Etiopia sull’orlo del precipizio
di Fabrizio Floris
Il paese del Premio Nobel per la pace, il Primo Ministro Abiy Ahmed, premiato per l'iniziativa nel risolvere il conflitto con la confinante Eritrea, non trova pace: si addensano minacce di un nuovo conflitto civile
L’Etiopia è il Paese dove ha sede l’imponente edificio dell’Unità Africana, è il Paese degli investimenti cinesi, della metropolitana, dei grattacieli e soprattutto il Paese del Premio Nobel per la pace il Primo Ministro Abiy Ahmed ("per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa nel risolvere il conflitto con la confinante Eritrea") eppure da quando è stato eletto l’Etiopia è un Paese che non trova pace. L’inizio del suo mandato è stato folgorante nei primi 100 giorni di governo ha posto fine alla guerra con l’Eritrea che durava da 18 anni, liberato migliaia di oppositori politici, liberalizzato la stampa e garantito libertà d’espressione, legalizzato diversi gruppi di opposizione precedentemente criminalizzati, ha intrapreso un tour del paese centrato sull’unità, la riconciliazione e il cambiamento. Tuttavia, le sue riforme (o forse il contraccolpo della libertà) hanno rotto qualcosa nell’ingranaggio politico-etnico etiope (vedi ad esempio la scelta di ripristinare il concetto di cittadinanza pan-etiopica e superare le divisioni etniche introdotte dalla costituzione federale del 1993).
A giugno 2018 il Primo Ministro ha subito un attentato a colpi di granate nel centro della capitale Addis Abeba. Il 22 giugno 2019 sono stati uccisi il capo di stato maggiore dell'esercito etiope, il generale Seare Mekonnen, e il governatore della Regione Amhara Ambachew Mekonnen. E poi una serie continua di proteste violente che arrivano paradossalmente proprio dalla comunità di cui Abiy è parte, gli Oromo. Nel mese di giugno si sono verificati gravi episodi di violenza dovuti a questioni legate alla proprietà della terra tra le popolazioni Gedeo e Oromo al confine tra la zona di Guji e la zona di Gedeo in Oromia che hanno causato diversi morti e più di 400.000 sfollati, nella maggioranza dei casi si tratta di persone Gedeo.
Fino al caso più clamoroso l’uccisione, il 29 giugno 2020, del famosissimo cantante Oromo Hachalu Hundessa a cui hanno fatto seguito violenze nella capitale Addis Abeba che hanno provocato centinaia di morti. Le violenze sono proseguite in numerose città in particolare a Shashemene dove bande di giovani Oromo (7 mila giovani caricati su pullman e portati con una lista precisa di posti da distruggere e persone uccidere) hanno bruciato 110 hotel, 239 case, 56 negozi, 1 fabbrica, 9 mulini e poi saccheggiato centinaia di negozi e abitazioni, provocando la morte di 32 persone. Per l’omicidio di Hundessa è stato arrestato il vicepresidente dell'Oromo Federalist Congress Bekele Gerba. Arrestato anche Jawar Mohammed proprietario dell’Oromia Media Network etno-nazionalista con un seguito su Facebook di quasi due milioni di persone è accusato di essere collegato all'omicidio di un ufficiale di polizia avvenuto durante le violenze che scoppiate in seguito all’omicidio di Hachalu Handessa. Gli alleati di Jawar sostengono che il suo arresto è solo un modo per neutralizzare l’opposizione mentre i partiti di governo ritengono un atto necessario per fermare il nazionalismo etnico che rischia di far deragliare la Me`demer (somma positiva) del primo ministro Abiy.
Paradossalmente finché gli non erano Oromo al potere avevano una maggiore compattezza adesso emergono le divisioni: con Abiy Primo Ministro si sono create aspettative, forse eccessive e a senso unico. Sono ormai 3 anni che succedono cose incomprensibili. C’è chi ritiene che Hundessa sia stato ucciso perché si era spostato a posizioni più vicine al governo. Tuttavia, non ci sono solo questioni interne che potrebbero essere all’origine delle violenze, ma c’è tutta la tensione per la Grande Diga della Rinascita Etiopica (Gerd) che il governo etiope ha dichiarato di voler riempire nonostante la ferma opposizione del governo egiziano. L'Egitto fa affidamento sul Nilo per il 90% del suo fabbisogno di acqua dolce e c’è chi ipotizza che oltre ai canali diplomatici al-Sisi avrebbe attivato i servizi segreti per indebolire il governo di Abiy. Secondo fonti delle Nazioni Unite, l’Egitto, in passato, avrebbe favorito i legami con gli avversari dell’Etiopia, inviando armi al governo del Sud Sudan. Inoltre, funzionari etiopi avrebbero accusato in passato l’Egitto di sponsorizzare proteste antigovernative e ribellioni armate, accuse che il Cairo nega. Tuttavia, funzionari del governo hanno più volte sostenuto che l'Egitto avrebbe usato "tutti i mezzi disponibili" per proteggere la sua sicurezza idrica (c’è ad esempio la vicenda di un carico di duemila kalashnikov, lanciarazzi, fucili di precisione, pistole e mortai che dall’Egitto sarebbero dovuto arrivare in Somalia che il quotidiano britannico Telegraph mette in connessione alle questioni della diga). Resta il fatto che il 27 luglio 2018 è stato ucciso ad Addis Abeba l'ingegnere a capo dei lavori della diga Gerd Simegnew Bekele. A questo si aggiunge la decisione di queste ore da parte del segretario di Stato Mike Pompeo di ridurre di 130 milioni di dollari i programmi di assistenza degli Stati Uniti all'Etiopia (nel 2019 gli aiuti ammontavano a 824,3 milioni di dollari) come evidente forma di pressione per forzare un accordo con l’Egitto.
C’è poi un filone interno, sarebbe lo stesso governo a creare tensioni per poter agire in modo più autoritario e mettere a tacere le voci del dissenso. Qui entrerebbero in gioco niente meno che gli storici nemici eritrei con i loro servizi segreti questo perché gli attentatori di Hundessa è stato rilevato che parlavano tra di loro sia in tigrino (lingua dell’Eritrea e del nord Etiopia) che in oromifa (lingua degli Oromo – centro Etiopia). Infine, c’è l’ipotesi tigrina. Da quando il Tigray People's Liberation Front (TPLF) ha rifiutato di fondersi nel Prosperity Party del premier Abiy (dicembre 2019) è emersa una frattura sfociata da un lato in arresti di alti funzionari del TPLF e indagini sulle società collegate al TPLF dall’altro in una campagna di destabilizzazione nazionale, all’interno della quale vi sarebbe l'assassinio di Hachalu Hundessa. Ipotesi, quello che incombe è lo scontro istituzionale senza precedenti tra il governo centrale e la regione del Tigray per lo svolgimento delle elezioni nella regione che il governo ha deciso di rinviare per via del covid e che il Consiglio di Stato del Tigray ha indetto per il 9 settembre. Abiy non ha specificato come risponderà al mancato rispetto delle indicazioni del governo, anche se ha escluso l'uso della forza e ha paragonato le votazioni del Tigray a chi costruisce baracche su un terreno che non possiede. È prevedibile secondo gli analisti che il governo proceda con il taglio dei fondi federali del Tigray, che costituiscono circa la metà del budget della regione. Intanto si profila una strategia Etiopia-Eritrea per isolare il Tigray, non vi sono notizie ufficiali, ma viene segnalato il movimento di truppe e mezzi militari Eritrei verso il confine, in corrispondenza della zona di Badme (una città contesa che gli accordi di pace hanno assegnato all’Eritrea, a cui il governo tigrino non ha mai voluto dar seguito).
C’è poi la questione Amhara/Oromo che nella regione dell’Oromia, in particolare, si sta proponendo come un tema di pulizia etnica, è notizia del 2 novembre l’uccisione di 54 persone del gruppo etnico Amhara, nonché la distruzione di 120 abitazioni nella zona di West Welega che sarebbe stata perpetrata dall’Oromo Liberation Army. Secondo la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) le vittime «sono state trascinate fuori dalle loro case e portate in una scuola, dove sono state uccise». Ma l’episodio più grave, il cui esito è imprevedibile, è l’attacco ordinato dal governo federale alla regione settentrionale del Tigray. “La linea rossa è stata superata” ha dichiarato il premier Abiy dopo che le forze del Tigray hanno attaccato una base dell'esercito federale nella città di Mekelle. “La forza viene utilizzata come ultima misura per salvare le persone e il Paese”. Dalle prime ore del mattino si sono sentiti pesanti bombardamenti ha dichiarato un testimone alla Reuters. Secondo fonti diplomatiche dozzine di soldati federali sarebbero stati uccisi durante. “Siamo in guerra, il popolo tigrino non vuole la guerra, ma è pronto a combattere” ha dichiarato il governatore del Tigray Debretsion Gebremichael.
Tante questioni aperte che sarà importante chiarire prima che il tempo faccia tornare indietro le lancette della storia etiope.