Dall’amore per il creato all’amore per gli ultimi
di Viviana Viali e Marco Tassinari
Giovanni Forasacco, per tutti Vanni, sin da giovane sogna di dedicare interamente la propria vita al prossimo. Nel 2006 incontra la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi. Seguendone gli insegnamenti inizia a vivere la propria chiamata come volontario in Bolivia, nella foresta amazzonica, a mezza giornata di fuoristrada da La Paz. Diventa responsabile di una casa per persone affette da alcolismo grave che prima del suo arrivo vivevano abbandonate a se stesse. A 63 anni Giovanni si spegne mentre lavora "per i suoi ragazzi”.
Giovanni aveva dedicato molte delle sue energie giovanili al movimento per la pace di ispirazione ecumenica Mir (Movimento Internazionale Riconciliazione) di Padova. Si batteva per promuovere l’obiezione fiscale alle spese militari. Amava la terra e il suo ecosistema, per questo per molti anni si era dedicato alla coltivazione biologica. Eppure non si sentiva ancora soddisfatto: cercava una conformità a Gesù Cristo, che non avvertiva ancora essere piena.
Incontrare sul suo cammino Don Oreste Benzi, il prete di strada riminese fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII fu per Giovanni un'illuminazione: l'amore per il creato poteva coniugarsi con l’amore ai piccoli, ai poveri, agli ultimi, ai privilegiati di Gesù. Don Oreste predicava un cambiamento radicale di vita, possibile qui ed ora, per tutti. Giovanni non si fece problemi o scrupoli; dopo un percorso di formazione e approfondimento vocazionale accettò la proposta di partire missionario per la Bolivia, all'età di 54 anni, per andare a vivere in piena foresta Amazzonica, nella regione dell’Alto Beni. Sarebbe andato a condividere la vita con un gruppo di alcolisti boliviani, persone ormai senza speranza la cui unica possibilità di sopravvivere era allontanarsi così tanto dalle tentazioni da isolarsi nella giungla. Lì, con “i suoi ragazzi”, iniziò la coltivazione di banane, di caffè, di riso, ha annunciato la parola di Gesù e tradotto in spagnolo i testi e le meditazioni di don Oreste Benzi.
Giovanni cominciò a scrivere alcune lettere ai suoi compaesani di Gaianigo (Padova): «Anni fa sognavo di fare un'esperienza, di dare un contributo per aiutare le persone in difficoltà. Qualcuno mi ha preso sul serio, e ci sono dentro fino al collo. L'Alto Beni un gran bel posto però non è un paradiso. Ma si sa: la vita non è facile per nessuno». Le condizioni attorno alla sua nuova casa erano estremamente difficili: caldo umido, miriadi di insetti che lo tormentavano tutto il giorno, povertà estrema con pagliericci al posto dei letti ed edifici costruiti senza porte e senza finestre.
Nel 2015 scriveva agli “amici di Gaianigo e dintorni”: «Vi ringrazio di cuore per il contributo economico che mi fate arrivare. Grazie al vostro sostegno abbiamo costruito un capannone (32 metri per 17). Il fabbricato al momento funziona come magazzino, nel prossimo futuro si pensa di compelatarlo ricavandovi vari spazi: cucina, deposito viveri, refettorio, sala riunioni, bagni, biblioteca... abbiamo anche iniziato la costruzione di un piccolo bacino per allevarci del pesce».
In quel periodo del Gruppo Stella della Parrocchia di Gaianigo faceva parte Lucia Ossato: «Una volta all'anno, a Natale, mandavamo a Giovanni i soldi che raccoglievamo: lui era una persona che si faceva voler bene, molto semplice ed umile. Quelle poche volte che tornava in Italia — la prima volta dopo 5 anni dalla partenza — organizzavamo delle serate in cui ci mostrava le foto dei “suoi ragazzi”, come li chiamava lui. Parlava delle difficoltà che doveva affrontare ogni giorno in modo sereno e tranquillo; ogni volta lo ritrovavamo più umile e felice di quando era partito».
Nella sua Parrocchia dedicata a San Zaccaria, a Gaianigo di Gazzo Padovano (PD), tutti ricordano Giovanni sempre a cavallo della sua bicicletta. Lui così spiegava il suo progetto: «Viviamo come in una casa famiglia, cerchiamo di vivere la fraternità e si pratica la correzione fraterna. Le persone che necessitano possono fermarsi anche stabilmente, gli si offre la possibilità di vivere in tutta semplicità ed essenzialità».
Grazie alle donazioni dall’Italia e ai progetti dell’Unione Europea sarebbe poi riuscito a realizzare una cucina e una mensa degne di questo nome; nel tempo i letti diventavano dei materassi di gommapiuma. L'ultimo viaggio in Italia è del maggio 2016: era venuto per reperire ancora fondi per i lavori che aveva in mente; il suo viso esprimeva serenità. Dio lo chiamò a sé il 29 agosto di quell'anno, mentre stava lavorando nella sua amata terra boliviana, all'età di 63 anni.
Come ultimo segno di condivisione scelse di essere sepolto di fronte alla cappella della sua comunità di persone ferite, accanto ad un giovane ospite che era morto qualche anno prima. Si trattava di Lucio, un ragazzo con un disagio mentale che l'aveva scelto come sua figura paterna.
Aveva scritto Giovanni: «Gesù ci ha invitati a dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, a vestire gli ignudi, e per di più si è identificato con essi. La Bolivia è statisticamente fa i paesi più poveri del Sud America, ma c'è da dire che potenzialmente potrebbe svilupparsi. È dotata di ingenti risorse, il suo territorio è 3 volte l'Italia e conta solo 10 milioni di abitanti. Nel futuro da paese bisognoso di aiuti potrebbe diventare donatore, e offrire aiuto ai paesi meno fortunati». E per quanto lo riguardava: «Non penso di tornare, sono contrario ai viaggi che costano cari e sono un lusso. C'è sempre da tenere d'occhio la povertà estrema che nel mondo sta crescendo».
Giovanni viveva nell’atteggiamento del mite, seguendo una definizione di don Oreste Benzi: «Il mite è colui che sa che la verità e la giustizia di Dio sono fatte per il cuore umano, e che in forza dell'azione dello Spirito Santo trionferanno». Ecco l'eredità di Giovanni: «”Quanto il cielo sovrasta la Terra così le mie vie sovrastano le vostre vie”; se sapremo osare e guardare più in là, i sogni di oggi potranno essere la realtà di domani».