Treviso Ambam PIME, Cinquantesimo del Gemellaggio
di Padre Silvano Zoccarato *
Ambam, Camerun, Cinquantesimo del Gemellaggio
Quello che Dante ha visto qui a Treviso dei due fiumi, è simbolo della comunione vissuta dal PIME con la diocesi di Treviso nella missione di Ambam (Camerun)
Si era negli anni ‘60, in pieno clima conciliare, e i vescovi dei cinque continenti venivano nelle nostre parrocchie di Treviso ad aprire gli orizzonti della vita ecclesiale. C'era entusiasmo missionario e al fuoco acceso dall' enciclica Fidei Donum di Pio XII, durante il concilio, la Chiesa ne era infiammata.
Il 2 febbraio del 1965, festa della presentazione di Gesù al Tempio, mons Mistrorigo arrivò nella nostra sede del PIME di Piazza Rinaldi come ogni anno, e mentre prendeva il caffè, si rivolse a padre Filippin: «Senta padre, vorrei che alcuni sacerdoti diocesani andassero in Africa ad aiutare qualche vescovo... Mi dia un missionario perché passi alcuni mesi assieme a loro, e così li introduca alla vita missionaria».
Poi mons Mistrorigo incontrò a Roma mons Pirovano, superiore generale del PIME. Qualche tempo dopo, lo stesso mons Pirovano e mons Guarnier, vicario generale della diocesi di Treviso, fecero un viaggio in Africa a visitare la diocesi di Sangmelima e a conoscere il vescovo Celestino N’kou. II giorno di S. Matteo apostolo, 21 settembre del 1966, i sacerdoti trevigiani, riuniti in convegno, aderirono alla proposta di andare in Camerun assieme ai missionari del PIME.
Nella conclusione del suo diario di viaggio, scritto con quello stile pittoresco e arguto che gli era proprio, Guarnier diceva: «Come si vede, si tratta dell’aiuto di Dio, ma anche di uomini generosi e di mezzi. La povertà estrema, bontà del vescovo e della popolazione sono grandi, commoventi. Non possiamo deluderli. Confidiamo che il grande cuore della diocesi di Treviso risponderà con larghezza».
Si giunse così al 29 giugno del 1967, giorno in cui il vescovo di Treviso, mons Antonio Mistrorigo, consegnò il crocifisso a cinque missionari: quattro di essi erano partenti per il Camerun, e uno per l’America Latina.
Di quelli destinati alla missione africana, due erano della diocesi di Treviso e due del PIME: don Mario Bortoletto, don Angelo Santinon, padre Giorgio Granziero e padre Giovanni Belotti. Era l’inizio di un gemellaggio tra la diocesi di Treviso e il PIME, che avrebbe portato ad una lunga e intensa collaborazione nella diocesi africana di Sangmelima, e precisamente nella missione-parrocchia di Ambam. Veniva così coronato un altro dei numerosi tentativi di realizzare concretamente la responsabilità missionaria di tutti i vescovi e di tutte le diocesi del mondo cristiano, messa in risalto dal Concilio Vaticano II. L’aspetto migliore di questo gemellaggio era quello della stretta collaborazione di una diocesi con un istituto esclusivamente missionario, nato dal seno delle diocesi stesse e di cui il Concilio aveva riaffermato la piena attualità e validità nella Chiesa.
La collaborazione tra Treviso e PIME era peraltro già profonda e visibile da ormai cinquant’anni: da quando cioè padre Gaetano Filippin e mons Longhin avevano voluto e realizzato un seminario missionario che ha dato alla Chiesa fino ad oggi oltre 150 missionari.
II gemellaggio doveva poggiare su una perfetta parità: la missione di Ambam non era cioè affidata separatamente né a Treviso né al PIME, ma a tutti e due uniti. II lavoro quindi sarebbe stato fatto in equipe dai missionari trevigiani e da quelli dell’istituto, senza alcuna distinzione fra di loro, chiamati a collaborare sotto l’autorità e al servizio del vescovo locale. Un fatto nuovo anche nel P.I.M.E.
La data del 29 giugno 1967 doveva passare agli annali della storia anche per un altro importante avvenimento: l’inaugurazione del nuovo seminario trevigiano del PIME, in via Terraglio, qualche chilometro fuori dal capoluogo, nei pressi di Preganziol.
Da tempo infatti il vecchio fabbricato di Piazza Rinaldi era diventato insufficiente e inabitabile, e padre Filippin si era dato da fare fino ad arrivare a una sistemazione, che permetteva un più ampio respiro e nuove iniziative. Inaugurando il nuovo seminario, mons Mistrorigo pronunciò parole che riaffermavano lo stretto legame tra la diocesi e il PIME: «... Noi oggi siamo qui presenti per sentire con i missionari i gravi problemi della Chiesa, per realizzare con loro un migliore lavoro nella Chiesa ed al servizio dell’umanità. Noi tutti lo sappiamo: i missionari da soli non bastano più, e le diocesi da sole non possono dare un impulso sufficiente all’evangelizzazione del mondo non cristiano.
Bisogna quindi mettere assieme le forze, sentirci uniti senza alcuna distinzione e lavorare uniti per l’unico scopo, che è quello di portare Cristo a tutte le genti e di fondare la Chiesa presso tutti i popoli.
II seminario missionario che oggi inauguriamo, noi lo consideriamo come nostro!
L’unico crocifisso che abbiamo consegnato ai quattro missionari è il segno della loro unione per un unico servizio. Ecco perché oggi è la festa della diocesi intera, oltre che dei missionari del PIME. Noi non saremo cattolici se non saremo missionari».
Alle parole del vescovo di Treviso facevano eco quelle di mons Aristide Pirovano : «... quello che abbiamo fatto lo dobbiamo a voi! II PIME è qui per aiutare le diocesi nella formazione dei missionari, mettendo a frutto il capitale di una esperienza e di una tradizione che hanno più di un secolo di vita.
II desiderio nostro, di noi missionari, è di esprimere ancor meglio la dipendenza che ci lega alle diocesi italiane, come sempre in passato, ma oggi secondo forme adeguate alla sensibilità post-conciliare; rendere più chiaro il fatto che noi esprimiamo, con il lavoro missionario, non qualcosa di nostro, ma semplicemente la missionarietà delle diocesi italiane che ci hanno mandato».
BILANCIO E PROSPETTIVE
Dopo i primi quattro missionari giunti ad Ambam, si aggiunsero altri sacerdoti, sia trevigiani che del PIME; poi, a partire dal 1971, le Missionarie dell’Immacolata, e infine alcuni laici.
E' difficile fare un bilancio di questi anni di presenza, anche perché si direbbe poco, e forse non ciò che è il più importante, trattandosi di una realtà non misurabile in cifre o con criteri strettamente umani.
Solo il Signore che vede nei cuori, che ha ispirato le scelte e sostenuto la generosità e il lavoro, conosce «i prodigi operati con la Grazia», pur nella fragilità umana.
II gemellaggio Treviso-Sangmelima-PIME è un dono dello Spirito del Concilio alla Chiesa. II gemellaggio si è aperto poi a una collaborazione tra le chiese, non solo con quella del Camerun, ma anche con quelle di Vicenza e di Como, con le quali siamo venuti a contatto e abbiamo vissuto insieme in terra africana.
Ha coinvolto poi molte persone della nostra chiesa italiana: amici, parenti...
La penna per scrivere che simbolicamente mons Squizzato, direttore dell'ufficio missionario, regalava a ogni missionario che gli rendeva visita, unita ai «schei per il caffè del viaggio...», serviva a stimolare simpatia e coinvolgimento e indicava il desiderio di autentica comunione con la missione. Così pure le numerose visite di amici, compresa quella del vescovo, fecero capire agli africani che unita ai missionari c'era una numerosa famiglia di fratelli nella fede: "L'opera delle retrovie".
II gemellaggio è stato un cammino di Chiesa, e suscitava numerose vocazioni per ogni genere di vita, di apostolato e di congregazione.
Anche i sacerdoti diocesani, quanto a spirito missionario e a fiato per la missione, ne avevano da vendere. Allenati sulle grave del Piave o nelle selve del Montello, hanno camminato spesso nella foresta africana riempiendo quelle lunghe ore di conversazioni allegre e cordiali con la gente del posto, e di silenziosi dialoghi con Dio.
E questo anche per un settantenne come mons Luigi De Biasi... Non parliamo dell’indomabile don Mario, tra i primi partenti e rimasto sul campo fino alla morte, nonostante i vari tentativi di riassorbimento da parte della «madre diocesi» che voleva dargli il cambio pattuito.
Lo spirito missionario, come è dimostrato dall’esperienza di oltre cinquant'anni in Camerun e poi in Ciad dei preti di Treviso e di tanti altri sacerdoti diocesani sparsi in tutto il mondo, è insito nel cuore di ogni sacerdote. Tutti gli uomini della terra sono dentro gli orizzonti della fede e della carità sacerdotale.
La collaborazione aperta e cordiale tra sacerdoti diocesani e missionari di istituti e congregazioni produce ottimi frutti.
II PIME ha voluto andare anche nel Camerun del Nord, sacrificando un po’ l’appoggio ad Ambam, e poi Treviso, dopo i trent'anni di Ambam, ha voluto continuare in Ciad. Le missioni al Nord e in Ciad, dove i cristiani sono molto meno, vanno considerate anch'esse un frutto del gemellaggio.
Il coraggio di rischiare
Ora Treviso ha ancora forze che attendono di essere incoraggiate ad esprimersi. Per sottolineare l'unità di Treviso col Pime, vissuta nella mia persona di prete di Treviso e di missionario del Pime, il teologo di Treviso e direttore dell'ufficio missionario, don Franco Marton, scrisse : "Ad Ambam, in Camerun, per qualche anno sono vissuti insieme alcuni Fidei donum di Treviso, alcuni ‘padri missionari’ del Pime e anche qualche laica lombarda. (...) Ripensando al tutto si potrebbe anche guardare al futuro con coraggio. Nulla impedisce che un Vescovo, a nome della sua chiesa locale, invii ad gentes una équipe formata da Fidei donum della sua diocesi, da religiosi o religiose missionari di qualche Istituto, battezzati nella sua chiesa locale, con laici o laiche della stessa chiesa. In qualche rara diocesi si sta già facendo. Le obiezioni sono tutte di ordine pratico: di quale tipo concreto di missionario religioso o di Fidei donum o di laico si dovrà disporre? di quale tipo di Istituto? con quale statuto economico ci si dovrebbe muovere… e così via. Ma da un punto di vista teologico il progetto starebbe perfettamente in piedi, come dal punto di vista del Concilio. Avrebbe, inoltre, una forza spirituale molto grande, perché tutti i membri dell’équipe si sentirebbero spinti ad aiutarsi nell’approfondire la propria fede, attingendo tutti a quello Spirito che resta il vero protagonista della missione. Non dovrebbe essere vista come una ‘soluzione pastorale’, subita da una chiesa locale ormai ridotta nei numeri delle vocazioni missionarie, ma come una scelta consapevole e motivata. Stiamo sognando o stiamo guardando al futuro con lo sguardo di un missionario che continuiamo a chiamar indifferentemente don Silvano o Padre Silvano, intuendo che dietro a questa benefica ‘confusione’ potrebbe nascondersi qualcosa di buono per il futuro della missione della diocesi? Se ci fosse il coraggio di rischiare…".
* nota sull'autore
Missionario PIME, Padre Silvano, dopo l'esperienza come missionario in Camerun e di educatore nei seminari del PIME, è ora testimone di Cristo in Algeria, un paese dove è vietata la "propaganda religiosa".
Padre Silvano è nato nel 1935 a Campodarsego (Padova), studia nei seminari del Pime, è sacerdote nel 1959 e dopo alcuni anni di lavoro per l’istituto, specialmente nel seminario di Treviso, è destinato alla missione del Camerun. Tre mesi di studio del francese a Parigi, arriva in missione nel 1971 e lavora tre anni ad Ambam, nelle foreste tropicali all’estremo sud del paese. Una bella missione perché i cristiani rispondevano bene alle cure pastorali e i non cristiani si avvicinavano a Cristo e alla Chiesa.