La Cina tra “inverno demografico” e “rivoluzione dei pancioni”
di Sara Carletti *
Le autorità di Pechino provano a mandare in archivio la “politica del figlio unico”: adesso tutte le coppie di coniugi, anche nelle città, sono autorizzate e addirittura sollecitate a avere due figli. Ma il rigido sistema di controllo demografico rimasto in vigore per quasi quarant'anni ha inciso profondamente nel vissuto e sull’immaginario collettivo delle ultime generazioni. Riuscirà a rifiorire tra i giovani l’eredità profonda del popolo cinese, e il suo amore antico per i figli?
Il modello politico-economico impostosi nell'ex Celeste Impero negli ultimi decenni gioca contro l'aumento del tasso di fecondità delle coppie cinesi.
Il rigido sistema di controllo delle nascite che ha plasmato l'attuale profilo demografico del popolo cinese è stato sottoposto negli ultimi anni a un drastico e sintomatico tentativo di correzione, culminato nel marzo 2016 nella ratifica della nuova legge sulla pianificazione familiare, che consente a tutte le coppie – anche a quelle residenti nelle grandi città - di generare un secondo figlio. L’intento palese dei dirigenti politici cinesi, preoccupati per “l’inverno demografico” che sembra incombere anche sulla loro immensa nazione, è quello di archiviare la cosidetta “politica del figlio unico”.
Un cambio di rotta graduale
In realtà, le autorità politiche cinesi avevano da tempo intuito che occoreva cambiare rotta.
La legge sulla pianificazione delle nascite che obbligava a generare un solo figlio era stata imposta nel 1980. Ma nel corso degli ultimi dieci anni, i regolamenti statali per la pianificazione demografica avevano aperto le maglie a deroghe sempre più estese. Inizialmente, essi si applicavano a tutte le coppie di etnia Han (circa il 95% della popolazione), che potevano sottrarvisi solo accettando di pagare multe molto salate (ridotte nel tempo a importi più ragionevoli). Alle coppie delle minoranze etniche era sempre concessa la facoltà di avere un secondo figlio. La stessa possibilità era stata garantita anche a chi abitava nelle campagne, quando con la prima gravidanza era stata partorita una figlia femmina o un bambino disabile. Successivamente, il “permesso” di avere un secondo figlio era stato esteso alle coppie in cui entrambe i coniugi fossero figli unici, e dal 2014 era stato previsto anche per coppie in cui solo uno dei due coniugi era cresciuto senza fratelli. Con la legge del gennaio 2016, ratificata due mesi dopo dal Congresso nazionale del Popolo, Il processo di progressivo smantellamento della “politica del figlio unico” è stato completato, e ora tutte le coppie della Repubblica popolare cinese possono avere due figli, senza dover pagare sanzioni amministrative.
I “Piccoli Imperatori” sotto stress
L’intento evidente delle autorità cinesi è quello di prevenire l’invecchiamento demografico - considerato penalizzante in un’economia che vuole correre a ritmi sostenuti - e migliorare la disparità sempre più preoccupante tra percentuali di maschi e femmine nelle campagne rispetto alle città. Ma analisti e sociologi più avveduti suggeriscono da tempo che le chiavi di lettura meramente economiciste non aiutano a cogliere le reali dimensioni dell'emergenza prodotta dalla politica del figlio unico, e invitano a considerare gli effetti disastrosi prodotti da quelle scelte di controllo demografico anche sul vissuto spirituale e esistenziale di milioni di persone.
I figli unici cinesi, cresciuti in famiglie in cui sei adulti (due genitori e quattro nonni) hanno riversato per anni ogni cura, risorsa e aspettativa sull’unico “piccolo imperatore”, si trovano in una condizione a rischio-stress permanente, chiamati all'ardua missione di restituire il favore (dovere a cui, tra l’altro, sono obbligati per legge). Inoltre, soffocati da tante attenzioni e aspettative, i figli unici cinesi sono cresciuti viziati e sotto pressione continua, con l'ansia di dover sempre primeggiare e avere successo, per soddisfare le attese riposte su di loro dall'intera famiglia.
La silente e rimossa infelicità collettiva prodotta nelle vite di milioni di persone da 36 anni di rigida pianificazione assume dimensioni di emergenza sociale e antropologica, riguardo all'identità spirituale del popolo cinese. Per millenni la Cina è vissuta con il culto degli antenati. La preghiera e il rispetto dovuto agli antenati si rifletteva anche nel desiderio di avere una larga progenie che proiettasse l’eredità familiare nel futuro. Per millenni, non avere figli era considerata la peggiore disgrazia che potesse capitare a un uomo o una donna.
Dal 1980, la rinuncia imposta per legge a generare più di un figlio ha rappresentato uno strappo traumatico senza precedenti nella storia della Cina, straziante come niente altro per tanti cinesi che in quel modo rinunciavano all’elemento più profondo della propria identità e tradivano così genitori, nonni e avi, e tutto quanto c'era per loro di più caro.
I perché di una auto-mutilazione collettiva
La politica del “figlio unico” fu adottata come una sorta di scelta obbligata dalla leadership raccolta intorno alla figura di Deng Xiaoping, che in quegli anni stava guidando la nazione fuori dal naufragio collettivo della Rivoluzione Culturale. Alla fine degli anni 70, dopo la morte di Mao Zedong, il Paese era economicamente sul lastrico, forse più povero anche di quando i comunisti erano andati al potere nel 1949, dopo decenni di guerra civile e otto anni di invasione giapponese, ma con una popolazione che in 30 anni si era triplicata. La sensazione di essere in gravissimo pericolo dilagava in tutta la nazione. In quegli stessi anni il Giappone, con una popolazione che rappresentava circa un decimo di quella cinese, era almeno venti volte più ricco della Cina. Trenta anni prima il Pil cinese e quello giapponese erano equivalenti, e i giapponesi erano circa un sesto dei cinesi.
Un sistema economico che spinge all'infecondità
Oggi la situazione economica complessiva della Cina è molto diversa. Ma quando si chiede ai genitori di un figlio unico se desiderano adesso avere un secondo figlio, la risposta spesso è “tai lei le, tai gui le”: troppo faticoso, troppo costoso. Il sistema politico-economico impostosi nell'ex Celeste Impero negli ultimi decenni gioca contro l'aumento del tasso di fecondità delle coppie cinesi.
A partire dagli anni Ottanta, il sistema educativo e sanitario sono stati tarati considerando la presenza di un solo figlio per famiglia: i coniugi avrebbero pagato qualunque prezzo per la salute e la buona educazione del loro unico discendente, a garanzia del suo futuro. Anche per questo i costi dell'istruzione e dell'assistenza sanitaria sono saliti alle stelle.
Una scuola elementare di livello medio-alto può pretendere anche rette da 10,000 rmb al mese (circa 1300 euro), e l’ammissione è valutata dalla scuola sulla base del “curriculum” del bambino e dei genitori. Mandare il proprio figlio in una scuola meno qualificata, frequentata da bambini di famiglie meno abbienti, si associa al timore di compromettere la futura posizione sociale del bambino in una società estremamente competitiva. I bambini dei settori sociali urbani emergenti frequentano la scuola da mattina a sera, in aggiunta devono frequentare lezioni di recupero nel fine settimana, studiare uno strumento musicale, l’inglese, fare sport. Ogni tassello è importante per la scalata sociale, per essere ammessi a una buona università, che porterà un buon lavoro, un buono stipendio e sicurezza per la famiglia. Analogamente, anche i costi delle assicurazioni mediche per i bambini sono col tempo lievitati oltremisura. E tanti genitori sono spaventati e scoraggiati dall'impegno - imposto dalla pressione sociale – di dover garantire ai propri figli standard di educazione economicamente così impegnativi. Per molti tale fatica è sostenibile per far crescere un figlio, ma risulterebbe ormai troppo pesante raddoppiare tale impegno a favore di un eventuale secondogenito. Inoltre, la società è cambiata e molte donne cinesi nelle città di oggi desiderano una carriera, talvolta incompatibile con la cura dei figli.
Anche un'indagine condotta dalla Commissione nazionale per la salute e la pianificazione familiare nel 2015 ha delineato i fattori politici e sociali che concorrono a tener basso il tasso di fertilità. In quel rapporto, i genitori intervistati indicavano le difficoltà economico-finanziarie, le eccessive risorse necessarie per l'istruzione e la carenza di supporto nella cura e nella custodia dei figli tra le ragioni primarie che li trattenevano dall'incrementare la propria prole.
Contro “l'inverno demografico” basta una legge?
Intanto, le verifiche sui primi effetti dell'autorizzazione legale a mettere al mondo un secondo figlio inducono anche le autorità cinesi a letture articolate, dove si mescolano soddisfazione e preoccupazione.
Durante il 12 ° Congresso nazionale del popolo (marzo 2017) Wang Pei'an, vicedirettore della Commissione per la sanità e la pianificazione familiare della Cina, ha riferito che nel 2016 i nuovi nati negli ospedali nazionali sono stati 18,46 milioni, e il tasso di fertilità ha raggiunto l'1,7%, risultando essere il più alto dal 2000.
Per incoraggiare le coppie ad avere un secondo figlio, la 18a riunione del comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo ha esaminato l'emendamento alla legge sulla popolazione e la pianificazione familiare della Repubblica popolare cinese. Il nuovo progetto accentua la spinta a promuovere la politica globale a favore dei due figli, che viene "raccomandata" e non più soltanto "consentita".
L’incoraggiamento alla fertilità sembra diventato la nuova parola d’ordine rilanciata anche dagli apparati ufficiali incaricati di plasmare la mentalità comune e l’opinione pubblica cinese. Le reti radio e TV fanno a gara nell’esaltare le gioie familiari e la bellezza dei rapporti tra genitori e figli, come hanno mostrato anche i contenuti dell’ultimo annuale CCTV Spring Festival, il programma trasmesso alla vigilia del Capodanno cinese, considerato il programma tv con il più alto numero di spettatori al mondo.
Nonostante gli sforzi degli apparati, la nuova “politica dei due figli” non sembra ancora in grado di sciogliere da sola le preoccupazioni della leadership cinese sul terreno della demografia. Secondo i dati pubblicati dall'Ufficio Nazionale per la Statistica, la popolazione totale cinese ha raggiunto nel 2016 la soglia di un miliardo e 383 milioni di abitanti. Ma in alcune province, il tasso di fertilità registrato è stato ancora più basso rispetto all’anno precedente. E comunque il tasso di crescita globale della popolazione appare ancora lontano dai numeri auspicati dai dirigenti nazionali.
Secondo la Commissione Nazionale per la Salute e la Pianificazione Familiare, a partire dall'inizio del 2016 in più della metà dei 90 milioni di coppie potenzialmente interessate a mettere al mondo un secondo figlio l'età delle donne era superiore ai 35 anni. Secondo l'economista Liang Jianzhang, studioso dei trend demografici, il 70-80 per cento delle coppie cinesi desiderano idealmente avere due figli, ma poi solo il 3 per cento di loro è davvero pronto a realizzare tale proposito. Nel corso del prossimo decennio, il numero delle donne adulte in età fertile diminuirà di circa il 40 per cento. Di conseguenza, è ipotizzabile una forte diminuzione del tasso di natalità in Cina dopo il 2018.
Secondo alcuni analisti, l'unico modo per provare a frenare l'invecchiamento demografico nella Repubblica popolare cinese sarebbe quello di abolire del tutto ogni pianificazione familiare centralizzata che punti a determinare una soglia massima nel numero per ogni famiglia. Il 5 marzo 2017, il premier Li Keqiang ha rilevato nel suo rapporto di lavoro del governo che «per adattarsi all'attuazione di una politica globale di due figli, i servizi di assistenza sanitaria riproduttiva dovrebbero essere rafforzati». Da più parti si sollecitano misure legislative per incoraggiare le coppie ad avere un secondo figlio, sovvenzionando i costi associati alla vita familiare nei settori dell'istruzione, della cure mediche e dell'occupazione. Ma l'ipotesi che siano sufficienti misure e correzioni legislative per fermare l'incombente “inverno demografico” cinese è tutta da verificare.
In realtà, la vicenda della politica demografica cinese rappresenta il classico esempio di legislazione dirigista iniziata per interferire sulle dinamiche naturali della vita sociale, che finiscono per incidere nel vissuto e sull’immaginario collettivo fino a innescare processi sociologici involutivi che rischiano di diventare irreversibili, e che difficilmente possono essere corretti sulla base di nuove disposizioni calate dall'alto.
Adesso, in Cina, la vera scommessa consiste nel verificare se riuscirà a rifiorire nelle giovani generazioni l’eredità profonda del popolo cinese, il suo amore antico per i figli. Il picco di crescita demografica registrato nel 2016 è comunque un segnale positivo. Gli anni prossimi diranno al mondo se in Cina, al posto dell'inverno demografico, è in arrivo la primavera delle nuove nascite. In ogni caso, da Shanghai pare di vedere una rivoluzione dei pancioni, con sempre più mamme ad ogni angolo, strada e parco in dolce attesa.
* nota sull'autore
Junior Researcher at Monserrate Research Institute
Master Degree in Chinese Linguistics, Nanjing University