La crisi che riguarda la popolazione di etnia rohingya, nello stato birmano di Rakhine, interroga i governi delle nazioni dell'area e la comunità internazionale: l'esodo verso il Bangladesh è di crescenti proporzioni e l'urgenza di assistenza umanitaria si fa sempre più forte. Che fine faranno i Rohingya? Quali misure adottare? Mentre si attende la visita di Papa Francesco in Myanmar e Bangladesh (27 novembre - 2 dicembre), un criterio resta imprescindibile: la dignità di ogni essere umano.
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“Vasudhaiva Kutumbakam” significa “tutto il mondo è una famiglia”: è un’antica frase Sanskrita che si trova nel Maha Upanishad, uno dei testi sacri dell’Induismo. Questa importante affermazione sottolinea un principio fondamentale della filosofia indù, che include accoglienza, ospitalità, tolleranza, armonia, unità e versatilità. Per diversi secoli l’India, Paese con una grande percentuale di indiani, ha cercato di fare del suo meglio per mettere in pratica questo ideale. Ha accolto razze, nazionalità, tribù, religioni e culture provenienti da tutto il mondo.
I profughi rohingya fuggiti dal Myanmar. I rohingya (circa 1.2 milioni) sono una minoranza etnica, prevalentemente musulmana, concentrata nello Stato Rakhine del Myanmar. Sebbene abbiano radici e vivano da secoli nel Paese, a maggioranza buddista, ai Rohingya dal 1982 è stata negata la cittadinanza, sono stati privati del diritto di voto, considerati immigrati illegali e apolidi. Fin dalla fine degli anni ‘70, molti di loro hanno cercato rifugio nei paesi limitrofi, in particolare in Bangladesh.
Nel febbraio 2017, un rapporto delle Nazioni Unite aveva documentato numerosi casi di stupri e assassini, perpetrati sui rohingya anche a carico di bambini e giovani da parte delle forze di sicurezza del Myanmar. Nell'ultimo mese, a causa di alcune insurrezioni da parte di un piccolo gruppo di rohingya, la ferocia dell'esercito è ulteriormente aumentata. Recentemente, un alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha definito la campagna militare in corso di Myanmar contro la minoranza musulmana dei rohingya nello Stato di Rakhine “un classico esempio di pulizia etnica”, ma il governo del Myanmar nega.
In poco più di un mese, a partire dal 25 agosto, oltre 480.000 rohingya hanno cercato rifugio in Bangladesh. Lungo i confini hanno trovato mine, altri hanno affrontato percorsi rischiosi tra le intemperie (piogge torrenziali e alluvioni) del vasto estuario del fiume Naf, che separa il Myanmar dal Bangladesh. Si stima che diverse centinaia siano morti in naufragi e che i trasportatori delle barche avessero chiesto somme vertiginose per un tragitto che solitamente richiede una cifra minima. Le vittime sopravvissute hanno raccontato vere e proprie storie dell’orrore di quello che hanno vissuto. L’incredibile e disumana sofferenza a cui sono stati sottoposti ha catturato l’attenzione, l’angoscia e la rabbia di una parte considerevole della comunità mondiale.
Il Governo bengalese, le Nazioni Unite e le Ong locali e internazionali stanno facendo del loro meglio; ma le condizioni sono atroci, scarseggiano cibo e acqua potabile. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in un comunicato afferma che “è stato verificato anche un aumento del rischio di malattie trasmissibili, infezioni, colera e malattie respiratorie. È molto difficile rimanere al caldo e all’asciutto in queste condizioni e molti rifugiati sono già deboli ed esausti, lottano per rimanere in buona salute.” Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha visitato i rifugiati rohingya in Bangladesh. Il 27 settembre, rientrato a Ginevra, ha detto: “Sono dovuti fuggire dall’improvvisa e crudele violenza, e sono fuggiti senza niente. Hanno bisogno di cose basilari – cibo, assistenza sanitaria, riparo. Non hanno assolutamente nulla. Difficilmente nel corso della mia carriera ho visto gente arrivare con così poco. Hanno bisogno di tutto”. E ha aggiunto: “Ho parlato con diverse donne che sono state stuprate o ferite a causa della loro resistenza alle violenze. Ho parlato con molti bambini, privi di emozioni in maniera oltraggiosa, perché erano fortemente traumatizzati. Mi hanno detto di aver visto i loro genitori o parenti o amici ammazzati davanti ai loro occhi”.
L'11 settembre, nella sua Dichiarazione di Apertura alla 36a Sessione del Consiglio per i Diritti Umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha dichiarato: “Disapprovo le attuali misure di deportare i Rohingya che si trovano in India in un momento di violenze così gravi nel loro Paese. Circa 40,000 Rohingya si sono stabiliti in India, e 16,000 di loro hanno ricevuto lo stato di profughi. Il ministro degli Affari interni ha riferito che, poiché l'India non è firmatario della Convenzione sui Rifugiati, il paese può considerarsi dispensato dall’osservare il diritto internazionale in materia, insieme al senso di pietà umana di base. Tuttavia in virtù della legge ordinaria, della sua ratifica del Patto internazionale sui diritti civili e politici, degli obblighi del processo e del principio universale del non respingimento, l'India non può fare espulsioni di massa o rimandare le persone in un luogo dove rischiano torture o altre gravi violazioni”.
Nonostante le sofferenze dei Rohingya, il governo dell'India sta tentando di deportarne circa 40.000 che attualmente vivono in India e di impedire che altri entrino nel Paese. Questa azione dell'India sarebbe chiaramente contraria agli obblighi del paese in base al diritto internazionale e nazionale.
E’ arrivata una condanna mondiale per le atrocità commesse contro i rohingya. Tra due mesi, Papa Francesco visiterà il Myanmar (27-30 Novembre) e il Bangladesh (dal 30 Novembre al 2 Dicembre). La sua visita certamente concentrerà l’attenzione globale sulla situazione di tutte le persone che soffrono. Papa Francesco ha sempre preso posizione per tutti i profughi e gli sfollati ed è stato esplicito nella sua difesa dei rohingya. Il 27 agosto ha detto: “Sono arrivate tristi notizie sulla persecuzione della minoranza religiosa dei nostri fratelli e sorelle Rohingya. Vorrei esprimere tutta la mia vicinanza a loro - e tutti noi chiediamo al Signore di salvarli e suscitare uomini e donne di buona volontà in loro aiuto, che diano loro i pieni diritti. Preghiamo anche per i fratelli rohingya.”
Il Governo e la popolazione del Myanmar, il Governo dell'India e la comunità internazionale devono prestare attenzione al fatto che “tutto il mondo è una famiglia”; che ogni cittadino in un mondo civilizzato sia dotato di diritti; che anche i rifugiati devono essere trattati con la compassione, la cura e la dignità che meritano. Soprattutto, tutti devono rendersi conto che anche i rohingya sono esseri umani.
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“Vasudhaiva Kutumbakam”, meaning “the whole world is one family”, is an ancient Sanskrit phrase found in the Maha Upanishad, one of the Sacred Texts of Hinduism. This important phrase underlines a basic tenet of Hindu philosophy, which includes welcoming, hospitality, tolerance, harmony, unity and adaptability. For several centuries, India as a country and a large percentage of Indians have been doing their best to live up to this ideal. India has been home to races, nationalities, tribes, religions and cultures from across the world.
The Rohingya refugees fleeing Myanmar. The Rohingyas (1.2 million approx.) are an ethnic minority group, mainly Muslim, who are concentrated in Myanmar’s Rakhine State. Despite having roots and living in the Buddhist- majority country for centuries, the Rohingyas since 1982 are denied citizenship, disenfranchised, regarded as illegal immigrants and rendered stateless. Since the late 1970’s, many of them have sought refuge in neighbouring countries, particularly Bangladesh.
In February 2017, a United Nations report had documented numerous instances of gang rape and killings, including of babies and young children, by Myanmar’s security forces. In the past month, because of some insurgency on the part of a small group of Rohingyas, the army’s viciousness, already very ghastly, has escalated even further. Recently, the United Nations' top human rights official called Myanmar's ongoing military campaign against the Rohingya Muslim minority group in that country’s Rakhine state “a textbook example of ethnic cleansing”, but the Myanmar's government denies this.
In just a little over a month since August 25th, more than 480, 000 Rohingyas have sought refuge in Bangladesh. They face land mines planted along the border. Others make the treacherous crossing, through inclement weather (torrential rains and floods) of the wide estuary of the Naf River, which separates Myanmar from Bangladesh. It is estimated that several hundreds have died in capsized boats, and boatmen have been charging exploitative rates for a ride that usually costs a pittance. Victim survivors have been sharing horror stories of what they have been going through. The unbelievable and inhuman suffering, which they are being subjected to, has captured the attention: the anguish and anger of a sizeable section of the world community.
The Bangladesh Government, the UN and some local and International NGOs are doing their best; but the conditions are dire, food and drinking water is scarce. The UN Refugee Agency in a communique states, “there is also an increased risk of communicable diseases, infection, cholera and respiratory infections. It is incredibly difficult to keep warm and dry under these conditions and already weak and exhausted; many refugees will struggle to stay healthy. Filippo Grandi, the UN High Commissioner for Refugees visited the Rohingya refugees in Bangladesh recently. On September 27th, on his return to Geneva he said, “They had to flee very sudden and cruel violence, and they have fled with nothing. Their needs are enormous – food, health, shelter. They have absolutely nothing. I have hardly seen in my career people that have come with so little. They need everything,” Further adding, “I have spoken to several women who have been raped, or have been wounded because of their resistance to rape. I spoke to many children, shockingly absent of emotion, because they were so traumatized. They told me how they had seen their parents or relatives or friends killed in front of their eyes.”
On September 11th in his Opening Statement to the 36th Session of the Human Rights Council Zeid Ra'ad Al Hussein, United Nations High Commissioner for Human Rights said, “I deplore current measures in India to deport Rohingyas at a time of such violence against them in their country. Some 40,000 Rohingyas have settled in India, and 16,000 of them have received refugee documentation. The Minister of State for Home Affairs has reportedly said that because India is not a signatory to the Refugee Convention the country can dispense with international law on the matter, together with basic human compassion. However, by virtue of customary law, its ratification of the International Covenant on Civil and Political Rights, the obligations of due process and the universal principle of non-refoulement, India cannot carry out collective expulsions, or return people to a place where they risk torture or other serious violations”.
Despite the suffering of the Rohingyas, the Government of India is trying to deport about 40,000 Rohingyas who are currently living in India and to prevent other Rohingyas from entering the country. This action by India would clearly go against the country’s obligations under international and domestic law.
There has been global condemnation of the atrocities committed against the Rohingyas. In two months from now, Pope Francis will be visiting Myanmar (Nov.27th-30th) and Bangladesh (Nov.30th to Dec 2nd). His visit will certainly focus global attention on the plight of all the people suffering. Pope Francis has consistently taken a stand for all refugees and displaced persons and he has been vocal in his defense of the Rohingyas. On August 27th, he said, “Sad news has reached us of the persecution of our Rohingya brothers and sisters, a religious minority. I would like to express my full closeness to them – and let all of us ask the Lord to save them, and to raise up men and women of good will to help them, who shall give them their full rights. Let us pray for our Rohingya brethren.”
The Government and people of Myanmar, the Government of India, and the international community must pay heed to the fact that, “the whole world is one family”; that every citizen in a civilized world is endowed with rights; that even refugees have to be treated with compassion, care and the dignity they deserve. Above all, everybody has to realize that the Rohingyas are human too.
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ESPAÑOL ---
Myanmar: los Rohingya también son seres humanos
“Vasudhaiva Kutumbakam” que quiere decir “todo el mundo es una gran familia”, es una antigua frase en Sánscrito, que se encuentra en el Maha Upanishad, uno de los textos sagrados del hinduismo. Esta importante frase subraya un principio básico de la filosofía hindú, que incluye la acogida, la hospitalidad, la tolerancia, la armonía, la unidad y la adaptabilidad. Durante varios siglos, la India como país y gran parte de su población han tratado de hacer todo lo posible para cumplir con este ideal. La India ha sido el hogar de muchas razas, nacionalidades, tribus, religiones y culturas de todo el mundo.
Los refugiados Rohingya huyen de Myanmar. Los Rohingyas (1.2 millones aproximadamente.) son un grupo étnico minoritario, en su mayoría musulmanes, que están concentrados en el estado de Rakhine en Myanmar. A pesar de tener raíces y vivir en el país con mayoría budista desde hace siglos, a los Rohingyas en 1982 se les negó la ciudadanía, privándoles de su derecho, considerándolos como inmigrantes ilegales y apátridas. Desde finales de los años 70, muchos de ellos han buscado refugio en países vecinos, sobre todo en Bangladesh.
En febrero de 2017, un informe de las Naciones Unidas documentó numerosos casos de violaciones y asesinatos, perpetrados contra los Rohingya, incluidos niños y jóvenes, por parte de las fuerzas de seguridad de Myanmar. En el último mes, debido a algunas insurrecciones por parte de un pequeño grupo de Rohingya, la ferocidad del ejercito ha aumentado ulteriormente. Recientemente, un alto cargo de las Naciones Unidas por los derechos humanos ha definido la campaña militar que está en curso en Myanmar contra la minoría musulmana de los Rohingya en el Estado de Rakhine como “un clásico ejemplo de limpieza étnica”, peor el gobierno de Myanmar lo niega.
En algo más de un mes, a partir del 25 de agosto, más de 480.000 Rohingya han buscado refugios en Bangladesh. A lo largo de la frontera se han topado con minas anti-hombre, otros han tenido que afrontar caminos peligrosos afrontando la intemperie (lluvias torrenciales y aluviones) del gran estuario del río Naf, que separa Myanmar de Bangladesh. Se estima que han muerto varios centenares en naufragios y que los transportadores de las barcas habrán pedido sumas de dinero vertiginosas por un trayecto para el que normalmente se paga una cifra baja. Las víctimas supervivientes han narrado auténticas historias del horror que han tenido que vivir. El increíble e inhumado sufrimiento al que se han tenido que someter ha captado la atención, la angustia y la rabia de una parte considerable de la comunidad mundial.
El gobierno bengalí, las Naciones Unidas y las Ong locales e internacionales están realizando todos los esfuerzos posibles; pero las condiciones son terribles, escasean los alimentos y el agua potable. El Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Refugiados en una declaración ha afirmado que “también se ha verificado un mayor riesgo de enfermedades transmisibles, infecciones, cólera y enfermedades respiratorias. Es muy difícil mantener el calor y estar secos en estas condiciones y muchos refugiados ya están muy débiles y agotados, luchando por mantenerse en buen estado de salud”. Filippo Grandi, Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Refugiados, ha visitado a los refugiados Rohingya en Bangladesh. El 27 de septiembre, a su regreso a Ginebra, ha declarado: “han tenido que huir de la repentina y cruel violencia, de modo que se han marchado sin nada. Necesitan las cosas más básicas: comida, atención médica, refugio. No tienen absolutamente nada. En toda mi carrera no he visto a tanta gente llegar con tan poco. Necesitan de todo”. Y ha añadido: “He hablado con varias mujeres que han sido violadas o heridas por su resistencia a la violencia. He hablado con muchos niños que han sido privados de sus emociones de forma cruel, porque han sufrido traumas enormes. Me han dicho que han visto a sus padres o parientes o amigos ser asesinados ante sus ojos”.
El 11 de septiembre, en su Discurso de apertura de la 36ª Sesión del Consejo de Derechos Humanos, Zeid Ra'ad Al Hussein, Alto Comisionado de la ONU para los Derechos Humanos declaró: “Desapruebo las medidas actuales de la India para deportar a los Rohinyás en un momento de tanta violencia en su país. La India es hogar de unos 40.000 Rohinyás, de los que 16.000 han recibido el estatus de refugiados. El Ministro del Interior informó que desde que la India no es un estado firmante de la Convención de Refugiados, el país puede ser dispensado de observar el derecho internacional sobre el tema, junto con el sentido de compasión humana básica. Sin embargo, en virtud de la ley ordinaria, como nación que ha ratificado el Convenio internacional sobre Derechos Civiles y Políticos, de las obligaciones del proceso y el principio universal de no expulsión, la India no puede realizar expulsiones en masa o devolver personas a un lugar donde corran el riesgo de tortura u otras violaciones graves”.
A pesar del sufrimiento de los Rohingya, el Gobierno de la India está tratando de deportar a unos 40.000 que actualmente viven en la India además de tratar de impedir que otros ingresen al país. Esta acción de la India es claramente contraria a las obligaciones del país en virtud del derecho internacional y nacional.
Se ha producido una condena mundial por las atrocidades cometidas contra los Rohingya. En dos meses, el Papa Francisco visitará Myanmar (del 27 al 30 de noviembre) y Bangladesh (del 30 de noviembre al 2 de diciembre). Sin duda su visita llamará la atención mundial sobre la situación de todas las personas que sufren. El Papa Francisco siempre se ha posicionado de la parte de todos los refugiados y personas desplazadas y ha sido explícito en la defensa de Rohingya. El 27 de agosto dijo: “Han llegado tristes noticias sobre la persecución de la minoría religiosa de nuestros hermanos rohingya. Quisiera expresarles toda mi cercanía; y todos nosotros pedimos al Señor que les salve y suscite hombres y mujeres de buena voluntad en su ayuda; que les den los plenos derechos. Rezamos también por los hermanos rohingya”.
El Gobierno y el pueblo de Myanmar, el Gobierno de la India y la comunidad internacional deben prestar atención al hecho de que “todo el mundo es una familia”; que cada ciudadano en un mundo civilizado debe estar dotado de derechos; que los refugiados también deben ser tratados con compasión, cuidado y con la dignidad que merecen. Por encima de todo, todos deben darse cuenta de que los Rohingya son también seres humanos.
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Myanmar : de la nécessaire reconnaissance de l’humanité des Rohingyas
L’expression « Vasudhaiva Kutumbakam » signifie « le monde entier est une unique famille ». Il s’agit d’un ancien dicton sanskrit trouvé dans le Maha Upanishad, l’un des textes sacrés de l’hindouisme. Cette phrase importante souligne un principe de base de la philosophie hindoue, qui comprend l’accueil, l’hospitalité, la tolérance, l’harmonie, l’unité et l’adaptabilité. Pendant des siècles, l’Inde en tant que pays et un grand nombre d’indiens ont fait de leur mieux pour vivre en se conformant à cet idéal. L’Inde a constitué un havre pour des races, des nationalités, des tribus, des religions et des cultures provenant du monde entier.
Les réfugiés Rohingyas fuient le Myanmar. Les Rohingyas – 1,2 millions de personnes approximativement – constituent une minorité ethnique, en majorité musulmane, concentrée dans l’Etat de Rackine, au Myanmar. Bien qu’ils aient des racines et qu’ils vivent dans ce pays à majorité bouddhiste depuis des siècles, les Rohingyas se voient, depuis 1982, nier la nationalité, être privés de droits, considérés comme des immigrés en situation irrégulière et réduits à la condition d’apatrides. Depuis la fin des années 1970, nombre d’entre eux ont cherché refuge dans les pays voisins et en particulier au Bangladesh.
En février 2017, un rapport des Nations unies a documenté de nombreux cas de viols de groupe et d’assassinats, y compris concernant des nouveaux-nés et des enfants en bas âge perpétrés par les forces de sécurité du Myanmar. Le mois dernier, à cause d’actes de rébellion de la part d’un petit groupe de Rohingyas, la perversité de l’armée, déjà grande, s’est encore accrue. Récemment, le Haut Commissaire des Nations unies chargé des Droits fondamentaux a qualifié la campagne militaire en cours au Myanmar et en particulier dans l’Etat Rakhine contre la minorité musulmane des Rohingyas de « manuel exemplaire de nettoyage ethnique » mais le gouvernement du Myanmar l’a nié.
En un peu plus d’un mois seulement, à compter du 25 août, plus de 480.000 Rohingyas ont trouvé refuge au Bangladesh. Ils ont affronté les champs de mines présents le long de la frontière. D’autres ont fait, par mauvais temps – avec des pluies torrentielles et des inondations – la traversée du large estuaire du fleuve Naf qui sépare le Myanmar du Bangladesh. On estime que plusieurs centaines d’entre eux sont morts suite au chavirement des embarcations, sachant que le prix de la traversée, normalement dérisoire, avait été gonflé par les équipages. Les survivants ont fait des récits horribles de ce qu’ils avaient vécu. La souffrance incroyable et inhumaine qu’ils ont subie a retenue l’attention, l’angoisse et la colère d’une partie considérable de la communauté mondiale.
Le gouvernement du Bangladesh, les Nations unies et quelques ONG locales et internationales font actuellement de leur mieux mais les conditions sont difficiles, la nourriture et l’eau potable font défaut. Le Haut Commissariat de l’ONU pour les réfugiés indique, dans un communiqué : « Il existe également un risque croissant de maladies infectieuses, d’infections, de choléra et d’infections respiratoires. Il est incroyablement difficile de demeurer au chaud et au sec dans ces conditions et, étant déjà faibles et épuisés, de nombreux réfugiés auront de la peine à demeurer en bonne santé. Filippo Grandi, le Haut Commissaire des Nations unies chargé des réfugiés a récemment rendu visite aux réfugiés Rohingyas au Bangladesh. Le 27 septembre, à son retour à Genève, il a déclaré : « Ils ont dû fuir une violence particulièrement soudaine et cruelle et ils l’ont fait sans rien emporter. Leurs besoins sont énormes – en termes de nourriture, de santé, de logements provisoires. Ils n’ont absolument rien. J’ai rarement vu dans ma carrière des personnes qui avaient si peu de choses. Ils ont besoin de tout ». Il a ajouté par ailleurs : « J’ai parlé avec plusieurs femmes qui ont été violées ou blessés à cause de leur résistance au viol. J’ai parlé avec de nombreux enfants, qui ne manifestent pas d’émotions, de manière choquante, tant ils sont traumatisés. Ils m’ont dit comment ils avaient vu leurs parents ou des membres de leurs familles ou encore leurs amis être tués devant leurs yeux ».
Le 11 septembre, lors de la séance d’ouverture de la 36ème session du Conseil des Droits fondamentaux, le Haut Commissaire des Nations unies chargé des droits fondamentaux, Zeid Ra'ad Al Hussein, a déclaré : « Je déplore les mesures courantes prises par l’Inde consistant à éloigner des Rohingyas à un moment de grande violence à leur encontre dans leur pays. Quelques 400.000 Rohingyas sont installés en Inde et 16.000 d’entre eux ont reçu le statut de réfugié. Les Ministre d’Etat, Ministre de l’Intérieur indien a indiqué que, l’Inde n’étant pas signataire de la Convention sur les réfugiés, le pays peut se dispenser d’appliquer le droit international en la matière, tout comme de la compassion humaine de base. Cependant, en vertu de la coutume, de sa ratification de la Convention internationale sur les droits civils et politiques, des obligations liées au droit à un juste procès et du principe universel du non refoulement, l’Inde ne peut procéder à des expulsions collectives ou renvoyer des personnes vers un lieu dans lequel elles risquent des tortures ou d’autres violations graves » (des droits fondamentaux NDT).
Malgré les souffrances des Rohingyas, le gouvernement indien tente d’éloigner de son territoire quelques 40.000 membres de cette minorité qui vivent actuellement en Inde et d’éviter que d’autres Rohingyas n’entrent dans le pays. Cette action de l’Inde va clairement à l’encontre des obligations juridique du pays, tant au plan interne qu’international.
Les atrocités commises à l’encontre des Rohingyas ont fait l’objet d’une condamnation globale. D’ici deux mois, le Pape François visitera le Myanmar – du 27 au 30 novembre – et le Bangladesh – du 30 novembre au 2 décembre. Sa visite concentrera certainement l’attention du monde sur la situation critique de tous les peuples souffrants. Le Pape François a pris fortement position en faveur de tous les réfugiés et évacués et il a joué un rôle important dans la défense des Rohingyas. Le 27 août, il a déclaré : « De tristes nouvelles nous sont parvenues sur la persécution de la minorité religieuse de nos frères Rohingyas. Je voudrais leur exprimer toute ma proximité; et nous demandons tous au Seigneur de les sauver, et de susciter des hommes et des femmes de bonne volonté pour leur venir en aide, qui leur donnent les pleins droits. Prions aussi pour nos frères Rohingyas ».
Le gouvernement et la population du Myanmar, le gouvernement indien et la communauté internationale doivent tenir compte du fait que « le monde entier est une unique famille », que tout citoyen, dans un monde civilisé, est titulaire de droits ; que même les réfugiés doivent être traités avec compassion, soin et en tenant compte de la dignité dont ils sont porteurs. Par-dessus tout, tous doivent réaliser que les Rohingyas sont, eux aussi, des êtres humains.