Il paese al centro del continente nero è tuttora sconvolto da milizie e gruppi armati che compiono massacri indiscriminati. La visita di Papa Francesco a novembre del 2015 ha generato un effetto positivo ma urge che le istituzioni profondano maggiore impegno per pacificare il paese. La Chiesa si ritaglia un ruolo facendosi promotrice di accoglienza e di riconciliazione
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FRANÇAIS
Nella storia della Repubblica Centrafricana C’e un “prima” e un “dopo” la visita di Papa Francesco. Il paese era entrato sotto i riflettori dei media mondiali nel novembre 2015 grazie alla visita del Santo Padre e l’apertura della prima porta Santa e del Giubileo della Misericordia proprio a Bangui, la sua capitale, diventata così la “capitale spirituale del mondo”.
La visita di Papa Francesco giungeva alla vigilia del referendum costituzionale e delle elezioni presidenziali che si sarebbero tenuti a dicembre e che dovevano segnare una svolta verso la stabilizzazione del Paese. L’ “effetto Francesco” si è avvertito soprattutto nella capitale Bangui, ma è pur vero che in molta parte del paese resta nelle mani dei gruppi armati della “Seleka”, con massacri, violenze e soprusi di ogni genere. Come è perché è nata è si è sviluppata questa drammatica situazione? Una ricostruzione storica aiuta a comprenderlo.
Nel cuore dell’Africa
Il Centrafrica, come dice il nome, è situato nel cuore dell’Africa, tra la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica del Congo, il Sudan, il Sud Sudan, il Ciad ed il Camerun. Grande due volte l’Italia, ma con circa 5 milioni di abitanti. Un paese senza sbocchi sul mare, ma ricco di terra, acqua, pascoli, prodotti agricoli, foreste, petrolio, oro e diamanti. È una ricchezza quasi “teorica”, perché non sfruttata e non valorizzata. E questo spiega perché il Centrafrica è agli ultimi posti in tutte le classifiche di sviluppo. Ma spiega anche perché è un Paese che fa gola a molti, per le sue ricchezze o per le strategie geopolitiche decise da altri.
Nato nel 1960 con l’indipendenza dalla Francia, il Centrafrica è passato da un regime all’altro, quasi sempre attraverso dei colpi di Stato che hanno permesso al politico o al militare di turno di appropriarsi del potere. In teoria per mettere fine ai soprusi del regime precedente, ma in realtà per spartirsi aiuti, influenze e ricchezze. Oltre a questo, negli ultimi 15 anni, hanno iniziato a proliferare gruppi armati, il cui scopo dichiarato era quello di ribellarsi ad un governo centrale (praticamente inesistente, al di fuori della capitale).
L’alleanza “Seleka”
A dicembre 2012 nasce una nuova alleanza tra vari gruppi armati, la “Seleka” (in Sango, la lingua nazionale, significa “Alleanza”). Formata su base regionale (il Nordest del paese, ai confini con i Sudan ed il Ciad) da elementi per lo più musulmani, in pochi mesi travolge gran parte del paese, per arrivare a Bangui nel marzo 2013 e prendere il potere, scacciando il Presidente François Bozizé. Dietro questo ennesimo colpo di stato, ci sono anche presenze ed influenze internazionali (Francia, Ciad, Sudan, paesi del Golfo Arabo). Seguono nove mesi terribili, di saccheggi, furti, violenze e di spaccatura nel Paese: i musulmani (che sono circa il 10% della popolazione) rimangono coinvolti (alcuni collaborano e ne approfittano, molti sono invece vittime come tutti) e verranno travolti quando, nel dicembre 2013, scoppia una vera e propria guerra civile. Nasce il fenomeno degli Antibalaka: molti non musulmani prendono le armi, un po’ per difesa, un po’ per vendetta, contro la Seleka e contro i musulmani, e scoppia il caos: centinaia di migliaia di persone in fuga, migliaia di vittime. Per molti mesi gli unici luoghi di rifugio sono le parrocchie, che accolgono migliaia di persone: a volte cristiani minacciati dalla Seleka, a volte musulmani minacciati dagli Antibalaka.
Lo sforzo della Chiesa
La Chiesa è in prima linea. Già nel dicembre 2012 (molto prima che scoppiasse la guerra) era nata una speciale Piattaforma dei leader religiosi: cattolici, protestanti e musulmani insieme per scongiurare il rischio di una guerra tra religioni diverse. Il Vescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga (cardinale a sorpresa nel novembre 2016) diventa un punto di riferimento molto forte. Non esita ad andare dappertutto, anche sotto le pallottole, per portare la Consolazione di Dio.
Il caos continua
All’inizio del 2013 viene estromesso il presidente Michel Djiotodjia (esponente della Seleka), sostituito da Catherine Samba Panza. Al di là delle buone intenzioni, il paese continua a rimanere nel caos, nonostante l’intervento militare della Francia e, soprattutto, quello dell’ONU, che crea una missione apposta per il Centrafrica (Missione multidimensionnelle Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation en Centrafrique, MINUSCA) con 12mila Caschi Blu.
Su forte pressione della Francia, tra fine 2015 ed inizio 2016 si svolgono finalmente le elezioni. Pochi si presentano al voto, con pochi programmi, ma a sorpresa diventa Presidente Archange Faustin Touadera, professore di Matematica all’Università di Bangui, un candidato poco considerato nei pronostici, ma probabilmente visto come elemento di speranza da parte dei giovani.
L’impatto di Francesco
Nel frattempo, una grande sorpresa: la visita di Papa Francesco a Bangui, a fine novembre 2015. Sconsigliato da Francia e ONU, il Papa insiste per venire, e riesce nel suo intento, nonostante che il Centrafricana sia un Paese in guerra (per circa 2 mesi non era stato possibile muoversi sulle strade, tanto alta era la tensione ed il pericolo di essere attaccati dalle varie milizie). E l’arrivo di Papa Francesco sconvolge tutti gli schemi: la gente finalmente in festa, che corre lungo le strade per salutarlo, i momenti di preghiera, le visite ai campi profughi, la visita alla Moschea ed alla comunità musulmana.
Papa Francesco visita la città su una camionetta, senza vetri blindati o protezioni. Là dove i Caschi Blu non vanno, e se ci vanno lo fanno con carri armati e macchine blindate, lui ci va con la semplicità di un sorriso. E conquista tutti.
Una settimana dopo la sua partenza, un missionario passa finalmente dal “KM 5” (la zona musulmana della città teatro di scontri da più di 2 anni) e chiacchiera con un musulmano che gli dice: “Dopo la visita del Papa, è cambiato tutto!”.
In effetti, c’è un prima e un dopo la visita del Papa. La situazione è migliorata, specialmente nella capitale, Bangui. Il problema è che il resto del Paese continua a sprofondare nel caos. 14 delle 16 prefetture (88% del Paese) è nelle mani dei gruppi armati della Seleka, con massacri, violenze e soprusi di ogni genere.
La ricerca della pace
Il Governo è praticamente assente, al di fuori della capitale, ed i Caschi Blu non riescono (o non vogliono?) reagire e la loro presenza è sempre più criticata.
Non mancano le iniziative per cercare la pace, ma spesso sono sradicate dalla realtà, e prevedono grandi “regali” per i gruppi armati, nessuna sanzione, e nessun riguardo per le vittime.
La Chiesa continua a svolgere un lavoro prezioso: proteggere ed accogliere chi è in difficoltà (qualsiasi sia la sua religione o etnia), denunciare ed informare su quello che succede, e cercare di formare le coscienze per uscire da questo caos. E questo è sempre più rischioso: il 3 settembre un cappuccino è stato preso da un gruppo armato, e picchiato per il lavoro di denuncia che i missionari stanno facendo.
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Central African Republic, SURROUNDED BY VIOLENCE THE ARDUOUS PURSUIT OF PEACE
In the history of the Central African Republic there is a “before and a “after” the visit to that country by Pope Francis. The Central African Republic CAR was the centre of attention for world media in November 2015 due to the Holy Father’s visit and opening there of the very first Holy Door of that special Jubilee of Mercy. All of a sudden Bangui, the capital, became “the spiritual capital of the world”.
The Papal visit began on the eve of a constitutional referendum and presidential elections which it was hoped would be a move towards the stabilisation of the Central African Republic. The ‘Francis effect’ was felt above all in the capital Bangui, but however undeniably many parts of the country still remain in the hands of armed Seleka militia, with massacres, violence and all kinds of injustices. How and why this dramatic situation arose? A historical reconstruction helps us understand.
In the heart of Africa
The Central African Republic, as the name implies, is situated in the heart of Africa, set between the Democratic Republic of the Congo , Sudan, South Sudan, Chad and Cameroon. Twice the size of Italy, but with a population of circa 5 million, a country with no access to the sea, but rich in land, water, pastures, agricultural products, forests, oil and diamonds. A wealth almost “theoretical”, since it is neither exploited nor valorised. And this explains why the every development classification puts CAR at the bottom. However it also explains why so many find the country tempting for its riches or for geopolitical strategies decided by others.
Established in 1960 with independence from France, the CAR has lived though one regime after the other almost all with coup d’etat which put into the hands of the leader political or military of the moment power, in theory to end the injustices of the previous regime, but in actual fact to portion out relief-aid, influence and wealth. Moreover the past 15 years have seen a proliferation of armed groups with the openly declared intention to rebel against the central government (outside the capital practically nonexistent).
The Seleka alliance
In December 2012 armed groups merge into an alliance, ‘Seleka’ (meaning in Sango the national language, Alliance). Formed on a regional basis (in the northeast region on the border with Sudan and Chad) of mainly Muslim elements, in a few months Seleka sweeps across most of the country reaching Bangui in March 2013. It takes power, ousting President François Bozizé. Behind this umpteenth coup, there lies also foreign influence (France, Chad, Sudan, Arab Gulf States). There follow nine terrible months of sacking, robbery, violence and splitting up of the country: the local Muslims (about 10% of the population) are involved (some collaborate, to their advantage, many others instead are victims like everyone else) and all are swept away when in December 2013, real civil war breaks out. The Antibalaka phenomenon is born: many non Muslims take up arms some, for defence and others for revenge, against the Seleka and against the Muslims, the result is chaos : hundreds of thousands in flight, thousands of casualties. For several months the only safe places are parishes which offer shelter to thousands: Christians threatened by Seleka, Muslims threatened by Antibalaka.
The activity of the local Church
The local Church stands in front line. Earlier, December 2012 (long before war broke out) religious leaders had formed a special platform: Catholics, Protestants and Muslims together to ward off the threat of war between religions. The Bishop of Bangui, Mons. Dieudonné Nzapalainga (unexpectedly made a cardinal in November 2016) became a very important point of reference. He never failed, even under gunfire, to carry to the people the consolation of God.
Chaos continues
At the beginning of 2013 president Michel Djiotodjia (Seleka), is ousted and replaced by Catherine Samba Panza. Notwithstanding good intentions, in the country chaos persists, despite a military intervention by France and more importantly by the United Nations Organization, which establishes an ad hoc Central African multidimensional mission (Mission Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation en Centrafrique, MINUSCA) with 12 thousand Blue Helmet Peace Keepers.
Thanks to strong pressure from France, between the end of 2015 and the beginning of 2016 at last elections are held. Few are the voters, few are the programmes but, quite unexpectedly, Archange Faustin Touadera, professor of Mathematics at the University of Bangui is elected President, a candidate little considered in the forecasts, but probably seen by young voters as an element of hope.
The impact of Francis
In the meantime, just as unexpectedly comes Pope Francis’ surprise visit to Bangui, at the end of November 2015. Advised not to go by France and by the UN, the Pope insists in his intent and succeeds even though the Central African Republic is a country at war (for 2 months it had been impossible to travel the roads such was the tension and the danger of attacks by militia groups). The arrival of Pope Francis changes everything: at last people are celebrating, running alongside the roads to greet the Pope who leads prayers, visits camps of displaced persons, and visits the country’s Mosque and Muslim community.
Pope Francis travels through the city on a small jeep, no bullet proof windows, no protection. There where the Blue Helmets do not go, or if they do, they ride in tanks or armoured cars, he goes armed with simplicity and a smile, winning the hearts of the people.
A week after the Holy Father’s departure, a missionary is at last able to reach the zone KM 5 (the Muslim district of that city, and the scene of fierce fighting for more than two years). The missionary hears from a local Muslim: “Since the Pope’s visit just everything has changed!”.
In fact the papal visit has a before and an after. The situation improved particularly in the capital, Bangui. The sad thing is that the rest of the country continues to sink more deeply into chaos. Now 14 of the country’s 16 prefectures (88% of the national territory) are in the hands of Seleka rebels, the people suffer massacres, violence and all kinds of injustices.
In pursuit of peace
Except for the capital, government is practically absent, the official UN Peace Keepers cannot (or will not ) react and their presence is increasingly criticised.
Attempts to restore peace are not lacking, but very often these attempts are out of touch with reality envisaging major ‘prizes’ instead of sanctions for the armed groups, while showing no concern for the victims.
The Church continues her valuable work of providing protection and shelter for those in difficulty (regardless of religion or ethnic origin), reporting what is happening, striving to form consciences to find some escape from the chaos. And the work of the missionaries’ is ever more dangerous: on 3 September an armed group abducted and beat a Capuchin missionary because he was reporting events.
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ESPAÑOL ---
Centroáfrica, la agotadora búsqueda de paz, en medio de la violencia
En la historia de la República Centroafricana existe un “antes” y un “después” de la visita del Papa Francisco. El país fue puesto bajo los reflectores de los medios mundiales en noviembre de 2015 gracias a la visita del Santo Padre y a la apertura de la primera Puerta Santa y el Jubileo de la Misericordia en Bangui, su capital, convirtiéndose así en la “capital espiritual del mundo”.
La visita del Papa Francisco se produjo en la víspera del referéndum constitucional y de las elecciones presidenciales que se tenían que realizar en diciembre y que debían marcar un punto de inflexión hacia la estabilización del país. El “efecto Francesco” se ha sentido especialmente en la capital de Bangui, pero es cierto que una gran parte del país sigue en manos de grupos armados “Seleka” que comenten masacres, violencia y abusos de todo tipo. ¿Cómo y porqué se ha creado y desarrollado esta dramática situación? Una reconstrucción histórica puede ayudar a entenderlo.
En el corazón de África
Centroáfrica, como dice el nombre, está situada en el corazón de África, entre la República Democrática del Congo, la República del Congo, Sudán, Sudán del Sur, Chad y Camerún. Es tan grande como dos veces Italia, pero tiene sólo 5 millones de habitantes. Un país sin salida al mar, pero rico de tierras, agua, pastos, productos agrícolas, selvas, petroleo, oro y diamantes. Es una riqueza casi “teórica”, porque no es explotada ni valorada. Y esto explica porque Centroáfrica está en los últimos puestos en todas las clasificaciones de desarrollo. Pero también explica porque es un País que atrae a muchos por sus riquezas o por las estrategias geopolíticas decididas por otros.
Centroáfrica nació en 1960 con la independencia de Francia, y paso de un régimen a otro, casi siempre a través de golpes d e Estado que permitían al político o al militar de turno apoderarse del poder. En teoría para poner fin a los abusos del régimen precedente, pero en realidad para repartirse las ayudas, influencia y riquezas. Además de esto, en los últimos 15 años, han iniciado a proliferar grupos armados, cuyo propósito declarado ha sido el de rebelarse a un gobierno central (prácticamente inexistente, fuera de la capital).
La alianza “Seleka”
En diciembre de 2012 nace una nueva alianza entre varios grupos armados, “Seleka” (en Sango, la lengua nacional, significa “Alianza”). Formada a nivel regional (el noreste del país, en la frontera con Sudán y Chad) con elementos en su mayoría musulmanes, en pocos meses arrolla gran parte del país para llegar a Bangui en marzo de 2013 y tomar el poder, expulsando al Presidente François Bozizé. Detrás de este nuevo golpe de Estado, también había influencias y presencia de personas internacionales (Francia, Chad, Sudán, países del Golfo árabe). A esto le siguieron nueve terribles meses de saqueos, robos, violencia y divisiones en el país: los musulmanes (alrededor del 10% de la población) se vieron involucrados (algunos colaboraron y se aprovecharon, muchos otros fueron víctimas como todos los demás) y se vieron golpeados cuando, en diciembre de 2013, estalló una verdadera guerra civil. Nace el fenómeno de los AntiBalaka: muchos no musulmanes toman las armas, en parte para defenderse, en parte por venganza, contra Seleka y contra los musulmanes, y estalla el caos: cientos de miles de personas huyen, hay miles de víctimas. Durante muchos meses, los únicos lugares de refugio son las parroquias, que acogen a miles de personas: a veces cristianos amenazados por Seleka, a veces musulmanes amenazados por Antibalaka.
Los esfuerzos de la iglesia
La iglesia está en primera línea. Ya desde diciembre de 2012 (mucho antes de que estallase la guerra) había surgido una plataforma especial creada por los líderes religiosos: católicos, protestantes y musulmanes juntos para evitar el riesgo de una guerra entre diferentes religiones. El obispo de Bangui, Dieudonné Nzapalainga (cardenal por sorpresa en noviembre de 2016) se convierte en un punto de referencia muy fuerte. No duda en ir a todas partes, incluso bajo las balas, para llevar el consuelo de Dios.
El caos continúa
A principios de 2013, el presidente Michel Djiotodjia (exponente de Seleka) fue reemplazado por Catherine Samba Panza. Más allá de las buenas intenciones, el país continúa en el caos, a pesar de la intervención militar de Francia y, sobre todo, de las Naciones Unidas, que crea una misión especial para Centroáfrica (Missione multidimensionnelle Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation en Centrafrique, MINUSCA) con 12,000 Cascos Azules.
Bajo fuerte presión de Francia, entre finales del 2015 y principios del 2016 se realizan por fin las elecciones. Se presentan pocos a la votación, con pocos programas, pero por sorpresa se convierte en presidente Archange Faustin Touadera, profesor de matemáticas en la Universidad de Bangui, un candidato muy poco considerado en los pronósticos, pero probablemente visto como un elemento de esperanza por los jóvenes.
El impacto de Francisco
Mientras tanto, una gran sorpresa: la visita del Papa Francisco a Bangui a finales de noviembre de 2015. Desaconsejado por Francia y la ONU, el Papa insiste en venir, y tiene éxito en su intento, a pesar de que Centroáfrica es un país en guerra (durante 2 meses no había sido posible moverse por las calles, de cuanto era alta la tensión y el peligro de ser atacados por las diversas milicias). Y la llegada del Papa Francisco rompe todos los esquemas: la gente por fin esta de fiesta, corren por las calles para saludarlo, hay momentos de oración, visitas a los campos de refugiados, visitas a la Mezquita y a la comunidad musulmana.
El Papa Francisco visita la ciudad en una camioneta, sin cristales acorazados o protecciones. Allí donde los Cascos Azules no van, y si lo hacen es con tanques y vehículos blindados, el Papa va con la sencillez de una sonrisa. Y conquista a todos.
Una semana después de su partida, un misionero pasa finalmente del “KM 5” (la zona musulmana de la ciudad que es escenario de de los enfrentamientos desde hace más de 2 años) y habla con un musulmán que le dice: “Después de la visita del Papa, todo ha cambiado”.
En efecto, hay un antes y un después de la visita del Papa. La situación ha mejorado, especialmente en la capital, Bangui. El problema es que el resto del país continúa hundiéndose en el caos. 14 de las 16 prefecturas (el 88% del país) están en manos de grupos armados Seleka, sufriendo masacres, violencia y abusos de todo tipo.
La búsqueda de la paz
El gobierno está prácticamente ausente, fuera de la capital, y los Cascos Azules no consiguen (o no quieren) reaccionar y cada vez se critica más su presencia.
No faltan las iniciativas para buscar la paz, pero a menudo se ven desarraigadas de la realidad, y pretenden proporcionar grandes “regalos” para los grupos armados, sin sanciones y sin consideración por las víctimas.
La Iglesia continúa haciendo un trabajo valioso: proteger y acoger a aquellos que están en problemas (sea cual sea su religión o etnia), denunciar e informar sobre lo que está sucediendo e intentar formar las conciencias para salir de este caos. Y esto es cada vez más arriesgado: el 3 de septiembre un capuchino fue capturado por un grupo armado y golpeado por el trabajo de denuncia que están haciendo los misioneros.
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FRANÇAIS ---
Centrafrique, la pénible recherche de la paix au milieu de la violence
Dans l’histoire de la République centrafricaine, il existe un avant et un après la visite du Pape François. Le pays était arrivé sous les réflecteurs des moyens de communication mondiaux en novembre 2015 grâce à la visite du Saint-Père et à l’ouverture de la première Porte Sainte et du Jubilé de la Miséricorde, à Bangui, sa capitale, devenue ainsi la « capitale spirituelle du monde ».
La visite du Pape François arrivait à la veille du référendum constitutionnel et des élections présidentielles qui se seraient tenus en décembre et devaient marquer un tournant en direction de la stabilisation du pays. Ce qu’il est convenu d’appeler « effet François » s’est surtout ressenti dans la capitale, Bangui, mais il est cependant vrai que de nombreuses parties du pays se trouvent entre les mains des groupes armées de la Seleka et sont caractérisées par des massacres, des violences et des abus en tout genre. Comment et pourquoi est née et s’est développée cette situation dramatique ? Une reconstruction historique aide à le comprendre.
Au cœur de l’Afrique
La Centrafrique, comme son nom l’indique, est située au cœur de l’Afrique, entre la République démocratique du Congo, la République du Congo, le Soudan, le Soudan du Sud, le Tchad et le Cameroun. Grand comme deux fois l’Italie, elle ne compte que quelques 5 millions d’habitants. Il s’agit d’un pays sans débouché sur la mer, mais riche en terre, eau, pâturages, produits agricoles, forêts, pétrole, or et diamants. Il s’agit d’une richesse presque théorique dans la mesure où elle n’est ni exploitée ni valorisée. Ceci explique pourquoi la Centrafrique se trouve aux derniers rangs de presque tous les classements liés au développement mais aussi pourquoi il s’agit d’un pays qui en attire beaucoup à cause de ses richesses ou pour les stratégies géopolitiques décidées par d’autres.
Née en 1960 en prenant son indépendance de la France, la Centrafrique est passée d’un régime à l’autre, presque toujours au travers de coups d’Etat qui ont permis à l’homme politique ou au militaire du moment de s’approprier du pouvoir, en théorie pour mettre fin aux abus du régime précédent, mais en réalité pour se répartir aides, influences et richesses. Outre à cela, au cours de ces 15 dernières années, ont commencé à proliférer des groupes armés dont le but déclaré était de se rebeller à un gouvernement central – pratiquement inexistant en dehors de la capitale.
L’alliance « Seleka »
En décembre 2012, naquit une nouvelle alliance entre différents groupes armés, la Seleka – qui, dans la langue nationale, le Sango, signifie Alliance. Formée sur base régionale – le nord-est du pays, à la frontière avec le Soudan et le Tchad – par des éléments en majorité musulmans, elle bouleversa en quelques mois seulement une grande partie du pays, pour arriver à Bangui en mars 2013 et prendre le pouvoir en chassant le Président François Bozizé. Derrière ce énième coup d’Etat, se trouvent également des influences internationales – comme celles de la France, du Tchad, du Soudan et des pays du Golfe. S’ensuivirent neuf mois terribles, de saccages, de vols, de violences et de fracture du pays. Les musulmans – qui représentent environ 10% de la population totale – furent impliqués – certains collaborant et en profitant, nombre d’autres en étant victimes comme le reste de la population - et furent emportés lorsqu’en décembre 2013 éclata une véritable guerre civile. Naquit le phénomène des antibalakas. Nombre de non musulmans prirent les armes, un peu pour se défendre, un peu par vengeance à l’encontre de la Seleka et des musulmans et le chaos a éclaté : des centaines de milliers de personnes ont fui, les victimes se comptant par milliers. Pendant de nombreux mois, les seuls lieux de refuge sont les Paroisses, qui ont accueilli des milliers de personnes, parfois des chrétiens menacés par la Seleka, parfois des musulmans menacés par les antibalakas.
L’effort de l’Eglise
L’Eglise est en première ligne. Dès décembre 2012 – bien avant l’explosion de la guerre – était née une Plateforme spéciale des responsables religieux : catholiques, protestants et musulmans ensemble pour conjurer le risque d’une guerre entre religions différentes. L’Archevêque de Bangui, S.Exc. Mgr Dieudonné Nzapalainga, créé Cardinal par surprise en novembre 2016, est devenu un point de référence très fort. Il n’hésite pas à aller partout, même sous les balles, pour porter la Consolation de Dieu.
Le chaos se poursuit
Au début de 2013, le Président Michel Djiotodjia, représentant de la Seleka, fut destitué et remplacé par Catherine Samba Panza. Par delà les bonnes intentions, le pays continue à demeurer dans le chaos, malgré l’intervention militaire de la France et surtout de l’ONU qui créa une mission ad hoc pour la Centrafrique – Mission multidimensionnelle intégrés des Nations unies pour la Stabilisation en Centrafrique, MINUSCA), forte de 12.000 casques bleus.
Face aux fortes pressions de la France, de la fin 2015 au début 2016, ont finalement lieu les élections. Peu nombreux sont ceux qui participent au scrutin, avec peu de programmes mais c’est de manière surprenante un professeur de mathématiques de l’Université de Bangui, Archange Faustin Touadera, qui devient Président, alors qu’il était un candidat peu pris en considération dans le cadre des prévisions électorale mais il a probablement été vu comme un élément d’espoir par les jeunes.
L’impact de la visite du Pape François
Entre temps, eut lieu une grande surprise : la visite du Pape François à Bangui, à la fin de novembre 2015. Freinée par la France et par l’ONU, le Pape insiste pour venir et y réussit bien que la Centrafrique soit un pays en guerre – pendant quelques deux mois, il n’avait pas été possible de se déplacer sur les routes tant la tension était forte tout comme le danger d’être attaqués par les différentes milices. L’arrivée du Pape bouleverse tous les schémas : la population, finalement en fête, court le long des routes pour le saluer, participer aux moments de prière, aux visites aux camps de réfugiés, à la visite à la mosquée et à la communauté musulmane.
Le Pape François visite la ville sur une camionnette, sans verres blindés ou protections. Là où les casques bleus ne vont pas et s’ils le font, le font avec des chars et des blindés, lui se rend avec la simplicité d’un sourire et il conquiert tout un chacun.
Une semaine après son départ, un missionnaire passe finalement au KM5 – la zone musulmane de la ville théâtre d’affrontements depuis plus de deux ans – et parle avec un musulman, qui lui déclare : « Après la visite du Pape, tout a changé ! ».
En effet, il existe un avant et un après la visite du Pape. La situation s’est améliorée, en particulier dans la capitale, Bangui. Le problème est que le reste du pays continue à s’enfoncer dans le chaos. En effet, 14 des 16 Préfectures – soit 88% du pays – se trouvent entre les mains des groupes armés de la Seleka, et massacres, violences et abus en tout genre continuent à y être perpétrés.
La recherche de la paix
Le gouvernement est pratiquement absent hors de la capitale et les casques bleus ne parviennent pas – ou ne désirent pas ? – réagir, leur présence faisant toujours plus l’objet de critiques.
Les initiatives visant à rechercher la paix ne manquent pas mais elles sont souvent loin de la réalité, prévoyant d’importants « cadeaux » aux groupes armés, aucune sanction et aucun égard pour les victimes.
L’Eglise continue à réaliser un travail précieux : protéger et accueillir ceux qui sont en difficulté – quelque soit leur religion ou leur ethnie d’appartenance – dénoncer et faire état de ce qui se passe et chercher à former les consciences pour sortir de ce chaos. Ceci est cependant toujours plus risqué : le 3 septembre, un capucin a été enlevé par un groupe armé et frappé pour l’action de dénonciation que mènent actuellement les missionnaires.