I Martiri del Zenta
di Stefano Lodigiani
Perseveranti nel seminare il Vangelo, la pace e la riconciliazione tra i gruppi indios, diedero la vita perdonando i loro aggressori
Il 2 luglio 2022, a San Ramón de la Nueva Orán, in Argentina, sono stati beatificati l’argentino Pedro Ortiz de Zárate, sacerdote diocesano, e Giovanni Antonio Solinas, italiano, missionario della Compagnia di Gesù, SJ, che dedicarono la vita alla trasmissione della fede e alla difesa delle popolazioni indigene. Furono uccisi il 27 ottobre 1683. Sono conosciuti come i “Martiri del Zenta”, dal nome della regione nel nord-ovest dell’Argentina dove erano impegnati a portare il Vangelo agli indigeni Hohomás. Anche altri cristiani, 18 in tutto, diedero la vita in questa missione.
La causa di beatificazione dei due sacerdoti martiri è stata portata avanti dalla diocesi di Orán sotto la guida della Postulatrice, suor Isabel Fernández, della Congregazione delle Hermanas Educacionistas Franciscanas de Cristo Rey (Suore Francescane di Cristo Re). La testimonianza di quanto questo compito l’abbia segnata, è stata diffusa dalla Curia generalizia SJ.
“È una gioia immensa offrire questa testimonianza. Per me, figlia della Chiesa, il martirio è un dono sublime e la prova suprema dell’amore, perché un discepolo accetta liberamente la morte per seguire Gesù. Come figlia di questa terra argentina, ammiro gli uomini e le donne che hanno dato la loro vita per costruire questa nazione e per seminarvi il Vangelo.
La presenza dei popoli autoctoni è antica e molto diversificata. Il loro incontro con gli spagnoli è ricco di luci e ombre, che sono sempre più oggetto di studio. Ma dalla storia dell’evangelizzazione emergono sempre esempi meravigliosi.
Studiare questo martirio avvenuto nel 1683, in una valle disabitata del Zenta (Salta), è stata una vera sfida, che è stata resa possibile grazie all’abbondante documentazione civile ed ecclesiastica. I vescovi di Nueva Orán, così come gli storici e i testimoni contemporanei della sua fama, se ne sono interessati. Il mio compito è stato quello di incoraggiare e guidare il lavoro di tutti loro, ai quali sono molto grata. In pochissimi anni sono state completate le fasi diocesana e romana della Causa.
Sono rimasta sorpresa dai numerosi gruppi etnici indigeni della regione, dai loro costumi, dalle loro difficoltà e sofferenze. Il rapporto con i conquistatori era conflittuale. Tuttavia, apprezzo molto le persone di valore, come Pedro Ortiz de Zárate, che amava gli indios, in qualità di amministratore, sindaco e poi parroco, così come gli indios amichevoli che collaboravano con lui, anche se ce n’erano altri che erano ostili per ragioni comprensibili. Ammiro i missionari gesuiti, come il padre Solinas, che hanno condiviso tutto con gli indios, in maniera generosa e disinteressata, per seminare tra loro l’amicizia, la pace e la Parola di Dio.
L’arrivo della comunità missionaria nel Chaco, composta da creoli, spagnoli, indios, neri e mulatti, uomini e donne, è stato un evento memorabile. Diciotto di loro, inclusi i due sacerdoti, hanno dato la loro vita per vivere e annunciare il Vangelo. Oggi risuona di nuovo la chiamata di Dio a rispettare le popolazioni autoctone, senza perdere lo zelo apostolico dei discepoli missionari di Gesù; e credo che sia ancora possibile raccogliere carismi e forze per il Vangelo e la salvezza dell’umanità.”
Nella lettera inviata in occasione di questa Beatificazione, il p. Arturo Sosa, Superiore Generale della Compagnia di Gesù, ricorda il contesto del martirio e sottolinea le sfide che la regione che va dal sud della Bolivia al nord-ovest dell’Argentina poteva rappresentare. I vari popoli erano spesso in conflitto tra loro. Le relazioni tra i coloni spagnoli e gli indigeni erano tese e i missionari dovevano offrire il Vangelo in un contesto di ingiustizia e di lotta, tra una feroce resistenza da parte delle popolazioni indigene e la repressione armata. Ecco alcuni estratti della lettera.
“Giovanni A. Solinas aveva dichiarato di essere disposto a evangelizzare questi gruppi e a rimanere con loro, senza abbandonarli, dando loro “il cibo necessario e tutti gli altri benefici possibili”. In effetti, secondo la testimonianza di un contemporaneo, Solinas, che era profondamente altruista, abituato alla sofferenza, di carattere docile e gentile e molto amato dai suoi compagni, “era un aiuto per i poveri, ai quali forniva sostentamento e vestiti; un medico per i malati, che curava con grande delicatezza; e un rimedio universale per tutti i mali del corpo. Per questo gli indiani lo veneravano con affetto filiale”. (...)
La spedizione missionaria organizzata nel 1683 dal p. Ortiz de Zárate cercò di stabilire la pace con i gruppi indigeni che avevano devastato i confini di Jujuy e di ottenere la riconciliazione tra i creoli e le popolazioni native. Tre gesuiti facevano parte della spedizione che attraversò la Valle del Zenta (l’attuale Orán), a est di Jujuy, tra cui il padre Giovanni Antonio Solinas (...).
Mentre stavano celebrando la pace, si presentarono circa cinquecento indigeni Toba, Mocoví e Mataguayo, insieme a diversi capi. Per alcuni giorni circondarono e minacciarono i gesuiti e i compagni che erano con loro. La mattina del 27 ottobre 1683, i sacerdoti pregarono e celebrarono l’Eucaristia. In seguito, parlarono di Dio con i loro assedianti in tono amichevole. Nel pomeriggio, apparentemente istigati dagli stregoni dei loro clan, gli assalitori caricarono con frecce, lance, mazze e bastoni i missionari e tutti i loro compagni, uccidendoli crudelmente. Come racconta un aborigeno della missione che riuscì a fuggire a cavallo, quando le truppe spagnole arrivarono da Salta pronte a fare giustizia, il p. Diego Ruiz glielo impedì: “Siamo venuti per convertire gli infedeli, non per ucciderli”.
Le origini europee di Solinas ci ricordano come la Compagnia abbia sempre privilegiato i luoghi di missione più urgenti in ogni momento, mettendo a servizio le diverse provenienze dei gesuiti che venivano inviati, indipendentemente dalla grande distanza, fisica e di usi e costumi, che li separava dai Paesi a cui erano destinati. Il loro distacco dalle abitudini acquisite in patria e la loro inculturazione nei luoghi più diversi permettevano una comunicazione del Vangelo che rispondeva ai bisogni e alle circostanze di chi lo riceveva. Ciò richiedeva al missionario, come abbiamo visto con questa missione del Zenta, qualità e virtù che caratterizzavano, tra gli altri, Giovanni Antonio Solinas. Queste qualità distintive non sono mai state improvvisate, ma generate e coltivate nella cura quotidiana dell’amore di Dio e del prossimo, fin dall’infanzia e durante tutta la formazione del gesuita.
La fedeltà di questi martiri nel perseverare nel loro impegno per la riconciliazione tra i diversi gruppi della zona, arrivando a dare la vita per questo e a perdonare i loro aggressori, ci permette di vedere la loro gerarchia di valori cristiani. D’altra parte, l’attenzione globale alla persona da parte di Solinas e dei suoi compagni, come medici del corpo e dell’anima, rende evidente come l’azione evangelizzatrice, guidata dalla grazia di Dio, voglia rispondere agli aneliti di ogni essere umano, comunicandogli la vita integrale offerta da Gesù Cristo”.