"Chi siamo noi come nigeriani"?
di Chiara De Martino
La Nigeria registra un preoccupante aumento delle violenze di stampo etnico-religioso. L'allerta lanciato da Fides negli scorsi mesi riprende vigore dopo le violenze degli ultimi mesi
La Nigeria, "african giant", primo paese africano per popolazione, patria dell’afrobeat, di Nollywood – la più fiorente industria filmica al mondo per numero di produzioni annue – è la prima economia del continente: il suo Prodotto Interno Lordo rappresenta il 25 % dell’intera economia africana.
Un paese in bilico tra crescita e povertà, dove – accanto alla più forte crescita economica del continente, - si riscontrano sacche di povertà che non accennano a diminuire: secondo i dati del World Poverty Clock, il 41 % della popolazione vivrebbe con meno di 2 euro al giorno.
La condizione di povertà diventa ancora più evidente se confrontata alle forme di disuguaglianza estrema presenti nel paese: “la ricchezza cumulata dei cinque nigeriani più ricchi equivale infatti a più di 26 miliardi di euro” (rapporto Oxfam, ‘La crise des inégalités en Afrique de l’Ouest’).
Disagio sociale e violenza
Malgrado l’indice di sviluppo umano sia in crescita dall’inizio del nuovo millennio – giunto a 0,51 su una scala di 1 – e che diversi presidenti della recente storia nigeriana si siano impegnati nello sradicamento della povertà, il disagio economico continua ad essere presente. E con esso delle problematiche di tipo sociale si acuiscono.
In particolare, tale fenomeno sembra essere peggiorato in seguito alla crisi del 2014, che ha visto il bloccarsi della crescita economica con il crollo del costo del petrolio. La sua lenta ripresa è stata recentemente frenata un’altra volta dalla crisi epidemica legata al Covid-19.
In questo contesto, il malessere sociale scaturito dalla crisi economica si è espresso attraverso un’intensificazione del conflitto etnico e religioso nel territorio nigeriano, già storicamente segnato da violenze endogene. Come riportato da Fides, all’inizio di settembre 73 alunni venivano rapiti nel villaggio di Kaya, nord-est del Paese. “Da dicembre più di 1 000 studenti sono stati rapiti dalle scuole nel nord della Nigeria” (Agenzia Fides, “Rapiti 73 alunni di una scuola”, giovedì 2 settembre 2021).
Nel mese di marzo le lotte, gli assalti e i rapimenti sembrano essersi ancora intensificati nel nord del paese, più particolarmente nello stato di Kaduna: tre sacerdoti sono stati rapiti, l’ultimo di questi sequestrato con altre 44 persone (Agenzia Fides, “Terzo sacerdote rapito a marzo in Nigeria; insieme a lui sequestrate altre 44 persone”, martedì 29 marzo). Ad oggi, sono uno dei tre sacerdoti, don Leo Raphael Ozigi, è stato liberato. Inoltre, la sera del 28 marzo è stato assaltato un treno proprio in direzione di Kaduna con circa 400 passeggeri a bordo: i terroristi hanno fatto saltare i binari prima di entrare nel treno. “Secondo i resoconti dei viaggiatori, gli assalitori hanno preso di mira in particolare le carrozze di prima classe. Almeno otto persone sono morte, una trentina sono rimaste ferite, mentre un numero imprecisato di viaggiatori è stato rapito” (Agenzia Fides, “Assalto al treno a Kaduna, le condoglianze delle confessioni cristiane”, 31 marzo 2022).
In seguito a quest’ultimo attacco, i Vescovi nigeriani hanno rilasciato una dichiarazione, in cui invitano il governo ad assumersi la responsabilità di arrestare e perseguire coloro che continuano a perpetuare, impuniti, violenze nella zona. (Agenzia Fides, I Vescovi: “Il governo smetta di fare lo struzzo e garantisca la sicurezza dei cittadini”, martedì 5 aprile 2022). Nel comunicato, i Vescovi affermano che, “il fatto che tutte queste atrocità contro il popolo e la nazione avvengano senza un solo arresto o processo, sembra dare credibilità alla convinzione diffusa che il governo sia compiacente, impotente o compromettente”. Al contrario, data la situazione fortemente instabile del Paese, “il governo dovrebbe smettere di fare lo struzzo mentre la nazione sanguina copiosamente e adottare misure urgenti per smascherare i terroristi e i loro sponsor senza ulteriori indugi”.
Tale situazione era già stata denunciata a più riprese dai Vescovi nigeriani. Secondo Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, in un discorso compiuto alla Commissione Tom Lantos dei Diritti Umani nell’agosto 2021 “il Paese è diventato una pentola a pressione. (…) Le questioni controverse non sono mai state discusse. Ora abbiamo una società di alleanze etniche, religiose e di altro tipo. Ci troviamo ora in Nigeria in un periodo di gestazione per tutte le cose terribili che abbiamo subito o lasciato non risolte”. Per il vescovo di Sokoto, la soluzione è interrogarsi su cosa significhi essere nigeriani.
“Chi siamo noi come nigeriani?”
La domanda, sollevata Matthew Hassan Kukah, Vescovo di Sokoto, nasce dalla storia della nazione nigeriana, risultato dell’epoca coloniale britannica, che vede l’unificazione dei protettorati di Northern e Southern Nigeria nel 1914 per volontà del governatore delle due aree. La Nigeria ottiene ufficialmente la sua indipendenza nel 1960, ma i confini rimangono quelli britannici. In particolare, il disegno inglese sarebbe stato legato alla volontà di connettere il Sud, storicamente più prospero, e il Nord, meno sviluppato.
Ancora oggi, nonostante il sistema federale, si fronteggiano due territori che hanno poco in comune. E la domanda sull’identità nigeriana sembra restare senza risposta.
Il Paese è composto da 36 stati federali in cui più di 300 popoli diversi parlano quasi 500 lingue. Nelle sue linee di demarcazione principali la Nigeria si divide in tre grandi gruppi etnici e religiosi: i cristiani Yoruba nel sud-ovest, i musulmani Haussa-Fulani principalmente situati nel nord e nel centro, e i cristiani Ibo nel sud-est del paese. Dal movimento separatista di questi ultimi ha avuto origine negli anni ’60 la terribile guerra civile del Biafra.
Il conflitto interno, in seguito al blocco terrestre e marittimo della regione da parte del governo centrale nigeriano, ha condotto la regione alla carestia e determinato la morte di quasi due milioni di persone.
Ancora oggi le rivendicazioni secessioniste di quest’area della Nigeria persistono. Inoltre, accanto a questo conflitto, altre lotte interne sono presenti nelle altre due principali macroregioni del Paese. Nel Nord si assiste a un proliferarsi di gruppo terroristici, tra i quali il ben noto Boko Haram; mentre l’area centrale, anche chiamata Middle Bealt, da decenni è teatro di conflitti tra le comunità agricole – principalmente cristiane-animiste - e i coltivatori musulmani semi-nomadi, per il controllo delle terre.
Il conflitto del delta del Niger
In un panorama instabile e conflittuale, nel 1937 cominciano le esplorazioni e le estrazioni di petrolio in Nigeria. La Shell, poi unitasi alla British Petroleum nel gruppo Shell-BP, aveva ottenuto l’esclusività nell’esplorazione ed estrazione a società e cittadini britannici. Più avanti, con un’ulteriore ordinanza la Corona britannica giunse ad avere anche la proprietà e il controllo di tutti i minerali e gli oli minerali presenti in Nigeria. Per questi motivi, le prime aree petrolifere individuate vennero quasi completamente espropriate ai popoli indigeni, spogliati di ogni diritto. Sono quelli che vengono considerati i semi del cosiddetto conflitto del delta del Niger.
Anche con l’instaurazione dell’indipendenza nigeriana, e la creazione di una compagnia petrolifera nazionale – la Nigerian National Oil Corporation (NNOC) – la situazione non cambia per gli abitanti delle zone. Nel frattempo, diversi gruppi indigeni danno il via a proteste nell’intento di ottenere un maggior controllo delle risorse presenti nell’area.
Diverse mobilitazioni ebbero inizio in maniera pacifica, ma – in seguito alla repressione di tali movimenti da parte delle forze di polizia – col tempo le forme di protesta divennero sempre più violente. I vari gruppi etnici diedero il via a una guerriglia, supportati da gruppi paramilitari, nell’intento di rivendicare i propri interessi nell’area, sia nei confronti dello stesso governo che delle industrie petrolifere e degli altri gruppi etnici.
Educazione "proibita"
Accanto a forme di violenza scaturite da conflitti di tipo economico - in aree geografiche ricche in risorse, ma in cui la maggior parte della popolazione residente vive in grande povertà, - altre forme di conflitto si sviluppano nel territorio nigeriano. Si tratta in particolare, come già sopra accennato, delle forme di violenza legate ai numerosi gruppi terroristici presenti nell’area sub-sahariana. La zona nord-orientale, principalmente desertica, è anche tra le più povere e meno sviluppate del Paese.
“Il coefficiente di Gini in questi Stati mostra l’esistenza di ampie disuguaglianze, mentre il tasso di disoccupazione risulta molto basso” (Mondopoli, “Conflitti e sviluppo nel Nord-Est della Nigeria: il caso dell’insurrezione di Boko Haram”, 22 febbraio 2021), accanto a queste strette dinamiche di povertà l’area vede una forte presenza di gruppi terroristici che utilizzano la fede islamica.
Tra questi il più noto, e già citato, Boko Haram, dove il termine è una “combinazione di una parola Hausa, boko, (libro o educazione occidentale) e della parola araba haram (proibito o peccato)”. Un significato che porta già in sé i semi della propria ideologia, per cui l’educazione occidentale sarebbe proibita, in quanto peccato.
Si tratta di movimenti guidati da un’ideologi, il cui nocciolo duro è composto dalla setta Jamāʿat Ahl al-Sunnah li-l-Daʿawah wa al-Jihād, ossia “persone impegnate nella diffusione degli insegnamenti e della jihad del Profeta”. Obiettivo del gruppo in origine era quello di creare uno Stato Islamico nell’area africana subsahariana, che potesse rispondere meglio alle esigenze della popolazione in seguito alla delusione di fronte al fallimento del sistema governativo attuale, considerato come filoccidentale.
Tra le varie azioni terroristiche legate al gruppo, particolarmente noti sono i rapimenti di giovani studenti, ma non si tratta degli unici atti di violenza nei confronti di locali. A questi si aggiungono, incendi di case e terreni agricoli, uccisione o rapimento di stranieri, tra i quali operatori umanitari, e stupri.
La Nigeria, una “pentola a pressione”
In sintesi, nell’area del nord-est del Paese, i fattori religiosi legati a questo tipo di violenze si incrociano in maniera imprescindibile con quelli economici e politici. Infatti, l’estrema povertà e il basso livello di istruzione favoriscono il reclutamento di giovani in queste forze armate, spesso viste come unica via per la sopravvivenza.
Inoltre, la cattiva governance e l’altra corruzione dei politici motiva le giovane generazioni a insorgere contro il governo. Spesso, gruppi politici avversari tendono anche a finanziare reti criminali locali, che vengono – poi – successivamente abbandonati “dai politici stessi una volta che hanno vinto le elezioni” idem.. Di conseguenza, i componenti di queste reti finiscono per confluire in sette come quella di Boko Haram.
Negli ultimi anni, l’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze hanno visto di pari passo l’accrescere delle violenze. Una situazione di forte instabilità non sorretta da legami comunitari solidi - eccetto per quelli tribali - e non aiutata dai giochi politici, che tendono – al contrario - allo sfruttamento delle tensioni etnico-religiose.
L’attuale crisi economica, che ha seguito un decennio di crescita non affiancato dai dovuti strumenti di sviluppo sociale, ha determinato un ampliarsi delle tensioni regionali. E che ha visto il suo sfogo ultimo in un ampliarsi dei conflitti di stampo etnico-religioso. Un conflitto acuitosi recentemente e che, come il In equilibrio costante tra sviluppo economico e aumento delle disuguaglianze, crescita e povertà. Registra oggi un preoccupante aumento delle violenze di stampo etnico-religioso nel Paese. L’allerta già lanciato da Fides negli scorsi mesi e con maggiore forza nel mese di marzo 2022, tramite le parole del Vescovo di Sokoto, porta alla luce una domanda chiave per la Nigeria di oggi, in vista di un futuro possibile: “Chi siamo noi come nigeriani?”. Dalla risposta a questo interrogativo dipenderà il futuro del paese.