese soffiano i venti di guerra. Etiopia ed Eritrea, riappacificate dopo l’indipendenza di Asmara e la salita al potere ad Addis Abeba di un governo a maggioranza tigrina, tornano a guardarsi in cagnesco.
Nuove tensioni
Le tensioni nascono per un mancato accordo commerciale. Basta poi una disputa di confine per accendere il conflitto. Lo scontro dura dal 1998 al 2000. Rimangono sul terreno 150mila soldati eritrei ed etiopi. La soluzione della disputa di confine è assegnata a una commissione indipendente dell’Onu. La Eritrea-Ethiopia Boundary Commission termina la sua indagine nel 2002, stabilendo che la città contesa di Badme appartiene all’Eritrea. Tuttavia il governo etiope non ha mai ritirato il suo esercito dalla città. La tensione tra i due Paesi rimane quindi alta e non scema neanche negli anni successivi.
Il clima pesante con l’Etiopia è funzionale al potere di Isayas. Il presidente, invocando l’accerchiamento da parte di potenze ostili e l’impossibilità di introdurre un sistema democratico, stringe sempre di più le maglie della repressione nei confronti di chi critica il regime. Nel 2001 un gruppo di 15 membri del Pfdj gli invia una lettera nella quale chiede riforme democratiche, l’applicazione della Costituzione ed elezioni. La lettera ha eco sui media nazionali e internazionali. Isayas risponde duramente. Undici dei 15 vengono arrestati, tre si mettono in salvo all’estero e uno ritratta. Degli undici arrestati non si saprà più nulla. In assenza di una Costituzione, il sistema istituzionale si frantuma. Il potere giudiziario viene affidato a giudici militari nella sua branca penale e a corti comunitarie nel suo ramo civile. Entrambi però rimangono sotto il rigido controllo governativo. I nuovi codici penale e civile non vengono applicati. Il parlamento, monopolizzato dal Pfdj, non funziona. I media, pilastro di qualsiasi democrazia, sono chiusi. Oggi non esistono media privati in Eritrea e gli unici mezzi di comunicazione esistenti sono sotto il controllo del partito politico dominante. La repressione si fa durissima.
I problemi per le comunità religiose
Anche le diverse confessioni religiose subiscono una crescente interferenza nelle proprie attività da parte dell’autorità politica. Ufficialmente, l’Eritrea è uno Stato laico nel quale la pratica religiosa è una questione lasciata alla coscienza individuale. In realtà, fin dalla fondazione, l’Eplf e poi il Pfdj sono dominati da leader cristiani ortodossi che hanno sempre rapporti poco cordiali con la componente musulmana. Così, fin dai primi giorni dopo l’indipendenza, molti musulmani sono arrestati con l’accusa di essere jihadisti che mettono in pericolo la sicurezza del Paese. Negli anni, sono poi incarcerati anche numerosi imam e leader delle comunità islamiche, colpevoli di aver criticato il governo. La stessa sorte tocca ai Testimoni di Geova e alle comunità pentecostali. Nel 2002, tutte le confessioni religiose sono bandite a eccezione dell’Islam sunnita, della Chiesa cattolica, di quella ortodossa e quella luterana. Ma anche la Chiesa ortodossa subisce dure pressioni. Nel 2007 il patriarca abuna Antonios è costretto a dimettersi ed è posto agli arresti domiciliari per le sue critiche al regime.
Solo la Chiesa cattolica riesce a mantenere un ruolo di autonomia. Nel 2014 i quattro vescovi pubblicano una Lettera pastorale nella quale denunciano lo stato critico della società, causa prima della fuga dei giovani dal Paese. Nel documento, i vescovi elencano i gravi problemi che devono affrontare gli eritrei, in primo luogo la frammentazione delle famiglie, i cui membri sono dispersi a causa del lungo servizio militare, o perché rinchiusi in prigione. Di conseguenza le persone anziane sono abbandonate a loro stesse. «Tutto questo crea un paese desolato», denuncia la lettera pastorale.
Un paese isolato
Il servizio militare di leva è il tributo che il paese deve pagare alla politica estera aggressiva del governo di Asmara. Dagli anni Duemila, tutti i giovani a 17 anni interrompono gli studi e sono arruolati per una ferma «a tempo indeterminato». Nei centri di addestramento domina la violenza da parte degli ufficiali. La maggior parte dei giovani viene costretta a lavori di corvée nelle tenute dei generali o di manutenzione delle strutture pubbliche. Di fronte a questa situazione, i ragazzi cercano di fuggire. Molti di essi, si affidano alle reti di trafficanti in combutta con ufficiali (specie i generali) corrotti. Statistiche delle organizzazioni internazionali parlano di 2-3mila ragazzi che lasciano l’Eritrea ogni mese. Forse sono dati sovrastimati, ma è certo che il flusso di ragazzi è continuo.
L’Eritrea è un Paese isolato. Dal 2006, gli Stati Uniti impongono sanzioni su Asmara per l’appoggio che questa avrebbe fornito alle milizie somale al Shabaab. Con l’Etiopia continuano le tensioni che, sporadicamente, sfociano in scontri armati. La breve guerra con Gibuti nel 2013 crea tensione anche con il piccolo Stato. Tensione che non è ancora svanita. Per uscire da questo isolamento, l’Eritrea aderisce alla coalizione saudita che combatte in Yemen contro i ribelli houti. Asmara concede i propri porti come basi logistiche per le navi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Nel 2014 accetta poi di partecipare agli incontri di Karthoum nei quali l’Unione europea chiede ai paesi dell’Africa orientale di contenere i flussi dei migranti in cambio di aiuti finanziari. Nonostante ciò il Paese rimane chiuso a ogni influenza esterna. Tanto da negare l’accesso agli aiuti internazionali in occasione della recente siccità. Quale sarà il suo futuro? Difficile dirlo. Il rischio è che lo Stato imploda, lasciando ai propri cittadini solo le macerie di un sogno.
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ENGLISH ---
Eritrea: "Africa’s North Korea"
«Eritrea is the country with less freedom in the world ». These words come not from someone who opposes president Isayas Afeworki or from the hated government of Ethiopia, instead they come from an official United Nations paper. The report, produced by an investigating human rights Commission which listened to the testimony of 550 Eritreans and examined 160 papers (but was not allowed to enter the country), accuses the Eritrean government of «systematic, widespread and grave violation of human rights», including torture, sexual violence, disappearances, forced labour. Eritrea is described as « The ‘North Korea’ of Africa » where democratic institutions and processes do not exist, nor does freedom of press, military service is indefinite and the country’s relations with all neighbour states are disastrous.
The roots
But how did this situation arise? The roots lie in the country’s history. A former Italian colony, Eritrea, following a period British protectorate (1941-1952), is first federated and then annexed to its neighbour Ethiopia (ruled at thetime by Negus (king) Hailè Selassiè). In the early sixties the Eritreans, tired of Ethiopian control, started a war of independence which was to last thirty years. In the struggle the national spirit is forged. The efforts of militia fighting in the field are joined by those of Eritreans in the diaspora collecting funds and finding international support. Among various movements, in the 1970s there emerges the Eritrean Peoples Liberation Front EPLF. Its leader, Isayas Afeworki, takes a Marxist line, although independent from the Soviet Block which in those years supports Ethiopia (in the meantime the Negus empire falls and in its place a peoples republic is born). The war continues until 1991 when Mengistu Hailè Mariam, the Ethiopian leader, resigns and flees the country. The EPLF, allied with a fringe of the Ethiopian resistance, takes control of the territory and in 1993, thanks to a referendum held under the aegis of the United Nations Organization, Eritrea becomes independent.
«When Eritrea became independent – says an Italian who since the 1960s has supported the Eritrean rebels – we thought it would become a new South Africa and that Isayas Afeworki would become Eritrea’s Nelson Mandela. However we were quite wrong ». In the early years, Eritrea is pervaded with great enthusiasm. Many Eritreans return from the diaspora to invest in activities and reside in the country. The EPLF, guerrilla movement becomes the Peoples Front for Democracy and Justice , PFDJ and is institutionalised. There is talk of democracy and a new Constitution. In fact a Constitutional paper appears in 1997, but without coming into force. Also because winds of war are blowing over the country. Pacified with the independence of Asmara and the coming to power in Addis Ababa of a government with a Tigrinya majority, Ethiopia and Eritrea begin to look at each other once more with suspicion
New tensions
Tensions arise over a failed commercial agreement. And a border dispute is enough to trigger a conflict. The war lasts from 1998 to 2000. The fighting claims 150,000 dead soldiers, Eritrean and Ethiopian. The solution to the border dispute is assigned to an independent commission , the Eritrea-Ethiopia Boundary Commission which concludes its work in 2002, establishing that the contested city of Badme belongs to Eritrea. Nevertheless the Ethiopian government never withdraws its troops from that city. Tension between the two countries remains high, even in later years.
Difficult relations with Ethiopia are functional to the power of Isayas. The president, invoking encirclement by hostile powers and the impossibility to introduce a democratic system, continually tightens the meshes of repression regarding any criticism of the regime. In 2001 a group of 15 members of the PFDJ movement writes a letter demanding democratic reforms, the application of the Constitution and elections. The letter attracts the attention of the national and international media. Isayas replies harshly. Eleven of the 15 are arrested, three flee the country and one recants. Of the eleven arrested, nothing more will be heard. In the absence of a Constitution the institutional system crumbles. Judiciary power is entrusted to military judges in its penal branch and community courts in its civil branch. Both however remain under rigid government control. The new penal and civil codes are not applied. Parliament, monopolised by the PFDJ, fails to function. The media, pillars of every democracy, are shut down. Today there are no private media in Eritrea and the only existing means of communication are controlled by the dominant Party. Repression is ever harsher.
Difficulties encountered by religious communities
Religious confessions are subject in their activity to increasing interference by the political authorities. Officially, Eritrea is a lay State in which religious practice is a matter left to the individual conscience. In actual fact, from its foundation, the EPLF and then the PFDJ are dominated by Christian Orthodox leaders with far from cordial relations with the Muslim component. Therefore in the early days of independence many Muslims are arrested, accused of being Jihadists and a threat to national security. As the years pass, numerous imam and leaders of Islamic communities are arrested for criticizing the government. The same fate falls to Jehova Witnesses and Pentecostal communities. In 2002 all religious communities are banned with the exception of Sunni Islam and Christianity, Catholic, Orthodox and Lutheran communities. But the Orthodox Church is subject to more pressure. In 2007 Patriarch Abuna Antonios is forced to resign and put under house arrest for his criticism of the regime.
Only the Catholic Church succeeds in maintaining its autonomous role. In 2014 the four bishops issue a joint Pastoral letter in which they denounce the critical situation of society, primary cause of the country’s youth drain. In the letter the bishops list serious difficulties facing Eritreans, first of all the fragmentation of families, whose members are dispersed due to lengthy military service or imprisonment. As a result elderly family members are left to fend for themselves. «All this determines a desolate country», the pastoral letter denounces.
An isolated country
Indefinite military service is the tribute the country is forced to pay to the aggressive foreign policy of Asmara. Starting from the year 2000 all young men aged 17 interrupt their studies and enrol in compulsory military service for « an indefinite period of time ». In training centres violence by officers reigns. The majority of the young men are put on fatigues on generals’ properties or forced labour on public structures. Faced with this situation the boys seek to escape. Many join drug traffickers in collusion with corrupt officers (generals in particular). Statistics issued by international bodies speak of 2-3 thousand youths leaving Eritrea every month. The figure may be overestimated but what is certain is that the exodus of young men is continual.
Eritrea as a country is isolated. Since 2006, the United States imposes sanctions on Asmara for its suspected support to Somali al Shabaab militia. With Ethiopia, tension continues, sporadically exploding in armed clashes. A brief war with Djibouti in 2013 triggered tension also with this small state. Tension which has still not subsided. To escape isolation Eritrea joins the Saudi coalition fighting in Yemen against Houthi rebels. Asmara concedes its ports as logistic bases for the ships of Saudi Arabia and the United Arab Emirates. In 2014 she accepts to take part in meeting in Karthoum during which the European Union asks the countries of east Africa to restrain the flow of migrants in exchange for financial aid. But the country remains closed to any form of external influence. Even to the point of refusing international aid during the recent period of drought. What will be its future? Difficult to say. The risk is that the State may implode bequeathing to its citizens the ruins of a dream.
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FRANÇAIS ---
Erythrée : une «Corée du Nord africaine»
« L’Erythrée est le pays disposant de moins de libertés au monde ». C’est ce qu’affirme non pas un opposant au Président Isayas Afeworki ou une déclaration du gouvernement haï de l’Ethiopie voisine mais un document officiel des Nations unies. Le rapport, fruit du travail d’une Commission d’enquête sur les droits fondamentaux qui a examiné les témoignages de 550 érythréens et visionné 160 écrits – mais à laquelle il a été interdit de pénétrer sur le territoire de l’Etat – accuse le gouvernement érythréen de « violations systématiques, diffuses et graves des droits fondamentaux » dont le recours à la torture, aux violences sexuelles, aux disparitions et aux travaux forcés. L’Erythrée est décrite comme une « Corée du Nord africaine » au sein de laquelle n’existent ni institutions ni processus démocratiques, où la liberté de presse est inexistante, le service militaire étant à durée indéterminée et les rapports avec les nations voisins très mauvais.
A la base
Comment est-on parvenu à cette situation ? Le cadre actuel se fonde sur l’histoire du pays. Ancienne colonie italienne, l’Erythrée, après la période de protectorat britannique (1941-1952), fut d’abord fédérée puis annexée par l’Ethiopie voisine, alors gouvernée par l’Empereur Hailè Selassiè. A compter des années 1970, les érythréens, tolérant toujours plus mal le contrôle éthiopien, débutèrent une guerre pour l’indépendance qui dura trente ans. L’esprit national se forgea au cours de cette lutte. Les efforts des miliciens combattant sur le terrain s’unit à ceux des érythréens de la diaspora qui collectèrent des fonds et travaillèrent afin d’obtenir un soutien international. Parmi les différents mouvements émergea à cette même époque le Front de libération du peuple érythréen (EPLF). Son responsable, Isayas Afeworki, adopta une ligne marxiste mais indépendante du bloc soviétique qui, en ces années-là, soutenait l’Ethiopie. En effet, entre temps, le Négus avait été renversé et remplacé par une république populaire. La guerre se poursuivit jusqu’en 1991 lorsque Mengistu Hailè Mariam, le Chef de l’Etat éthiopien, démissionna et s’enfuit. L’EPLF, allié à une frange de la résistance éthiopienne, prit le contrôle du territoire et, en 1993, grâce à un référendum effectué sous l’égide de l’ONU, l’Erythrée devint indépendante.
« Lorsque l’Erythrée est devenue indépendante – se souvient un italien qui a soutenu les rebelles érythréens à compter des années 1970 – nous pensions qu’elle allait se transformer en une nouvelle Afrique du Sud et qu’Isayas Afeworki aurait été son Nelson Mandela. Jamais nous ne nous sommes autant trompé ». Au cours des premières années, l’Erythrée est pleine d’enthousiasme. De nombreux érythréens expatriés retournent dans leur partie pour investir dans des activités et vivre dans leur pays. L’ELPF, mouvement de guérilla, se transforme en Front populaire pour la Démocratie et la Justice (PFDJ) et s’institutionnalise. On commence à parler de démocratie et d’une nouvelle Constitution. En effet, une Charte constitutionnelle voit le jour en 1997 mais elle n’entre pas en vigueur, notamment parce que, sur le pays, soufflent des vents de guerre. L’Ethiopie et l’Erythrée, qui s’étaient réconciliées après l’indépendance d’Asmara et l’arrivée au pouvoir à Addis Abeba d’un gouvernement à majorité tigréenne, recommencent à se regarder de travers.
Nouvelles tensions
Les tensions naissent à cause d’un accord commercial avorté. Il suffit ensuite d’une dispute de frontière pour faire éclater le conflit, qui durera de 1998 à 2000, faisant 150.000 morts parmi les militaires érythréens et éthiopiens. La résolution de la dispute frontalière est confiée à une commission indépendante de l’ONU, la Eritrea-Ethiopia Boundary Commission, qui achève son enquête en 2002, établissant que la ville disputée de Badme appartient à l’Erythrée. Toutefois, le gouvernement éthiopien n’a jamais retiré ses troupes de la ville et la tension entre les deux pays demeure élevée y compris au cours des années suivantes.
Le lourd climat avec l’Ethiopie est fonctionnel au pouvoir d’Isayas Afeworki. En invoquant l’encerclement de la part de puissances hostiles et l’impossibilité d’introduire un système démocratique, le Président resserre toujours davantage les mailles du filet de la répression vis-à-vis de ceux qui critiquent le régime. En 2001, un groupe de 15 membres du PFDJ lui envoie une lettre dans laquelle il demande des réformes démocratiques, l’application de la Constitution et des élections. La lettre connaît un écho dans les moyens de communication nationaux et internationaux. Isayas Afeworki répond durement. Onze des quinze auteurs de la lettre sont arrêtés, trois se réfugient à l’étranger et un autre rétracte. Des onze arrêtés, on ne saura plus rien. En l’absence d’une Constitution, le système institutionnel se délite. L’autorité judiciaire est confiée à des juges militaires en ce qui concerne le pénal et à des cours communautaires pour les causes civiles, les deux branches demeurant cependant sous un contrôle rigide de la part du gouvernement. Les nouveaux Codes, pénal et civil, ne sont pas appliqués. Le Parlement, monopolisé par le PFDJ, ne fonctionne pas. Les moyens de communication, pilier de toute démocratie, sont fermés. Aujourd’hui, il n’existe pas de moyens de communication privés en Ethiopie et les seuls existant sont sous le contrôle du parti politique dominant. La répression se fait très dure.
Problèmes liés aux communautés religieuses
Les différentes confessions religieuses subissent, elles aussi, une croissante interférence dans leurs propres activités de la part de l’autorité politique. Officiellement, l’Erythrée est un Etat laïc au sein duquel la pratique religieuse est une question laissée à la conscience individuelle. En réalité, depuis sa fondation, l’EPLF puis le PFDJ sont dominés par des responsables chrétiens orthodoxes qui ont toujours des rapports peu cordiaux avec la composante musulmane. Ainsi, dès les premiers jours ayant suivi l’indépendance, de nombreux musulmans ont été arrêtés sous l’accusation d’être des djihadistes qui mettaient en danger la sécurité du pays. Au fil des ans, ont ensuite été incarcérés également de nombreux imams et responsables des communautés islamiques, coupables d’avoir critiqué le gouvernement. Le même sort a également concerné les Témoins de Jéhovah et les communautés pentecôtistes. En 2002, toutes les communautés religieuses ont été interdites à l’exception de l’islam sunnite, de l’Eglise catholique, de l’Eglise orthodoxe et de la communauté luthérienne. Cependant même l’Eglise orthodoxe subit de fortes pressions. En 2007, le Patriarche Antonios a été contraint à démissionner et placé en résidence surveillée à cause de ses critiques à l’encontre du régime.
Seule l’Eglise catholique parvient à conserver un rôle caractérisé par son autonomie. En 2014, les quatre Evêques du pays ont publié une Lettre pastorale dans laquelle ils dénonçaient l’état critique de la société, première cause de la fuite des jeunes hors du pays. Dans le document, les Evêques établissaient la liste de graves problèmes devant être affrontés par les érythréens, en premier lieu desquels la fragmentation des familles, dont les membres sont dispersés à cause du long service militaire ou de la détention ce qui a pour conséquence que les personnes âgées sont abandonnées à elles-mêmes. « Tout cela crée un pays désolé » dénonçait la Lettre pastorale.
Un pays isolé
Le service militaire obligatoire constitue le tribut que le pays doit payer à la politique étrangère agressive du gouvernement d’Asmara. Depuis les années 2000, tous les jeunes interrompent leurs études à 17 ans et sont enrôlés pour un service « à durée indéterminée ». Dans les centres d’entraînement, domine la violence de la part des officiers. La majeure partie des jeunes est contrainte à des corvées dans les propriétés des officiers généraux ou à des travaux de maintenance des structures publiques. Face à cette situation, les jeunes tentent de fuir. Nombre d’entre eux ont recours à des réseaux de trafiquants complices d’officiers – souvent des généraux – corrompus. Des statistiques réalisées par des organisations internationales font mention de 2.000 à 3.000 jeunes gens quittant l’Erythrée chaque mois. Ces données sont peut-être surestimées mais il est certain que le flux de ces jeunes est continuel.
L’Erythrée est un pays isolé. Depuis 2006, les Etats-Unis imposent des sanctions à Asmara à cause de l’appui que son gouvernement aurait fourni aux milices somaliennes des Shabaabs. La tension continue avec l’Ethiopie, débouchant sporadiquement sur des affrontements armés. La courte guerre avec Djibouti, en 2013, a créé des tensions également avec ce petit Etat, tensions qui n’ont pas encore disparu. Pour sortir de son isolement, l’Erythrée a adhéré à la coalition saoudienne qui combat au Yémen contre les rebelles houtis. Asmara a concédé ses ports comme bases logistiques aux bâtiments saoudiens et émiratis. En 2014, elle a par ailleurs accepté de participer aux rencontres de Khartoum dans le cadre desquelles l’Union européenne demande aux pays d’Afrique orientale de contenir les flux de migrants en échange d’aides financières. Malgré cela, le pays demeure fermé à toute influence extérieure, au point de nier l’accès à son territoire aux aides internationales au cours de la récente sécheresse. Quel sera son avenir ? Il est difficile de le dire mais le risque est que l’Etat implose, ne laissant à ses ressortissants que les ruines d’un rêve.
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Eritrea: una “Corea del Norte africana”
«Eritrea es el País con menos libertad en el mundo». Y quien lo afirma no es un opositor del presidente Isayas Afeworki ni tampoco una declaración del odiado gobierno etíope, sino un documento oficial de las Naciones Unidas. El informe, fruto del trabajo de una Comisión de investigación sobre los derechos humanos que ha examinado los testimonios de 550 eritreos y ha visionado 160 escritos (pero a la que le han impedido entrar en el Estado), acusa al gobierno eritreo de «sistemáticas, difusas y graves violaciones de los derechos humanos», entre los cuales torturas, violencias sexuales, desapariciones y trabajos forzados. Eritrea es definida como una «Corea del Norte africana» en la cual no existen instituciones y procesos democráticos, la libertas de prensa es inexistente, el servicio militar es a tiempo indefinido y las relaciones con todas las naciones cercanas son pésimas.
En la raíz
¿Pero cómo se ha llegado a esto? La situación actual tiene sus orígenes en la historia del país. Eritrea, antigua colonia italiana, después del período del protectorado británico (1941-1952), en un primer momento se federo y luego se anexo a la vecina Etiopía (entonces gobernada por el negus Hailè Selassie). A partir de la década de 1960, los eritreos, cada vez menos contentos con el control etíope, lanzaron una guerra de independencia que duró treinta años. El espíritu nacional se forjó en esta lucha. Los esfuerzos de los milicianos en el campo se unieron con los de los eritreos en la diáspora que recaudaban fondos y trabajaban para encontrar apoyo internacional. Entre los diversos movimientos, en los años setenta emergió el Frente de Liberación del Pueblo de Eritrea (Eplf). Su líder, Isayas Afeworki, asumió una línea marxista, pero independiente del bloque soviético que, en esos años, apoyaba a Etiopía (en el ínterin el imperio negussita había caído y, en su lugar, nació una república popular). La guerra continuó hasta 1991, cuando Mengistu Hailè Mariam, el líder de Etiopía, renunció y huyó. El Fple aliado con una franja de la resistencia etíope, tomó el control del territorio, y en 1993, a través de un referéndum celebrado en el marco de la ONU, Eritrea se independizó.
«Cuando Eritrea se hizo independiente - recuerda un italiano que desde los años Sesenta apoyaba a los rebeldes eritreos – pensábamos que se transformaría en una nueva Sudáfrica y que Isayas Afeworki se convertiría en su Nelson Mandela. Nunca antes nos habíamos equivocado tanto». En los primeros años, Eritrea estaba llena de entusiasmo. Muchos ciudadanos de la diáspora regresaron al país para invertir en actividades y vivir en su patria. El Eplf, movimiento guerrillero, se transformó en Frente popular para la democracia y la justicia (Pfdj) y se institucionalizó. Se inició a hablar de democracia y de una nueva Constitución. De hecho en 1997 se redacto una nueva Carta constitucional pero nunca llego a entrar en vigor. Sobre todo porque en le país soplaban vientos de guerra. Etiopía y Eritrea, pacificadas después de la independencia de Asmara y la salida del poder en Addis Abeba de un gobierno con mayoría tigrina, volvieron a mirarse recíprocamente con recelos.
Nuevas tensiones
Las tensiones nacieron debido a la falta de un acuerdo comercial. Luego basto una disputa fronteriza para que se encendiera el conflicto. El enfrentamiento duró de 1998 a 2000. 150,000 soldados eritreos y etíopes perdieron la vida. La solución de la disputa fronteriza fue asignada a una comisión independiente de la ONU. La Eritrea-Ethiopia Boundary Commission finalizó su investigación en 2002, estableciendo que la ciudad en disputa, Badme pertenecía a Eritrea. Sin embargo, el gobierno etíope nunca retiró su ejército de la ciudad. Por lo que la tensión entre los dos países, continúo siendo muy alta en los años siguientes.
El difícil clima con Etiopía ha sido funcional en el poder de Isayas. El presidente, usando como escusa el aislamiento sufrido por parte de los poderes hostiles y la imposibilidad de introducir un sistema democrático, usó cada vez más los métodos de represión de quienes criticaban al régimen. En 2001, un grupo de 15 miembros del Pfdj le envió una carta pidiendo reformas democráticas, la aplicación de la Constitución y elecciones. La carta tuvo eco en los medios nacionales e internacionales. Isayas respondió con fuerza. Once de los 15 firmantes fueron arrestados, tres encontraron refugio en el extranjero y uno se retractó. De los once arrestados, no se ha vuelto a saber nada. A falta de una constitución, el sistema institucional se derrumbó. El poder judicial fue confiado a los jueces militares en su rama penal y a los tribunales comunitarios en su rama civil. Pero ambos permanecieron bajo el estricto control del gobierno. Los nuevos códigos penales y civiles no se aplicaron. El parlamento, monopolizado por el Pfdj, no funcionaba. Los medios, el pilar de cualquier democracia, fueron cerrados. A día de hoy no existen medios de comunicación privados en Eritrea, y los únicos existentes están bajo el control del partido político dominante. La represión es muy dura.
Los problemas para las comunidades religiosas
Las diferentes confesiones religiosas también sufren una creciente interferencia en sus actividades por parte de la autoridad política. Oficialmente, Eritrea es un estado secular en el que la práctica religiosa es un asunto que queda limitado a la conciencia individual. De hecho, desde la fundación, el Eplf y luego el Pfdj están dominados por líderes cristianos ortodoxos que siempre han tenido relaciones desagradables con la parte musulmana. Por ello, desde los primeros días después de la independencia, muchos musulmanes han sido arrestados acusados de ser yihadistas que ponen en peligro la seguridad del país. A lo largo de los años, muchos imanes y líderes de comunidades islámicas también han sido encarcelados, acusados de ser culpables de criticar al gobierno. El mismo destino afecta a los testigos de Jehová y a las comunidades pentecostales. En 2002, todas las confesiones religiosas fueron prohibidas a excepción del Islam sunita, la Iglesia católica, los ortodoxos y los luteranos. Pero incluso la Iglesia Ortodoxa ha sufrido fuertes presiones. En 2007, el Patriarca Abuna Antonios se ve obligado a dimitir y es puesto en arresto domiciliario por criticar al régimen.
Solo la Iglesia Católica logra mantener un rol de autonomía. En 2014, los cuatro obispos publicaron una Carta Pastoral en la que denunciaban el estado crítico de la sociedad, causa principal de la huida de los jóvenes del país. En el documento, los obispos enumeraban los graves problemas a los que se enfrentan los eritreos, principalmente la fragmentación de familias cuyos miembros están dispersos debido al largo servicio militar o porque están encarcelados. Como resultado, las personas mayores se ven abandonadas a sí mismas. «Todo esto crea un país desolado», denunciaba la carta pastoral.
Un país aislado
El servicio militar armado es el tributo que el país debe pagar a la agresiva política exterior del gobierno de Asmara. Desde el años Dos mil, todos los jóvenes de 17 años interrumpen sus estudios y deben enrolarse en el ejercito «por tiempo indefinido». En los centros de entrenamiento predomina la violencia de los oficiales. La mayoría de los jóvenes se ven obligados a trabajar en las fincas de los generales o en el mantenimiento de las instalaciones públicas. Ante esta situación, los chicos tratan de escapar. Muchos de ellos dependen de redes de traficantes en connivencia con oficiales corruptos (especialmente los generales). Las estadísticas de las organizaciones internacionales hablan de 2-3,000 chicos que salen de Eritrea cada mes. Quizás se trata de datos sobre estimados, pero es cierto que el flujo de chicos es continuo.
Eritrea es un país aislado. Desde 2006, los Estados Unidos han impuesto sanciones a Asmara por el apoyo que brinda a las milicias somalíes en Shabaab. Con Etiopía continúan las tensiones que, periódicamente, provocan enfrentamientos armados. La breve guerra con Djibouti en 2013 también ha creado tensión con este pequeño estado. Tensión que aún no se ha desvanecido. Para salir de este aislamiento, Eritrea ha adherido a la coalición saudita que lucha en Yemen contra los rebeldes Houti. Asmara concede sus puertos como base logística para los barcos de Arabia Saudita y de los Emiratos Árabes Unidos. En 2014, aceptó asistir a las reuniones de Karthoum en las que la Unión Europea hizo un llamamiento a los países del este de África para contener los flujos migratorios a cambio de ayuda financiera. Sin embargo, el país permanece cerrado a cualquier influencia externa. Tanto como para negar el acceso a la ayuda internacional ante la reciente sequía. ¿Cuál será su futuro? Difícil de decir. El riesgo es que el estado colapse, dejando para sus ciudadanos solo los escombros de un sueño.