La Chiesa Cattolica in Mongolia ha da poco festeggiato 25 anni dalla sua nascita. La prima comunità cattolica venne fondata nella capitale Ulaanbaatar solo nel 1992, poco dopo che il Governo mongolo aveva avviato rapporti diplomatici con la Santa Sede. Alla congregazione dei Missionari di Scheut o CICM (Congregazione del Cuore Immacolato di Maria) venne chiesto di inviare alcuni missionari nella terra di Gengis Khan. Qual è la situazione oggi? Quali le sfide della piccola comunità cattolica mongola? Come sta cambiando l'agire della Chiesa locale?
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La Chiesa Cattolica in Mongolia ha da poco festeggiato 25 anni dalla sua nascita. La prima comunità cattolica venne fondata nella capitale Ulaanbaatar solo nel 1992, poco dopo che il Governo Mongolo aveva avviato rapporti diplomatici con il Vaticano. Alla congregazione dei Missionari di Scheut o CICM (Congregazione del Cuore Immacolato di Maria) venne chiesto di inviare alcuni missionari nella nuova missione. I primi ad andare furono tre sacerdoti CICM che avevano già prestato il loro servizio in missione in Giappone, Taiwan e Hong Kong. Tra di loro c’era il filippino, padre Wenceslao Padilla, allora superiore provinciale in Taiwan. Padre Padilla detiene non solo il primato come sacerdote lì ma anche come missionario in Mongolia. Nel 2003 è stato nominato vescovo.
Gli inizi
La prima volta che i tre missionari misero piede sul terreno mongolo iniziavano letteralmente da zero. Non c'era nessuna chiesa o convento o cattolici nativi ad accoglierli nella terra dei cavalli, dei nomadi e del cielo azzurro. Inizialmente soggiornarono in alberghi e poi si trasferirono in appartamenti affittati che raddoppiarono in quanto sede di missione. Gli unici cattolici che hanno incontrato furano una manciata di espatriati che lavoravano in agenzie di aiuto internazionali o nelle ambasciate polacche e in altre ambasciate. Come i primi Cristiani, i tre sacerdoti praticavano il loro ministero porta a porta, celebrando l’Eucaristia di casa in casa e sostenendosi l’un l’altro nella fede. I partecipanti presto portarono i loro colleghi e amici, compresi i mongoli locali, e con il tempo hanno dovuto affittare sale comunitarie per le celebrazioni domenicali.
Tuttavia è stata la loro missione ad extra a farli conoscere dall’opinione pubblica e rivelare il volto della Chiesa alla società mongola. Notando che molti bambini di strada senza fissa dimora in fuga vagavano nella capitale negli anni '90, dopo l'abbandono sovietico che ha provocato turbolenze economiche, i nuovi missionari hanno iniziato la loro missione, avvicinandoli in maniera amichevole, portando loro tè, frittelle, medicine e abbigliamento. In seguito i misionari furono invitati a visitare le fogne sotterranee infestate dai ratti dove passavano i tubi di riscaldamento che servivano come case ai bambini che dovevano sopravvivere agli inverni rigidi. I sacerdoti presero confidenza con i tombini della città e in particolare con i loro “abitanti”. Dato che il loro ministero si andava allargando cercarono il supporto dei vicini e di gruppi giovanili in aiuto ai bambini di strada. Dopo essere stati a contatto con i missionari e meravigliandosi del loro servizio del tutto disinteressato, alcuni iniziarono a chiedere informazioni sul Cattolicesimo e ad unirsi alla Chiesa. Oggi, pochi bambini sono rimasti a vagabondare per le strade e la Chiesa cattolica in Mongolia gestisce gli orfanotrofi e centri di cura che ospitano molti di loro.
I primi sviluppi
Col passare del tempo, i ministeri si sono allargati e i missionari si sono impegnati ad offrire istruzione formale, sociale e altri servizi, con altre congregazioni religiose cattoliche invitate a creare centri adeguati per soddisfare le esigenze della popolazione. Oggi, venticinque anni dopo, in Mongolia ci sono oltre 70 missionari provenienti da circa due dozzine di Paesi in rappresentanza di altrettante congregazioni. Vengono in particolare da paesi africani come Congo, Camerun e Tanzania, asiatici come Filippine, Korea e India, ed europei come Spagna, Francia, Italia e Polonia. La Società del Verbo Divino gestisce un istituto tecnico che offre formazione ai giovani nei settori del servizio di segreteria, dell’idraulica, della saldatura, della meccanica, della sartoria e così via. Le Suore delle Missionarie dealla Carità hanno avviato case per anziani, orfani, e per le persone ammalate o moribonde. Le Suore di San Paul de Chartres hanno alcuni dei migliori asili e centri di assistenza sanitaria, in primo luogo a vantaggio di coloro che altrimenti non avrebbero accesso all'istruzione di base e ai servizi medici. Caritas Mongolia offre servizi di soccorso in caso di disastri e catastrofi, in particolare alla gente che vive nei villaggi più remoti, accessibili solo tramite autocarri a quattro ruote attraverso strade sterrate. Tutti questi ministeri sono sostenuti dagli oltre 1300 mongoli nativi che da allora hanno chiesto il battesimo nella Chiesa.
Le sfide
Ovviamente non mancano le sfide della Chiesa che mantiene i suoi impegni di evangelizzazione nella terra dei vecchi guerrieri mongoli. Tra queste, la principale è la povertà che porta con sé una serie di problemi come disoccupazione, alcolismo e abusi domestici. La missione della Chiesa si è quindi concentrata su comunità povere, il che implica impegno in ministeri non generatori di reddito. Dipendere economicamente dal mondo esterno è un onere molto pesante perché spesso i fondi sono inconsistenti. Il vescovo talvolta descrive se stesso come un “mendicante professionista,” poichè la Chiesa giovane dipende dalla generosità delle Chiese più consolidate nei paesi sviluppati, poiché non possiede risorse per sostenere i molti progetti dal più piccolo al più grande.
Inoltre, la Chiesa come ONG straniera, è vincolata da regolamenti governativi per quanto riguarda le sue attività e soprattutto il personale dei suoi ministeri. Mentre i missionari provenienti dall'estero possono offrire gratuitamente i propri servizi, c’è una norma che afferma che per ogni missionario che entra nel paese la Chiesa deve impiegare un numero x di mongoli locali. Questa in sé è una buona politica in quanto serve a garantire che le entità straniere si impegnino attivamente con i locali. Ma significa anche che sono necessari molti fondi per mantenere ogni singolo missionario perché occorre trovare posti di lavoro nelle scuole missionarie cattoliche o nelle cliniche o nei centri di cura dove fare lavorare i residenti.
Un'altra grande sfida è che tutti i missionari presenti in Mongolia hanno visti di lavoro che devono essere rinnovati regolarmente, a volte annualmente. Si possono solo immaginare le difficoltà derivanti dal non rinnovo dei visti, in particolare l’ impatto sui ministeri. Ci sono situazioni nelle quali preti e suore devono lasciare il Paese alla vigilia della data di scadenza del loro visto e aspettare fuori per mesi prima di poter rientrare. A volte i motivi o le scuse per il non rinnovo dei visti è che il missionario sta facendo proselitismo tra le persone del luogo. Questa accusa la si comprende meglio se si nota che, sullo sfondo, è in atto una rinascita del buddismo in Mongolia, nell'era post-comunista. Il cristianesimo è visto talvolta come una minaccia. Oltre a questi problemi, ci sono anche le difficoltà delle temperature climatiche, lo stile di vita nelle missioni più remote e anche la difficoltà di apprendere la lingua, con i suoi difficili suoni gutturali e l'uso dell'alfabeto cirillico.
La sfida non è solo la perseveranza tra i missionari: anche quella dei nativi convertiti al cattolicesimo è una realtà che affronta la Chiesa. Degli oltre 1,300 battezzati forse solo poche centinaia rimangono frequentatori attivi della chiesa. Questo in sé non è male in quanto rappresenta circa il 30 o il 40% della popolazione cattolica, soprattutto se paragonato ai tanti paesi in Occidente, dove la partecipazione alle attività della Chiesa è minima. Tuttavia, la maggior parte dei frequentatori della chiesa in Mongolia sono i cattolici coinvolti in molti ministeri della Chiesa. Quelli che cessano di lavorare in questi ministeri cambiano lavoro e presto perdono contatti con la Chiesa. Altri vanno all'estero.
Inutile dire che la strada per promuovere la Chiesa mongola è quella di sviluppare la propria Chiesa locale in tutte le sue sfaccettature, tra cui l'autogoverno, l'auto-sostegno e l'auto-propagazione. Ricordando che molte altre Chiese di tutto il mondo hanno impiegato alcuni secoli per raggiungere questo stadio, si può solo essere orgogliosi che, mentre celebra il suo venticinquesimo anniversario, la Chiesa cattolica in Mongolia si è impegnata in quella direzione. Si tratta certamente di un processo lento ma in via di sviluppo di una Chiesa locale, inculturata da aspetti significativi della tradizione cattolica. La Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, costruita nel 2003, è a forma del tradizionale ger (tenda nomade), con la sua forma circolare e le pareti di feltro spesso. Nel 2004 è stata stampata una versione mongola della Bibbia che comprende preghiere comuni cattoliche, tutte scritte con i caratteri tradizionali mongoli. Le sei parrocchie del Paese e gli oltre 1300 battezzati nativi si sono rallegrati per l’ordinazione del primo sacerdote nativo lo scorso anno, un giovane uomo battezzato da bambino dal Vescovo Wens molti anni fa. Attualmente alcuni seminaristi studiano nel seminario in Corea del Sud. Insieme agli altri cattolici mongoli nativi, saranno quelli che percorreranno la strada della vera Chiesa mongola.
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A twentyfive year old Church: the challenges of mission in Mongolia
The Catholic Church in Mongolia recently turned twenty-five. It was only in 1992 that the first Catholic community was set up in its capital-city Ulaanbaatar, shortly after the Mongolian government established diplomatic relations with the Vatican. The Missionhurst CICM (Congregation of the Immaculate Heart of Mary) congregation was asked to send some missionaries to the new mission. The first to go were three CICM priests who were already engaged in missionary activity in Japan, Taiwan and Hong Kong. Among them was Philippines-born Fr. Wenceslao Padilla, who was then serving as provincial-superior in Taiwan. He now has the distinction of being not only the first but also the longest-serving missionary in Mongolia. He was appointed its bishop in 2003.
The beginnings
When the three priests first set foot on Mongolian soil they were literally starting from scratch and ground zero. There was no church or convent or native Catholics to welcome them in the land of horses, nomads, and blue sky. They initially stayed in hotels and later moved into rented apartments which doubled-up as their mission headquarters. The only Catholics they came across were a handful of expatriates working in international aid agencies or the Polish and other embassies. Like the early Christians, the three priests ministered out of house-churches, going from home to home to celebrate the Eucharist and supporting one another in the faith. The attendees soon brought along their colleagues and friends, including local Mongolians, and with time they had to rent community halls for the Sunday celebrations.
But it was their mission ad extra that brought them out to the public sphere and revealed the face of the Church to the Mongolian society. Noticing that many homeless runaway street-children were hanging out in the capital city in the 1990s in the aftermath of the Soviet pull-out which resulted in economic turmoil, the new missionaries began their mission by befriending them, bringing them tea, pancakes, medicine and clothing. They were later invited to visit the underground rat-infested sewers which housed the heating pipes that served as homes to the children needing to escape the harsh winters. The priests became familiar with the manholes in the city and in particular the “residents” living beneath each of them. As their ministry expanded they sought the assistance of their neighbors and youth groups to serve the street children. Having rubbed shoulders with the missionaries and marveling at their selfless service, some would inevitably ask about Catholicism and eventually joined the Church. Today, there are few children left roaming the streets and the Catholic Church in Mongolia runs orphanages and care centers housing many of them.
Early developments
With time, the ministries expanded to providing formal education as well as social and other forms of services, with other Catholic religious congregations being invited in to set up appropriate centers to cater to the peoples’ needs. Today, twenty-five years later, there are more than 70 missionaries from about two dozen countries and representing a dozen congregations serving in Mongolia. They come mainly from African countries such as Congo, Cameroon and Tanzania, Asian countries such as the Philippines, Korea and India, and European countries such as Spain, France, Italy and Poland. The Society of the Divine Word runs a technical school providing training to young men and women in the areas of secretariat service, plumbing, welding, mechanics, sewing, and so on. The Sisters of the Missionaries of Charity have set up homes for the aged, orphans, and for the sick and dying. The Sisters of St. Paul de Chartres operate some of the best kindergartens and health care centers, primarily for the benefit of those who would otherwise not have access to basic education and medical services. Caritas Mongolia offers relief services when disasters and catastrophes strike, reaching out especially to peoples living in the interior and remote villages, accessible only by 4-wheel drive trucks through unpaved roads. All these ministries are supported by the 1,300+ native Mongolians who have since asked for baptism into the Church.
The challenges
Like any fledging mission, there are of course many challenges which confront the Church as it continues its evangelizing efforts in the land of the great Mongol warriors of old. Chief among these is the poverty of the people, which brings with it a host of problems such as unemployment, alcoholism and domestic abuse. The Church’s mission has therefore concentrated on communities who are poor, which effectively means that they are engaged in non-income-generating ministries. Reliance on the outside-world for funds is a major burden as they are at times inconsistent. The bishop sometimes describes himself as a “professional beggar,” as the young Church depends on the generosity of more established Churches in developed countries as its does not have the resources to sustain the many projects for the least, the last and the lost.
Moreover, the Church, as a foreign NGO is bound by governmental regulations with regard to its activities and especially the staffing of its ministries. While missionaries from abroad may be willing to offer their services free-of-charge, there is a quota which states that for every missionary who comes into the country the Church needs to employ x number of local Mongolians. That in itself is a good policy as it serves to ensure that foreign entities engage actively with the locals. But it also means a lot of funds are needed to maintain each missionary as jobs need to be found in the Catholic mission schools or clinics or care centers for the locals to be employed in.
Another major challenge is that all the missionaries are in Mongolia on work visas which need to be renewed regularly, sometimes annually. One can only imagine the difficulties resulting from the non-renewal of the visas, especially how its impact on the ministries. There are occasions when priests and Sisters have had to leave the country on the eve of their visa expiration date and wait outside for months before they can re-enter. At times the reason or excuse given for the non-renewal of visas is that the missionary is proselytizing the locals. This charge is better appreciated against the backdrop that there is a resurgence of Buddhism in Mongolia in the post-communist era. Christianity, therefore, is viewed as a threat. Aside from these issues, there are also the difficulties confronting the missionaries such as the minus 30 or 40 C temperatures, the remoteness of lifestyle in mission outposts and also the difficulty of learning the language, with its hard guttural sounds and use of the Cyrillic alphabet.
Not only is the perseverance rate among the missionaries a challenge, the perseverance rate of the local converts to Catholicism is also a reality that confronts the Church. Of the 1,300+ who have received baptism perhaps only a few hundreds remain active church goers. That in itself is not bad as it represents about 30 or 40% of the Catholic population especially if this is compared with the many so-called “Catholic” countries in the West where church participation rates are as low as single digit percentage figures. However, most of the regular church goers in Mongolian are the Catholics who are employees of the many ministries of the Church. Those who cease working in these ministries usually move on to other jobs and soon lose contact with the Church as well. Others go abroad in search for greener pastures.
Needless to say, the way forward is for the Mongolian Church to develop its very own local Church, in all its facets, including self-governing, self-supporting and self-propagating. Remembering that many other Churches around the world took a few centuries to reach that stage, one can only be proud that as it celebrates its 25th anniversary, the Catholic Church in Mongolia has been making inroads in that direction. It is slowly but surely developing into a local Church, having inculturated significant aspects of the Catholic tradition. The Cathedral of Saints Peter and Paul, built in 2003, is modeled after the traditional ger (nomadic tent), with its circular shape and walls of thick felt. A Mongolian version of the Bible was printed in 2004 which includes common Catholic prayers, all written in the traditional Mongolian script. The six parishes in the country and the 1,300+ baptized natives rejoiced at the ordination of the first native-born priest just a year ago, a young man baptized as a child by Bishop Wens many years ago. There are a few more seminarians currently studying in the seminary in South Korea. They, together with the other native Mongolian Catholics, will be the ones forging the way towards a truly Mongolian Church.
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ESPAÑOL ---
Una iglesia cumple veinticinco años: los desafíos de la misión en Mongolia
La iglesia Católica en Mongolia ha celebrado hace poco 25 años desde su nacimiento. La primera comunidad católica fue fundada en la capital Ulaanbaatar en 1992, poco después de que el Gobierno Mongol iniciase las relaciones diplomáticas con el Vaticano. Se pidió a la Congregación Missionhurst CICM (Congregación del Inmaculado Corazón de María) que enviara algunos misioneros a la nueva misión. Los primeros en ir fueron tres sacerdotes del CICM que ya habían servido en misión en Japón, Taiwán y Hong Kong. Entre ellos estaba un filipino, el padre Wenceslao Padilla, entonces superior provincial en Taiwán. El padre Padilla no solo fue el primer sacerdote allí, sino también el primer misionero en Mongolia. En 2003 fue nombrado obispo.
Los inicios
La primera vez que los tres misioneros pisaron suelo mongol comenzaban literalmente desde cero. No había iglesia, ni convento, ni católicos nativos para darles la bienvenida en esa tierra de caballos, nómadas y cielos azules. Al principio se quedaron en hoteles y luego se mudaron a pisos alquilados que se duplicaron como sede de misión. A los únicos católicos que encontraron fueron un puñado de expatriados que trabajaban en agencias de ayuda internacional o en embajadas polacas u otras embajadas. Al igual que los primeros cristianos, los tres sacerdotes practicaron su ministerio puerta a puerta, celebrando la Eucaristía de casa en casa y apoyándose entre sí en la fe. Los participantes pronto empezaron a llevar a sus colegas y amigos, incluidos los mongoles locales, y con el tiempo tuvieron que alquilar salas comunitarias para las celebraciones dominicales.
Sin embargo, fue su misión ad extra lo que les dio a conocer entre la opinión pública y a revelar el rostro de la Iglesia a la sociedad mongol. Al observar que muchos niños vagaban por las calles de la capital sin una demora fija, en la década de los '90, después del abandono soviético que causó turbulencias económicas, los nuevos misioneros comenzaron su misión, acercándose a ellos amistosamente, llevándoles té, tortitas, medicina y ropa. Posteriormente, fueron invitados a visitar las alcantarillas subterráneas infestadas por ratas, donde pasaban las tuberías de calefacción que servían de hogar para estos niños que tenían que sobrevivir a los fríos inviernos. Los sacerdotes hicieron amistad con los “habitantes” de las alcantarillas de la ciudad. A medida que su ministerio se fue ampliando, buscaron el apoyo de vecinos y de grupos juveniles para ayudar a los niños de la calle. Después de haber conocer de cerca a los misioneros y de sorprenderse por su servicio totalmente desinteresado, algunos comenzaron a pedir información sobre el catolicismo y a unirse a la Iglesia. Hoy en día, quedan muy pocos niños deambulado por las calles y la Iglesia Católica en Mongolia administra orfanatos y centros que dan hospitalidad a muchos de ellos.
Los primeros acontecimientos
Con el tiempo, los ministerios se han ampliado y los misioneros se han comprometido en ofrecer educación formal, social y otros servicios, con otras congregaciones religiosas católicas invitadas a crear centros apropiados para satisfacer las necesidades de la población. Hoy, veinticinco años después, en Mongolia hay más de 70 misioneros provenientes de unas dos docenas de países que representan a muchas congregaciones. Vienen de países africanos como Congo, Camerún y Tanzania, asiáticos como Filipinas, Corea e India, y europeos como España, Francia, Italia y Polonia. La Sociedad del Verbo Divino dirige un instituto técnico que ofrece formación a jóvenes en sectores como servicios de secretaría, hidráulica, soldadura, mecánica, corte y confección, etc. Las Hermanas de las Misioneras de la Caridad han abierto hogares para ancianos, huérfanos y personas enfermas o moribundas. Las Hermanas de San Paul de Chartres tienen algunos de las mejores guarderías y centros de salud, principalmente en beneficio de aquellos que de otro modo no tendrían acceso a la educación básica y a los servicios médicos. Cáritas Mongolia ofrece servicios de socorro en caso de desastres y catástrofes, especialmente a las personas que viven en aldeas remotas, a las que solo se puede acceder con camionetas cuatro por cuatro por caminos de tierra. Todos estos ministerios están respaldados por más de 1300 mongoles nativos que desde entonces han pedido el bautismo en la Iglesia.
Los desafíos
Obviamente, no faltan los desafíos de la Iglesia que mantienen su compromiso con la evangelización en la tierra de los antiguos guerreros mongoles. Entre tales desafíos, el principal es la pobreza que conlleva una serie de problemas como el desempleo, el alcoholismo y el abuso doméstico. Por todo ello, la misión de la Iglesia se ha centrado en las comunidades pobres, lo que implica la participación en ministerios que no generan ingresos. Depender económicamente del mundo exterior es una carga muy pesada porque los fondos a menudo son inconsistentes. El obispo a veces se describe a sí mismo como un “mendigo profesional”, ya que la joven Iglesia depende de la generosidad de las Iglesias más consolidadas en los países desarrollados, ya que no tiene recursos para apoyar los muchos proyectos, desde los más pequeños hasta los más grandes.
Además, la Iglesia como ONG extranjera, está sujeta a las regulaciones gubernamentales con respecto a sus actividades y especialmente al personal de sus ministerios. Mientras que los misioneros extranjeros pueden ofrecer sus servicios de forma gratuita, existe una norma que establece que por cada misionero que ingresa al país, la Iglesia debe emplear a un número determinado de mongoles locales. Esto en sí mismo es una buena política ya que sirve para garantizar que las entidades extranjeras se comprometan activamente con la población local. Pero también significa que se necesitan muchos fondos para mantener a cada misionero porque hay que encontrar puestos de trabajo en escuelas misioneras católicas o en clínicas o centros de enfermería donde poner a trabajar a los residentes. Otro desafío importante es que todos los misioneros presentes en Mongolia tienen visados de trabajo que deben renovarse regularmente, a veces anualmente. Se pueden imaginar las dificultades que pueden surgir por no renovar los visados, en particular el impacto en los ministerios. Hay situaciones en las que los sacerdotes y las hermanas deben salir del país en la víspera de la fecha de vencimiento de su visado y esperar meses antes de poder regresar. A veces, los motivos o las escusas para no renovar los visados son que el misionero está haciendo proselitismo entre los locales. Esta acusación se puede entender mejor si se piensa en el contexto del resurgimiento del budismo en Mongolia en la era post-comunista. El cristianismo se ve como una amenaza. Además de estos problemas, también tienen que afrontar las dificultades de las temperaturas climáticas, la diferencia del estilo de vida en los puestos avanzados misioneros, y también la dificultad de aprender el idioma, con sus difíciles sonidos guturales y el uso del alfabeto cirílico.
El desafío no es solo la perseverancia entre los misioneros, sino también el de los conversos locales al catolicismo. De los más de 1,300 bautizados, quizás solo unos pocos cientos frecuentan la iglesia. Esto en sí mismo no es malo, ya que representan alrededor del 30 o 40 por ciento de la población católica, especialmente si se compara con los muchos países llamados “católicos” en Occidente, donde la asistencia a la iglesia es particularmente baja. Sin embargo, la mayoría de los asistentes a la iglesia de Mongolia son católicos involucrados en muchos ministerios de la Iglesia. Los que dejan de trabajar en estos ministerios cambian sus trabajos y pronto pierden contacto con la Iglesia. Otros van al extranjero en busca de pastos más verdes.
No hace falta decir que la forma de promover la Iglesia de Mongolia es desarrollar su Iglesia local en todas sus facetas, incluido el auto-gobierno, la auto-ayuda y la auto-propagación. Recordando que muchas otras iglesias en todo el mundo han necesitado algunos siglos para llegar a esta etapa, solo se puede sentir orgullo de que, mientras celebra su vigésimo quinto aniversario, la Iglesia Católica en Mongolia se ha comprometido en esa dirección. Se trata en efecto de un proceso lento pero en desarrollo de una Iglesia local, inculturada por aspectos significativos de la tradición católica. La Catedral de los Santos Pedro y Pablo, construida en 2003, tiene la forma del tradicional ger (tienda nómada) con forma circular y gruesas paredes de fieltro. En 2004 se imprimió una versión mongola de la Biblia, que incluye oraciones católicas comunes, todas escritas con los caracteres tradicionales mongoles. Las seis parroquias del país y los más de 1,300 bautizados nativos festejaron la ordenación del primer sacerdote nativo el año pasado, un joven bautizado de niño por el Obispo Wens hace muchos años. Actualmente, algunos seminaristas estudian en el seminario de Corea del Sur, junto con otros católicos mongoles nativos, que serán los que abrirán el camino de la verdadera Iglesia mongola.
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FRANÇAIS ---
Une Eglise âgée de 25 ans : les défis de la mission en Mongolie
L’Eglise catholique en Mongolie a récemment célébré son 25ème anniversaire. C’est seulement en 1992 que la première Communauté catholique a été constituée dans la capitale, Oulan-Bator, peu après que le gouvernement mongol eut établi des relations diplomatiques avec le Saint-Siège. Les missionnaires de la Congrégation du Cœur Immaculé de Marie (CICM) se virent demander d’envoyer des missionnaires à la nouvelle mission. Les premiers à arriver furent trois prêtres de cette congrégation qui étaient déjà présents en tant que missionnaires au Japon, à Taiwan et à Hong Kong. Parmi eux, se trouvait le Père Wenceslao Padilla, d’origines philippines, qui était alors le Supérieur provincial à Taiwan. Il est actuellement non seulement le premier mais également le plus ancien missionnaire à être présent en Mongolie. Il a été nommé Evêque en 2003.
Les débuts
Lorsque les trois prêtres posèrent pour la première fois le pied en territoire mongol, ils devaient commencer à partir de rien. Il n’existait ni église, ni couvent, ni catholiques autochtones pour les accueillir dans le pays des chevaux, des nomades et du ciel bleu. Initialement, ils séjournèrent dans des hôtels et, plus tard, dans des appartements en location qui servirent de quartier général de la mission. Les seuls catholiques présents étaient une poignée d’expatriés travaillant dans les Agences d’aide internationale, des polonais ou des personnels d’autres Ambassades. Comme les premiers chrétiens, les trois prêtres ont officié dans des églises domestiques, se rendant de maison en maison pour célébrer la Messe et se soutenant l’un l’autre dans la foi. Les participants portèrent bientôt leurs collègues et amis, y compris des autochtones, et avec le temps, ils durent louer des salles communes pour les célébrations dominicales.
Mais c’était leur mission ad extra qui les portait au-dehors, dans la sphère publique et révélait le visage de l’Eglise à la société mongole. Remarquant la présence dans les rues de la capitale de nombreux enfants fugueur dans les années 1990, après l’écroulement de l’Union soviétique qui se traduisit par des turbulences économiques, les nouveaux missionnaires commencèrent leur mission en les approchant de manière amicale, leur apportant du thé, des gâteaux, des médicaments et des vêtements. Ils furent ensuite invités à visiter les égouts souterrains infestés de rats qui abritaient les tuyaux de chauffage et servaient de logement à ces enfants qui tentaient de se soustraire ainsi aux hivers rigoureux. Les prêtres devinrent familiers des bouges de la ville et en particulier des résidents de chacun d’entre eux. Avec l’élargissement de leur ministère, ils demandèrent l’assistance de leurs voisins et de groupes de jeunes pour servir les enfants des rues. Ayant côtoyé les missionnaires et s'émerveillant de leur dévouement, certains s'interrogèrent inévitablement sur le Catholicisme et rejoignirent finalement l'Église. Aujourd'hui, il y a peu d'enfants qui errent dans les rues et l'Eglise catholique en Mongolie gère des orphelinats et des centres de soins qui abritent un grand nombre d'entre eux.
Premiers développements
Avec le temps, les ministères se sont élargis pour offrir une éducation formelle ainsi que des services sociaux et d'autres formes de services, d'autres Congrégations religieuses catholiques étant invitées à créer des centres ad hoc pour répondre aux besoins des populations. Aujourd'hui, vingt-cinq ans plus tard, il y a plus de 70 missionnaires d'environ deux douzaines de pays représentant une douzaine de Congrégations présents en Mongolie. Ils viennent en majorité de pays d’Afrique tels que le Congo, le Cameroun et la Tanzanie, d’Asie comme les Philippines, la Corée et l’Inde et d’Europe tels que l’Espace, la France, l’Italie et la Pologne. La Société du Verbe Divin gère une école technique fournissant une formation aux jeunes, hommes et femmes, dans les domaines du secrétariat, de la plomberie, de la soudure, de la mécanique, de la couture etc. Les Sœurs Missionnaires de la Charité ont ouvert des maisons pour les personnes âgées, les orphelins, les malades et les mourants. Les Sœurs de Saint Paul de Chartres gèrent quant à elles certains des meilleurs jardins d’enfants et centres de santé, en priorité au profit de ceux qui, en leur absence, n’auraient pas accès à l’éducation de base et aux services médicaux. La Caritas Mongolie de son côté offre des services de secours en cas de catastrophes, atteignant en particulier les personnes vivant dans l’intérieur du pays et les villages reculés, accessibles seulement aux véhicules à quatre roues motrices au travers de routes en terre battue. Tous ces ministères bénéficient du soutien de plus de 1.300 autochtones qui ont déjà demandé à recevoir le Baptême.
Les défis
Comme toute jeune mission, il existe naturellement de nombreux défi que l’Eglise doit relever alors qu’elle poursuit ses efforts d’Evangélisation sur le territoire des antiques guerriers mongols. Le plus important d’entre eux est la pauvreté de la population, qui dérive d’un certain nombre de problèmes tels que le chômage, l’alcoolisme et les abus domestiques. La mission de l'Eglise s'est donc concentrée sur des communautés pauvres, ce qui signifie qu'elle est engagée dans des ministères non producteurs de revenus. La dépendance vis-à-vis du monde extérieur en matière de ressources constitue un fardeau important car ils ne sont pas toujours à la hauteur de la situation. L'Evêque se décrit parfois comme un « mendiant professionnel », car la jeune Eglise dépend de la générosité d'Eglises plus stables dans les pays développés attendu qu’elle ne dispose pas des ressources lui permettant de soutenir les nombreux projets destinés aux plus petits, aux derniers et aux perdus.
De plus, l'Eglise, en tant qu'ONG étrangère, est concernée par des réglementations gouvernementales concernant ses activités et en particulier le personnel de ses services. Bien que les missionnaires étrangers puissent être disposés à offrir leurs services gratuitement, il y a un quota qui stipule que pour chaque missionnaire qui arrive dans le pays, l'Eglise a besoin d'employer un certain nombre de Mongols locaux. Cela représente en soi une bonne politique puisqu’elle a pour but de s'assurer que les entités étrangères s'engagent activement dans la réalité locale. Cependant cela signifie aussi qu'il faut beaucoup de ressources pour entretenir chaque missionnaire, car il faut trouver des emplois dans les écoles missionnaires catholiques ou dans les dispensaires et autres centres de soins pour les employés locaux.
Un autre défi est représenté par le fait que tous les missionnaires se trouvent en Mongolie grâce à un visa de travail qui doit être renouvelé régulièrement, parfois annuellement. On peut seulement imaginer les difficultés qui résultent du non renouvellement des visas, en particulier de leur influence sur les ministères. Il existe des occasions où les prêtres et religieuses doivent quitter le pays à la veille de l’expiration du visa et attendre à l’étranger pendant des mois avant de pouvoir rentrer. Parfois la raison ou les excuses fournies concernant le non renouvellement des visas est que le missionnaire fait du prosélytisme auprès de la population locale. Cette accusation peut être mieux appréciée dans le contexte d’un refleurissement du bouddhisme en Mongolie après l’époque communiste. La Chrétienté, en revanche, est considérée comme une menace. A côté de ces thèmes, il faut aussi prendre en considération les difficultés auxquelles sont confrontées les missionnaires, telles que les températures de -30 à -40°C, le caractère archaïque du style de vie dans les avant-postes de la mission et la difficulté de l’apprentissage de la langue, qui présente des sons gutturaux durs et utilise l’alphabet cyrillique.
Le taux de persévérance des missionnaires représente certes un défi, mais le taux de persévérance des convertis locaux au Catholicisme constitue, lui aussi, une réalité avec laquelle l'Eglise est appelée à se confronter. Sur quelques 1 300 personnes qui ont reçu le baptême, peut-être quelques centaines seulement demeurent des fidèles pratiquants. Ce n'est pas mal en soi car cela représente environ 30 ou 40% de la population catholique, surtout si on compare ce chiffre à celui de nombreux pays occidentaux dits « catholiques » dont les taux de participation à la Messe sont faibles au point de ne comprendre qu’un seul chiffre. Cependant, la plupart des pratiquants réguliers en Mongolie sont des catholiques employés dans le cadre des nombreux ministères de l'Eglise. Ceux qui cessent d’œuvrer à ces ministères passent généralement à d'autres emplois et perdent rapidement le contact avec l'Eglise. D'autres vont à l'étranger à la recherche de pâturages plus verts.
Inutile de dire que le chemin à suivre à l’avenir consiste à ce que l'Eglise mongole développe sa propre Eglise locale, sous tous ses aspects, y compris en terme d’autonomie de gouvernement, d’autofinancement et de propagation. En nous souvenant que de nombreuses autres Eglises du monde ont mis quelques siècles pour atteindre ce stade, on ne peut qu'être fier qu'à l'occasion de son XXV° anniversaire, l'Eglise catholique en Mongolie ait fait des progrès dans cette direction. Elle se développe lentement mais sûrement sous la forme d’une Eglise locale ayant inculturé des aspects significatifs de la tradition catholique. La Cathédrale des Saints Pierre et Paul, construite en 2003, s'inspire de la traditionnelle ger (tente nomade), avec sa forme circulaire et ses murs de feutre épais. Une version mongole de la Bible a été imprimée en 2004, laquelle comprend des prières catholiques communes, toutes écrites dans la langue traditionnelle mongole. Les six Paroisses du pays et les 1 300 baptisés autochtones se sont réjouis de l'ordination du premier prêtre du cru il y a un an, un jeune homme baptisé enfant par S.Exc. Mgr Padilla de nombreuses années en arrière. Il y a encore quelques séminaristes supplémentaires qui suivent leurs études actuellement dans un Séminaire de Corée du Sud. Ce sont eux, avec les autres catholiques mongols, qui ouvriront la voie à une véritable Église mongole.