La "diaspora missionaria" dei Caldei in Svezia
di Luca Attanasio
Nel Nord Europa la presenza di una Chiesa antica, detentrice della lingua liturgica più vicina a quella parlata da Gesù: padre Rayan Atto offre la prospettiva di una testimonianza cristiana e di missione evangelizzatrice radicata in un mondo lontano dall’Iraq
Götheborg (Agenzia Fides) - Cosa significa essere cattolici in un Paese scandinavo, inserita in un contesto a maggioranza luterano, ma anche di diffuso ateismo? E quali sono le sfide missionarie di una “minoranza nella minoranza” come i fedeli di rito caldeo? Che messaggio lancia una Chiesa così antica, detentrice della lingua liturgica più vicina a quella parlata da Gesù, al mondo moderno occidentale e ai fedeli della diaspora mediorientale? Raggiunto dall’Agenzia Fides nella sua sede a Götheborg, Svezia, Padre Rayan Atto, rettore della missione caldea dall’estate del 2018, prova a rispondere a queste domande e offrire una prospettiva di testimonianza e presenza evangelica radicate in un mondo lontano dall’Iraq e dalle tradizioni così diverse.
Padre Atto, ci fa un quadro della comunità cristiane in Svezia?
“In Svezia i cattolici, compresi i tanti riti differenti, sono circa 120mila mentre la Chiesa luterana svedese conta 7 milioni di fedeli. Possiamo dire che ci sono cattolici in tutte le regioni della Svezia e la Chiesa in tutto ha una decina di centri spirituali come parrocchie, luoghi per ritiri o di formazione. La comunità è composta da una fetta di autoctoni e un’altra, significativa, di polacchi, ucraini, provenienti da qualche altro Paese europeo e, ovviamente, un numero importante di cattolici di rito orientale. Secondo le ultime rilevazioni, sulla base delle famiglie seguite, noi caldei siamo tra i 20/25mila, ci sono presenze di maroniti, siri e armeni cattolici e melchiti, questi ultimi di recente sono cresciuti grazie ad arrivi dalla Siria”.
A quando risalgono i primi arrivi di caldei in Svezia?
“La prima immigrazione risale agli anni ’70, erano caldei turchi. Poi, a seguito della guerra Iran-Iraq molti giovani sono fuggiti per non andare al fronte e per tutti gli anni ’80 ne sono arrivati qui molti. La terza ondata è dei primi anni ’90 dopo la prima Guerra del Golfo o a seguito della spartizione nel nord Iraq e la costituzione del Kurdistan come entità autonoma: da Ankawa, sede di storica presenza di cristiani nella capitale Erbil, così come da altre zone, centinaia di persone, arrivate al confine tra Turchia e Iraq, presentarono la domanda di asilo in Svezia e ottennero l’accoglienza. Nella maggior parte si trattava di giovani celibi, il governo svedese concedeva la possibilità di ricongiunsi con altri membri della famiglia, fino a dieci, e i ragazzi tornavano in Iraq per sposarsi per poi stabilirsi con mogli e, successivamente, figli in Svezia. In questo modo, nel giro di 20 anni, la comunità caldea ha visto aumentare di molto la sua presenza. Poi c’è stata un’altra forte ondata dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Dal 2008 in poi, però, le regole di accoglienza immigrati e richiedenti asilo, qui in Svezia, sono un po’ cambiate perché Stoccolma ha cominciato a ritenere la situazione in Iraq normalizzata e i caldei che sono arrivati dopo sono ancora in un limbo in attesa di regolarizzazione. Per loro la situazione è pessima, hanno pochissime garanzie e vivono nell’irregolarità”.
Può spiegarci come vengono seguiti e curati pastoralmente i cattolici in Svezia, nella fattispecie quelli di rito orientale?
“I sacerdoti cattolici orientali in Svezia sono circa 25. Naturalmente seguiamo le direttive della Chiesa cattolica di rito latino e il nostro riferimento nazionale è il Cardinal Anders Arborelius. Questi si occupa di tutti i 200 sacerdoti presenti in tutta la Svezia, dei vari ordini e della presenza cattolica nel Paese. Ai preti orientali vengono affidate ‘missioni’, non abbiamo parrocchie né locali appartenenti a noi, siamo organizzate in missioni sotto la supervisione del cardinale e dipendiamo dalle parrocchie latine. Noi caldei abbiamo una situazione speciale perché possiamo contare sulla presenza di un nostro Vescovo Saad Sirop Hanna, visitatore apostolico dei caldei che vivono in Europa ma risiede in Svezia. Egli dirige la chiesa principale che è a Sodertalje, vicino a Stoccolma, dove c’è la maggioranza dei nostri fedeli, circa 7000 persone. Nel 2017, i caldei, grazie all’aiuto della diocesi latina di Stoccolma, hanno consacrato lì una chiesa per il servizio esclusivamente caldeo. È intitolata alla Vergine Maria e ha annesso un centro culturale, un segno per noi molto importante perché dopo anni di presenza e tante richieste, siamo riusciti ad ottenere un luogo tutto nostro. Il problema, però, è che non abbiamo una identità speciale qui, siamo cattolici e facciamo parte di quei 120mila. Per come la penso io, però, sarebbe molto più rispondente alle nostra realtà se potessimo vivere una seppur piccola autonomia: in territori latini, ovunque, noi orientali siamo sotto la responsabilità del Vescovo latino”.
Lei è in Svezia da tre anni, come è cambiata la situazione della comunità caldea e che comunità ha trovato al suo arrivo dall’Iraq?
“Da quando sono arrivato la maggioranza dei fedeli le cose sono molto cambiate. Appena giunto qui, ho notato una lontananza dei nostri fedeli dalla nostra comunità, dettata in gran parte dal fatto che non avevano in città un centro a cui afferire. È complicato avere un rapporto diretto con la propria comunità, stabilire contatti, visitare le famiglie senza un luogo di riferimento. La Svezia, poi, presenta un contesto in cui convivono ateismo, chiese protestanti ufficiali e chiese libere oltre, ovviamente, alla chiesa svedese. Alcuni dei nostri, negli anni, hanno finito per rivolgersi alle altre chiese proprio perché non potevano disporre di luoghi e riferimenti stabili o anche per il semplice fatto che, inizialmente, non percepivano la differenza: gli bastava avere la possibilità di entrare in una chiesa, pregare, rivolgersi al crocefisso. Posso dire che molti di quelli che sono entrati in chiese di confessione diversa, sono diventati più protestanti, in alcuni casi addirittura fondamentalisti. Si tratta di gente molto attiva nel proselitismo che ci accusa di essere una chiesa lontana dai veri insegnamenti cristiani. Alcuni sono confluiti nei Testimoni di Geova”.
Ha illustrato le difficoltà che i fedeli in diaspora affrontano in nuovi contesti, specialmente nei primi tempi, quando tutto è più complicato. Ne ha rilevati altre?
“Vi è ad esempio la lingua. La Chiesa cattolica a Goteborg ha due centri e i nostri fedeli più radicati e alla ricerca di contesti a loro più consoni, sebbene di rito orientale, guardavano alla chiesa cattolica come riferimento. Ma la lingua parlata è naturalmente lo svedese e il rito molto differente. Fino al 2004, poi, i caldei avevano un solo prete qui nella missione ma era responsabile di varie altre città, anche per i sacramenti, le lascio immaginare la difficoltà. Vi è poi un alto problema di tipo logistico, qui le chiese cattoliche sono molto piccole, noi abbiamo una media di fedeli alla messa domenicale di circa 350, e poi ci sono i bambini, ci servono chiese grandi con locali annessi”.
In questi ultimi anni si sono registrati cambiamenti?
“Adesso le cose sono molto diverse e la svolta è avvenuta due anni fa. Chiesi di incontrare la Reverenda Manilla responsabile per le proprietà della Chiesa Svedese qui a Goteborg. Le ho spiegato che cercavo un posto per la comunità caldea e, soprattutto, chi fossimo, la nostra storia la ricchezza della nostra tradizione. Chiarii subito l’appartenenza allo stesso fonte battesimale che, per tutte le chiese è l’unico segno di fratellanza. L’incontro, che sarebbe dovuto durare una quindicina di minuti, giusto per conoscersi, superò l’ora e mezza e la Pastora rimase molto colpita. Mi ha chiesto: ‘Che cosa vi serve?’ E io ho risposto ‘ Noi abbiamo un’affluenza di 350 persone a messa, oltre ai bambini, voi avete chiese chiuse o con pochissimi fedeli, possiamo far rivivere alcuni luoghi e trovare una buona forma di collaborazione tra chiese sorelle’. Lei non ha avuto dubbi e mi ha offerto una chiesa tra le più antiche, oltre 100 anni, che può ospitare fino a 1.000 persone. Abbiamo quindi ottenuto una chiesa per la messa e per gli incontri di catechesi per bambini e adulti il venerdì pomeriggio. Da quel giorno tutto è cambiato e il mio lavoro pastorale ne ha giovato molto.
Ma c’è anche un’altra novità importante, io ho scelto di stare in un centro solo e sono quindi il primo prete responsabile solo di Goteborg. Questo ha facilitato di molto il contatto diretto con la nostra gente che quindi, grazie al luogo e alla possibilità di incontro, alle attività avviate, sta tornando”.
In una terra dove si è minoranza la dimensione del dialogo ecumenico assume una grande importanza. Quali sono i rapporti con le altre Chiese?
“Naturalmente il dialogo ecumenico è parte della nostra vita di cristiani qui, ma lo era anche nella nostra terra. Ritroviamo anche qui assiri, siri ortodossi, altre chiese cattoliche di vari riti. Inoltre, il fatto che il cardinal Anders provenga dalla Chiesa Svedese, aiuta molto la capacità di incontro e comprensione reciproca. Diciamo quindi che qui il dialogo tra le varie confessioni è una dimensione molto viva”.
Se pensa al futuro della vostra comunità qui in Svezia e più in generale in Europa, cosa pensa sia importante per radicarsi e crescere?
“Le missioni orientali nella Svezia sono il futuro del cattolicesimo in questo paese, lo ha detto anche il cardinale Anders. Ma credo sia importante che anche gli orientali siano considerati a tutti gli effetti cattolici. Oggi parlando della sola chiesa caldea, con i suoi circa 25 mila membri, dobbiamo lamentare il fatto che non abbiamo dritto di creare parrocchie, ma solo missioni. Abbiamo solo un centro culturale e una chiesa (che può accogliere massimo 300 persone) in Södertaljäe, vicino Stoccolma, nelle altre città, affittiamo chiese per celebrare messe o matrimoni o battesimi o funerali e solo per poche ore. Anche nel caso della chiesa dove ci riuniamo a Goteborg, che ovviamente è un luogo per noi importantissimo, non possiamo certo dire che sia nostro. Credo che sia arrivato il tempo che la terza generazione di caldei presenti in Svezia possa imparare la propria tradizione e vivere profondamente i dogmi e i misteri della chiesa caldea. In Svezia, con la moltiplicazione delle culture e le tradizioni, la comunità caldea può rappresentare una grande ricchezza e offrire un contributo alla nuova evangelizzazione. Al momento siamo 7 preti caldei e con il vescovo lavoriamo come direttori di missioni in Svezia, alcuni servono 4 province, alcuni hanno solo un centro”