Disastri ambientali e impegno della Chiesa: il cammino della salvaguardia del creato in Asia centrale
di Laura Fracasso
Di fronte a una sensibilità ancora piuttosto scarsa, a livello sociale e istituzionale le piccole comunità cattoliche nei paesi dell'area, si impegnano a promuovere la cultura della "cura della casa comune" , in sintonia con l'enciclica Laudato si'
Astana (Agenzia Fides) - L’ecologia integrale e la salvaguardia del creato sono tematiche ancora poco sentite nei cinque Paesi dell’Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizstan, Tagikistan), fortemente segnati da disastri ambientali ereditati dalle politiche dell’ex Unione Sovietica. E’ quanto illustra all’Agenzia Fides Alessandro De Stasio, Sustainability Analyst e cultore della geopolitica degli “Stan”, come vengono definite le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: "Negli ultimi anni, si sono compiuti passi in avanti per una maggiore sensibilità verso le tematiche ambientali in Kazakistan, grazie a una situazione economica decisamente più stabile, alla maggiore propensione ad attrarre investimenti esteri. Kirghizistan e Tagikistan giocano un ruolo importante nel campo della sostenibilità ambientale, ma per puro interesse economico: la loro indipendenza energetica può derivare esclusivamente dal grande potenziale idroelettrico, caratteristica che li configura come Paesi ‘green’. Si rileva,però, scarsa attenzione a quelle comunità che vengono sommerse dai bacini creati dalle grandi dighe o a causa delle alluvioni spesso causate dal rilascio delle acque durante l'inverno, per massimizzare la produzione energetica. In Uzbekistan e Turkmenistan vi sono economie troppo dipendenti dai combustibili fossili e ancora troppo deboli per potersi avventurare in rivoluzioni sostenibili”.
Secondo De Stasio, “queste repubbliche sono sempre state, nell’ultimo secolo e mezzo, una sorta di ‘colonia’ o una ‘provincia periferica’ dell’impero sovietico. Si nota l’assenza di una forte identità nazionale e una classe politica devota al partito e a Mosca, piuttosto che alla propria nazione; si è sempre anteposto il profitto del governo centrale a qualsiasi strategia di lungo periodo. Vi sono situazioni complesse da gestire. Passare da essere provincia di uno Stato unitario a repubbliche autonome, con interessi contrastanti e situazioni economiche disastrate, ha generato comportamenti e politiche poco attente alla sostenibilità ambientale o perfino opportunistici”.
Un esempio, secondo l’analista, è il prosciugamento del bacino del Syr Darya ad opera, principalmente, di Uzbekistan e Kirghizistan, il primo per l’industria del cotone, il secondo per la produzione di energia elettrica: “Entrambi i Paesi hanno cercato di trarre il massimo risultato dall’eredità economica e infrastrutturale sovietica ma, condividendo i bacini del fiume e della maggior parte dei suoi affluenti, hanno perpetrato la conflittualità per l’utilizzo dell’acqua. Questo ha portato a una gestione inefficiente delle risorse, oltre che a diverse inondazioni e danni ingenti all’agricoltura e al territorio”.
Non si tratta dell’unico prosciugamento idrico che ha colpito la zona: tra Kazakistan e Uzbekistan, il “Mare d’Aral”, che fino agli anni Sessanta rappresentava il quarto lago al mondo per estensione, si è essiccato fino a separarsi in due bacini, a causa della deviazione dei suoi affluenti, utilizzati per l’irrigazione dei campi di cotone nell’ambito del programma sovietico di coltura intensiva.
Nell’area degli Stan, inoltre, hanno avuto luogo altri gravissimi disastri ambientali provocati dalla mano dell’uomo. Nel cuore della steppa kazaka, a circa 400 km ad est dalla capitale Nur-Sultan, si trova il poligono nucleare di Semipalatinsk-21, area adibita a test di armi atomiche, in funzione dagli anni Quaranta alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. Qui l’impatto delle esplosioni nucleari è ancora visibile sulla popolazione e sull’ambiente.
Anche il territorio turkmeno è stato “ferito” da esperimenti sovietici: era il 1971 quando alcuni geologi inviati da Mosca installarono una piattaforma di perforazione nel deserto del Karakum in cerca di petrolio, ma vi trovarono un giacimento naturale di gas. Per timore di una diffusione di sostanze dannose, i geologi innescarono un incendio nella speranza che il fuoco consumasse tutto il gas combustibile presente all'interno della caverna nel giro di qualche giorno. Le fiamme continuano tuttora ad ardere in un enorme cratere noto come “Porta dell’inferno”.
De Stasio sottolinea come la ‘geografia ‘periferica’ di questi Paesi – ai confini dell’impero sovietico – possa aver favorito l’idea tali avventati esperimenti: “Per il governo centrale sovietico, la percezione delle azioni e delle loro conseguenze in questi luoghi distanti e disabitati è sempre stata abbastanza sfocata: Semipalatinsk è in mezzo alla steppa, distante migliaia di chilometri dai centri più importanti; lo stesso dicasi per i deserti del Turkmenistan”.
L’Expo di Astana del 2017, con focus sulle energie rinnovabili, ha rappresentato un’occasione di riflessione sulla tematica della tutela ambientale, non del tutto colta dai Paesi dell’area: “In Asia Centrale quel momento di analisi sull’energia del futuro abbia portato a una svolta soltanto nel caso del Kazakistan, la cui scelta di investire nelle energie green rappresenterebbe probabilmente un vero e proprio orientamento strategico, per uscire definitivamente dall’orbita russa e assumere dignità di interlocutore credibile per l’Unione Europea in primis” sostiene De Stasio. L’analista conclude: “Non credo che gli altri stati dell’area punteranno sulla sostenibilità nel breve termine, in parte perché non pronti economicamente, in parte perché disinteressati a un’eccessiva ricerca degli investimenti occidentali. In Kirghizistan e Tagikistan cavalcare l’onda del rinnovabile è una scelta obbligata, ma non penso che ciò implichi grandi svolte ecologiche, soprattutto se i finanziamenti esteri sono assorbiti dalla Russia e dalla Cina, e non c'è quindi un reale bisogno di apparire attraenti agli occhi dell’Occidente”.
In questo contesto, la Chiesa nei Paesi dell’Asia centrale lavora a progetti che mirano a promuovere la salvaguardia del Creato e lo sviluppo di un’economia sostenibile. Caritas Kazakistan, ad esempio, ha in cantiere programma di riforestazione di alcune aree del Paese e di promozione dello smaltimento e del riciclo dei rifiuti. Come racconta all’Agenzia Fides il Direttore nazionale don Guido Trezzani, uno dei problemi su cui lavorare è la sensibilizzazione della gente comune a pratiche ecologiche di vita quotidiana: “In molti villaggi è abitudine comune, per esempio, utilizzare vecchi pneumatici, plastica residua o altri materiali nocivi come combustibile per riscaldare l’acqua”, ha spiegato il missionario. Anche la Chiesa tajika è impegnata nell’educazione alla gestione dei rifiuti e si fa promotrice iniziative di tutela dell’ambiente e miglioramento della distribuzione di acqua potabile.
La Chiesa in Tajikistan ha avviato il progetto “Wash”, promosso in sintonia con lo spirito e le linee pastorali delineata dall’enciclica "Laudato si’ " a cinque anni dalla sua promulgazione. Il progetto, realizzato concretamente attraverso la Caritas locale, ha tra i suoi obiettivi il rifornimento di acqua potabile in aree che ne sono tuttora sfornite e la tutela del Creato, mediante la promozione del riciclo e la realizzazione di corsi di formazione su tematiche affini. L’impegno della la comunità cattolica in Tajikistan in questo settore genera nelle autorità locali e nella popolazione civile stima e apprezzamento verso la Chiesa cattolica nel suo complesso, anche perché si è stabilità una feconda partnership con le istituzioni civili.
In sintonia con l'enciclica Laudat si', le Chiese dei paesi dell'Asia centrale chiedono che i popoli cominciano a rivedere il proprio stile di vita assecondando criteri di rispetto e cura del creato. "La Madre Terra, che sostiene le nostre vite, soffre a causa del danno che le infliggiamo con il nostro irrefrenabile abuso dei beni che Dio le ha donato. Non si rispettano i diritti della natura poiché siamo guidati principalmente dalla nostra avidità. I bambini in Asia muoiono a causa delle tragiche conseguenze di un'attività umana incontrollata, tutta tesa a soddisfare l'avidità. A causa dello sfruttamento della natura, gli esseri umani, in particolare i bambini, sono più a rischio e diventano vittime del degrado ambientale", ha affermato in un messaggio inviato all'Agenzia Fides, Benedetto Alo D'Rozario, presidente di Caritas Asia,.
"Papa Francesco - prosegue il Presidente - attraverso l'enciclica Laudato Si' richiama la nostra attenzione urgente sulla cura della nostra casa comune. Papa Benedetto XVI ha proposto di correggere i modelli di crescita che si sono dimostrati incapaci di garantire il rispetto per l'ambiente e nuocciono l'umanità stessa".