Zimbabwe, le Chiese in campo per un accordo nazionale
di Luca Attanasio
Lanciata una piattaforma per promuovere un dialogo inclusivo e comprensivo di tutti gli attori, per un patto definitivo di riconciliazione e rilancio politico e sociale
Le Chiese cristiane, storicamente presenza attiva e riconosciuta in Zimbabwe, hanno deciso di strutturare alcune proposte per aiutare il paese a uscire dal tunnel di difficoltà e sofferenza in cui si trova. Sono passati due anni e mezzo da quando, tra la sorpresa degli osservatori mondiali, Robert Mugabe, al potere in Zimbabwe per quasi 38 anni, cedette il posto, con risicatissimo margine, a Emmerson Mnangagwa, sebbene attraverso contestatissime elezioni nel luglio 2018, suscitando ugualmente tra i circa 17 milioni di abitanti grandissime speranze. Molte di queste sono andate deluse. E lo scorso 18 aprile, il 40° anniversario dell’indipendenza, anche a causa di una iniziale ma preoccupante diffusione del Covid-19 (i casi accertati sono una trentina con quattro morti), è passato agli atti come uno dei più mesti della sua storia: il rischio di default, tra inflazione record (oltre il 600%), disoccupazione dilagante (95%) e 7,5 milioni di cittadini alla fame
In tale cornice le Chiesa non hanno mai cessato di essere un solido punto di riferimento, nota padre Frederick Chiromba, Segretario generale della Conferenza Episcopale cattolica. “Nel novembre 2017, con l’intervento dell’esercito, lo Zimbabwe sperimentò il passaggio di potere dopo oltre 37 anni di governo di Robert Mugabe. Il cambio accese tante speranze e creò molte attese positive. La popolazione in fermento, si aspettava che il nuovo governo mettesse in atto un processo di transizione in grado di condurre rapidamente alle riforme socio-economiche e politiche assolutamente imprescindibili, unica via per superare le divisioni per il bene del Paese. Ma niente di ciò è mai avvenuto. Il partito al governo ha scelto una strada e una comunicazione diverse dal precedente ma è molto in ritardo nell’implementare le trasformazioni necessarie e le preoccupazioni e i patimenti della popolazione, la stessa che aveva sostenuto il cambiamento rapido, sono inevitabilmente in crescita. Tuttavia, non tutte le speranze sono perdute. Siamo certi che sarà il popolo dello Zimbabwe a spingere il governo a rendere conto del suo operato e ad attivare le riforme così come stabilito dalla Costituzione che è stata approvata nel 2013 ma mai davvero implementata. Democrazia e sviluppo arriveranno di sicuro in Zimbabwe, ma a un passo dolorosamente lento, in parte perché, pur avendo visioni più aperte e orientamenti più positivi, le stesse persone che erano a fianco di Mugabe sono ora alla guida del Paese (il partito uscito vincitore dalle elezioni è lo stesso di Mugabe, ndr). La sensazione è che i loro timori stiano frenando quanto il cuore gli suggerisce di fare”.
La disoccupazione interessa ormai la quasi totalità della popolazione, mentre l’inflazione galoppa a ritmi spaventosi, ormai oltre il 600%. Nel frattempo l’ONU dichiara che almeno 7 milioni di persone sono ad alto rischio fame.
“Il nuovo governo – prosegue il Segretario - ha ereditato una situazione già grave riguardo povertà, disoccupazione e altri problemi sociali, in gran parte legati alla corruzione, grande piaga del Paese che poi ci ha condotto a un vero e proprio isolamento. L’esecutivo sta cercando con ogni sforzo di ristabilire legami con la comunità internazionale che, ovviamente chiede riforme e riparazione per le ingiustizie commesse durante il precedente regime. Il governo, quindi, deve fare presto a risolvere i conflitti pregressi, innescare riforme coraggiose e imboccare decisamente una nuova strada. Come dimostrano le sanzioni da parte degli Stati Uniti (lo scorso 6 marzo il presidente Donald Trump le ha estese di un altro anno, ndr) in un certo senso centiniamo a vivere ancora sotto l’ombra di Robert Mugabe, la sua influenza è tuttora presente e non potrebbe essere altrimenti per il Paese visto che la maggior parte degli abitanti è vissuta sotto il suo comando. Una delle conseguenze è che neanche la comunità internazionale è uscita da quel periodo, non è ancora passata oltre Mugabe e quello che rappresentava”.
Nel paese l’85% circa della popolazione è cristiana e le Chiesi presenti e riconosciute nel Paese, raccolte sotto lo “Zimbabwe Council of Churches”, sono 29, in maggioranza (la comunità cattolica è l’8%). Le Chiese hanno assunto un ruolo sempre più determinante nella società zimbabwana. Per la popolazione disorientata e spaventata, rappresentano un punto di riferimento di recente sfociato in una vera e propria proposta politica.
“Naturalmente le Chiese non hanno alcuna ambizione politica ma hanno scelto di impegnarsi su questioni specifiche per il bene comune. La popolazione vede bene il coinvolgimento delle Chiese e ripone nella loro azione una speranza per l’attuazione delle riforme che la nazione attende da troppo tempo. Possiamo dire che anche il governo è favorevole al nostro coinvolgimento e lo considera uno strumento utile alla coesione nazionale. A dicembre dello scorso anno, le Chiese hanno elaborato un piano per una piattaforma nazionale che poi è stata lanciata lo scorso marzo. Il titolo che abbiamo scelto per l’iniziativa è ‘Towards a Comprehensive National Settlement Framework’. Mira a promuovere un dialogo vero, inclusivo e comprensivo di tutti gli attori. Nelle nostre intenzioni dovrebbe condurre a un accordo nazionale definitivo. La Chiesa ricerca il dialogo su questioni che riguardano il Paese a tutti i livelli della società, non solo tra i politici che facilmente puntano a un patto elitario ed esclusivo. Una pace sostenibile e lo sviluppo possono solo essere raggiunti quando tutti gli interlocutori vengono coinvolti in una sincero dialogo nazionale. È questo che ci auguriamo, per arrivare al più presto alla riconciliazione e alla guarigione delle tante ferite. La comunità internazionale farebbe bene a sostenere questo percorso e questi sforzi oltre a stanziare fondi per lo sviluppo dello Zimbabwe che, ricco e bello com’è, potrebbe finalmente ripartire”.