Il Cardinale Ambongo: in Congo tra crisi e rischi di balcanizzazione, la Chiesa a fianco del popolo
di Luca Attanasio
La Repubblica Democratica del Congo continua a essere uno degli Stati più problematici al mondo, afflitta da tensioni sociali gravissime, conflitti in alcune sue regioni e povertà endemiche a dispetto delle infinite ricchezze di cui dispone: la Chiesa cattolica rappresenta un interlocutore autorevole nel Paese, nel denunciare povertà e abusi e nel promuovere il bene comune.
Con la creazione a Cardinale di Fridolin Ambongo Besungu, Arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo), Papa Francesco – che ha creato 12 Cardinali provenienti da quel continente, più di ogni altro pontefice – sembra fidarsi sempre di più dell’Africa e ha voluto accanto a sé, coinvolgendolo nel Consiglio dei cardinali, una delle Porpore più giovani e rappresentative.
Profondo conoscitore della realtà del suo Paese e allarmato dai tanti problemi di cui è afflitto, l’Arcivescovo di Kinshasa , interpellato dall’Agenzia Fides appena tornato a Kinshasa, spazia sulla situazione attuale e sul ruolo della Chiesa nel favorire dialogo e pace in Congo.
La Repubblica Democratica del Congo continua a essere uno degli Stati più problematici al mondo, afflitta da tensioni sociali gravissime, conflitti in alcune sue regioni e povertà endemiche a dispetto delle infinite ricchezze di cui dispone. Il governo del presidente Felix Tshisekedi, insediatosi nella primavera del 2019, sembra bloccato mentre il dialogo tra i soggetti politici, in particolare con la fazione che si riferisce al plurimandatario ex presidente Joseph Kabila, che dovrebbe dare il via a riforme molto attese, stagna da mesi. Lo stallo conseguente si ripercuote soprattutto la popolazione già gravata da tanti problemi che negli ultimi anni hanno portato il Congo a essere il terzo Stato più povero al mondo.
“A livello sociale – nota il Porporato – la situazione è drammatica, non c’è alcun avanzamento né sociale né economico per il popolo e la sofferenza va sempre crescendo. Sappiamo che il nuovo governo è composto da una colazione che oggi è divisa su molti punti. Il presidente attuale e quello uscente non si parlano più e, allo stesso tempo, il percorso del governo è bloccato e con esso il servizio da rendere alla popolazione. Il presidente ha da poco aperto una nuova fase di consultazioni, ma intanto il tempo passa e la gente è sempre più provata. Grazie a Dio, almeno la questione ‘ebola’ è stata circoscritta e la pandemia di Covid-19 non è stato così devastante come si temeva: i casi non sono tantissimi anche se noi continuano senza sosta a richiamare tutti i nostri concittadini a fare attenzione ed essere prudenti. Ma a livello socio-economico la situazione è preoccupante”.
A complicare il quadro, sono le situazioni di conflitto attivo nelle regioni del Kivu e dell’Ituri, a est, e gli scontri armati diffusi in tutto il Paese. A giugno scorso il rapporto dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani, denunciava la morte di oltre 1300 civili da inizio d’anno a causa di attacchi condotti da gruppi armati sparsi in tutto il Congo e la fuga di mezzo milione di persone per gli scontri. Secondo il capo dell’OHCHR, Michelle Bachelet, alcuni dei massacri possono configurarsi come “crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Molto preoccupanti, come da anni a questa parte, i conflitti nelle tre province orientali del Nord Kivu, il Sud Kivu e l’Ituri che provocano “disastrose ripercussioni per la popolazione civile”.
“A Est ci sono conflitti con bande armate che continuano a seminare terrore. Registriamo molta tensione nell’Ituri, nel Sud e nel Nord Kivu, a Uvira, attorno alla città di Minembwe. Cerchiamo con tutti i mezzi di richiamare la coscienza dei leader politici perché si sforzino di trovare una soluzione giusta ma anche qui, come le dicevo prima, ogni azione è bloccata perché il governo non funziona. Non siamo di fronte a una vera guerra, ma a diversi conflitti tra i gruppi che ogni giorno fanno vittime. Ancora oggi non siamo in grado di dire con precisione chi ci sia dietro a questi scontri. Di certo alcuni Paesi limitrofi, sostenuti da poteri a livello internazionale, giocano un’influenza e puntano a controllare la zona orientale del Paese perché ricca di molti minerali e piena di risorse. Siamo molto preoccupati che questa situazione possa condurre a quella che chiamiamo una ‘balcanizzazione del Congo’. Sono molti i gruppi armati che operano nell’area, alcuni formati da militari stranieri provenienti dall’Uganda, Sud Sudan e altre aree. Questi gruppi sono manipolati da paesi come Ruanda, Burundi, Uganda che, a loro volta, hanno contatti con poteri politici ed economici internazionali”.
La Chiesa cattolica rappresenta un interlocutore autorevole nel Paese e spesso fa udire la propria voce per denunciare povertà, abusi e assenza di interventi: “Come Chiesa sottolineiamo la criticità della situazione, auspicando che qualcosa cambi subito: non c’è traccia di servizio al popolo e l’economia va in crisi. Il nostro impegno è a fianco del popolo nella sua lotta per vivere, per resistere, non lo definirei politico in senso stretto. Però, stando costantemente accanto al popolo ci siamo resi conto che la situazione sta bloccando lo sviluppo economico, politico e sociale di un’intera nazione. Siamo molto impegnati nel campo dell’educazione e della sanità, il 50% delle scuole e delle strutture sanitarie sono della Chiesa cattolica. Negli ultimi anni, poi, sono stati i politici stessi a chiederci di intervenire e di aiutare. Anche per questo la Chiesa lavora con il presidente attuale e quello uscente per cercare di uscire da questa crisi. La Chiesa sta parlando con tutti per trovare al più presto una via di uscita. Alla fine del 2016, dopo un lungo processo, abbiamo proposto e concluso un accordo (Accordo di San Silvestro, 31 dicembre 2016, ndr) che sarebbe importante applicare in ogni sua parte. Dopo le consultazioni della prossima settimana, in ogni caso, il presidente dovrà dare un nuovo orientamento e operare una svolta”.
Ricordando la chiamata del Papa per il Consiglio dei Cardinali, il Cardinale afferma: “Ho ricevuto questa notizia con un sentimento di gratitudine perché conosco i miei limiti: nonostante ciò, mi ha voluto in un ruolo così importante e delicato come il governo della Chiesa universale. Ho voluto formulare tutta la mia riconoscenza ma anche quella del mio popolo e dell’Africa intera che torna a essere rappresentata nel Consiglio. Naturalmente avverto una grande responsabilità sapendo che il Santo Padre conta su di me per aiutarlo a portare il peso di tutta la Chiesa, ed è importante avere la preghiera e il sostegno di tutti. Non so dire ancora con esattezza quale tipo di contributo ci si aspetti da me. Di certo porto la voce dell’Africa e della Chiesa di quel continente all’interno del Consiglio e quindi della Chiesa tutta. Spero di rappresentare la realtà socio-pastorale di un continente ancora caratterizzato per la povertà e la sofferenza del popolo, per il mal governo in molti Paesi, per le difficoltà dei piccoli e dei giovani che pensano sempre più spesso a lasciare i propri contesti, affrontando il rischio del deserto e del mare. Penso sia importante portare all’attenzione della Chiesa, come mio personale contributo, tutti i temi della sopravvivenza del mio popolo in Congo e in Africa”.