L'eredità spirituale di Tibhirine
di Luca Attanasio
La comunità universitaria si coinvolge sull'esperienza dei monaci martiri in Algeria nel 1996, toccando teologia, spiritualità, letteratura, musica, missiologia, liturgia e dialogo
Coinvolgere la comunità universitaria e allargare il circolo delle persone che possono conoscere l’eredità spirituale dei monaci di Tibhirine, martiri in Algeria nel 1996, i loro scritti; e promuovere il desiderio di elaborare tesi su uno o più di loro, toccando diversi aspetti come la teologia, la spiritualità, la letteratura, la musica, la missiologia, la liturgia e il dialogo. Con questo obiettivo si è tenuto a Roma il 3 e 4 dicembre 2021, presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, il “Colloquio per il 25.mo anniversario del martirio dei 7 fratelli”, momento di riflessione sugli scritti e l’eredità spirituale dei monaci di Tibhirine, martiri in Algeria nel 1996. Organizzato dall’Associazione per la protezione degli scritti dei sette dell’Atlas e dal Comitato scientifico degli Scritti di Tibhirine, sotto l’alto patronato del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, l’incontro ha visto la partecipazione di molti studiosi e studenti, in presenza o collegati da remoto, da ogni parte del mondo. La prima giornata, riservata agli studenti, puntava a coinvolgere la comunità accademica allo studio e l’approfondimento della spiritualità dei 9 trappisti vissuti insieme nel monastero di Tibhirine; la seconda, aperta al pubblico, ha invece avuto uno scopo più divulgativo mirato a diffondere nel mondo il messaggio ancora molto attuale dei monaci attraverso i loro scritti.
A margine del Colloquio, organizzato nell’anno del venticinquennale del martirio, l’Agenzia Fides ha incontrato don Thomas Geogeon, abate della Trappa di Soligny, Francia, e Postulatore della causa di beatificazione dei 19 martiri assurti agli altari l’8 dicembre 2018, e Marie-Dominique Minassian, ricercatrice dell’ISTAC e del FNS (Università di Friburgo, Svizzera) responsabile del progetto di ricerca sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero Les éscrits de Tibherine e del comitato scientifico Les éscrits de Tibherine
Thomas Geogeon (TG): “È stato il terzo convegno dedicato agli scritti e alla testimonianza dei monaci, il primo si è a tenuto a Parigi nel 2018, poi il secondo a Friburgo in Svizzera nel 2019. L’ idea di venire a Roma intende coinvolgere la comunità universitaria e allargare il circolo delle persone che possono conoscere l’eredità dei fratelli, i loro scritti, e promuovere il desiderio di fare tesi su uno o più di loro. Si possono affrontare sotto diversi aspetti, la teologia, la spiritualità, la letteratura, la musica, la missiologia, la liturgia e, ovviamente, il dialogo. È un modo per noi di diffondere il messaggio e, allo stesso tempo, di conoscere studenti che stanno lavorando e creare una comunità universitaria attorno agli scritti”.
Marie-Dominique Minassian (MM): “Speriamo di suscitare il desiderio di promuovere traduzioni da parte di studenti da diversi zone geografiche. Per il momento è un circolo ristretto, ma siamo venuti a Roma proprio per ampliare, attraverso il contatto con tutte le università pontificie. La scelta di Sant’ Anselmo mira a promuovere una teologia monastica e sviluppare un radicamento in tale teologia. Certo, 25 anni sono pochi per un eredità teologica, il primo, grande impatto c’è stato nel campo del dialogo islamo-cristiano, ma il merito degli scritti che proviamo a fare conoscere ci permette di vedere che per andare così lontano nel dialogo, deve essere radicata profondamente l’esperienza spirituale vissuta”.
Thomas Geogeon: “Quando si entra in una libreria e si cercano testi dei o suoi monaci, si viene indirizzati sempre nel reparto ‘dialogo interreligioso’; noi, in realtà speriamo che da ora in poi, approdino negli scaffali dedicati alla ‘Spiritualità’. Confinarli nel comparto ‘Dialogo’ è un peccato e il lavoro di ricerca teologica, sostenuto dal fondo nazionale della Svizzera, ci permette di fare ricerca attorno ai fratelli, incontrare testimoni, sfruttare le fonti. E poi seguirà un impegno di edizione universitaria e di pubblicazione”.
D: I nove monaci, si sono dedicati alla scrittura in forme molto diverse, che mosaico letterario si sta formando grazie al vostro lavoro di raccolta e studio?
MM: “Non tutti i 9 monaci hanno scritto con le stesse modalità, c’è stato chi ha scritto molto, chi meno. Il priore fratel Christian de Chergé, ad esempio, scriveva solo lettere. Quattro hanno scritti più sistematici su temi propri. C’è poi una grande diversità negli scritti, alcuni sono raccolte di omelie, altri sono poesie, testi di spiritualità, o che si riferiscono al dialogo, altri riguardano la musica, ma lo scopriamo poco a poco, perchè l’archivio che conosciamo raccoglie almeno 350mila fogli”.
D: Tra le eredità che lasciano i monaci di Tibhirine, c’è un modello di Chiesa universale che non ha mai smesso di parlare e di ispirare e che anzi il martirio, in qualche modo, ha magnificato. Come è cambiata la Chiesa algerina e la Chiesa in genere in seguito all’esperienza di Tibhirine?
TG: “Da parte dei Vescovi c’è stato un cambiamento e sono nati piccoli gruppi in Algeria che si radunano per riflettere e portare avanti l’esperienza, specie dopo la beatificazione i più giovani hanno preso maggiore conoscenza e abbiamo visto fiorire gruppi di ragazzi, musulmani e cristiani, che si riuniscono per provare a vivere il senso di fraternità promosso dalla comunità dei monaci così come da Papa Francesco. Alla base c’è un modo di essere e fare Chiesa che parla al mondo di oggi. Una Chiesa minoritaria, non trionfale, ma povera e serva. È il frutto permanente della scelta del Cardinal Duval, subito dopo l’indipendenza, di mettersi a sevizio del popolo e diventare una Chiesa algerina, anche perché non c'erano più cristiani. I fratelli hanno vissuto proprio questo. In germoglio si sente l’eco del pontificato di Francesco, il rapporto con la natura, la fratellanza, il dialogo. Se penso a ‘Fratelli Tutti’, alla ‘Laudato sì’, al documento ‘La Fratellanza Umana’ siglato con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, intravedo i frutti della loro testimonianza, io non posso che leggerli attraverso il prisma della loro esperienza. Nella Gaudete et exultate si parla di comunità come espressione di santità comunitaria e si fa riferimento diretto ai monaci di Thibirine. Il concetto di Chiesa ospite, come Chiesa accolta e non dominante, che quindi deve aprirsi alla realtà, è fondamentale”.
MM: “Una delle eredità più belle è la presenza ormai da oltre 4 anni di una comunità di Chemin Neuf proprio nel monastero di Tibhirine. Stanno prolungando anche fisicamente la testimonianza dei monaci. Offrono accoglienza a tantissima gente, una medie che oscilla tra le 100 e le 200 persone al giorno, al 95 per cento musulmani. Hanno dovuto addirittura istituire un giorno senza visite perché l’afflusso al monastero è troppo ingente, si può senza dubbio definirlo un fenomeno straordinario. Ci sono vari motivi, alla base, intanto il posto è bellissimo, ma tanti vengono perchè hanno sentito parlare della vicenda e vogliono viverla per qualche giorno. Il 60/70% chiede di visitare il cimitero e soffermarsi a pregare sulle tombe, in particolare su quella di Fratel Luc Dochier, il medico, a cui si rivolgevano persone da tutta l’Algeria per la sua fama nazionale. Ho incontrato tanta gente in questi anni, che sono state in contatto diretto con i monaci e ho raccolto molte testimonianze. Di recente ho visto in Francia i parrocchiani di Célestin Ringeard , erano una trentina e ciascuno ha portato dei ricordi diretti, molte foto, le lettere e mi ha molto toccato che hanno iniziato a cantare per lui che diceva che cantare era pregare e viceversa”.
D: Per un processo di beatificazione, di così tante persone, poi, ci vuole in genere molto tempo. Nel caso dei 19 martiri d’Algeria, sono bastati 5 anni, come spiega questo record?
TG: “Quando la causa è stata aperta, 5 anni fa, la scelta è caduta su di me e la mia età relativamente giovane, anche perché si riteneva che ci sarebbero voluti minimo 20 anni, ma forse anche 40 o 50. Il lavoro di tutti è stato certamente ben fatto, ma è il Papa che ha voluto questa Causa e quando è un pontefice a pronunciarsi, la praxis va più veloce, ha offerto una corsia preferenziale. La ragione più profonda alla base di un simile rapido percorso è quella che io chiamo “fama di santità”: nei fedeli della Chiesa queste persone erano già riconosciute sante per le loro vite, ben prima del martirio. Il dialogo, il modello di vita comunitaria, il senso di Chiesa, il modo molto diverso di rapportarsi con musulmani. La morte dei monaci, in particolare, ha avuto un grande impatto su tante persone anche in Francia, ci fu una manifestazione immensa e quando è stato pubblicato il testamento di padre Christian, è diventato una pagina maggiore della spiritualità del XX secolo. Senza questa fama non si può spiegare il successo di questa causa. Possiamo pensare ai 19 più come martiri dell’amore, dell’amicizia e della fedeltà. C’è una frase meravigliosa di Padre Christophe: “Dio ci ama insieme”. Credo che questo parli del desiderio di Dio per noi e il poeta è capace di tradurlo in parole. In ogni caso, è importante comprendere che per i 19 martiri di Algeria, si è trattato di una causa di una Chiesa intera, è una vicenda unica nella storia della Chiesa, tutta unita in un’unica testimonianza”.
D: Può tracciare un primo bilancio del “Colloquio per il 25.mo anniversario del martirio dei 7 fratelli”?
TG: “Ci sarebbero tante cose da dire sul Colloquio. C'è stata una presenza sentita, sia a Sant'Anselmo che da remoto, persone da diverse parti del mondo: Italia, Francia, Spagna, Marocco, Algeria, Argentina, Canada, Svizzera. Il 3 dicembre sono stati presentanti i contributi di alcuni studenti che stanno portando avanti un lavoro di ricerca su missologia, poesia, spiritualità, teologia così come approfondimenti sul contesto in cui ha vissuto l'Algeria degli anni ‘80-’90. Sono stati esposti interventi sull'andamento della causa di beatificazione e suoi frutti e il legame forte con il magistero di papa Francesco. Il 4 dicembre, giornata aperta al pubblico, abbiamo ascoltato la testimonianza di Mons. Claude Rault, vescovo emerito di Gardhaia in Algeria sul suo intimo legame con la comunità e il beato Christian de Chergé, è stato un momento di vera grazia. Il padre Ardura - Postulatore della causa di Charles de Foucauld - ha poi mostrato i legami tra quest’ultimo e i monaci. Alcuni interventi hanno sviluppato la pertinenza teologica e spirituale di Tibhirine, teologia del dialogo nel senso che ciascuno di noi deve cercare il senso profondo del dialogo, nuove vie dialogiche con riferimenti al discorso di Papa Francesco a Napoli nel 2019. Il professore Tranni ha parlato dei monaci come interpreti del Concilio Vaticano II. Anche lui ha tenuto a sottolineare come i frutti del loro martirio li ritroviamo nel magistero di Francesco. Credo sia stato molto importante, in conclusione, il contributo offerto da un teologo musulmano, Adnane Mokrani, sul "Senso di una presenza che ci sfida”. Mi preme aggiungere, al termine di questi giorni intensi, che è in lavorazione una traduzione in italiano degli scritti dei monaci, e questo consentirà di approfondire e meditare ancora di più il loro pensiero e la loro fede nel vostro Paese”.