La Chiesa in Centrafrica: "Meno violenza, più sviluppo"
di Enrico Casale
La violenza diffusa mina la stabilità del Paese e colpisce duramente le popolazioni civili, strumentalizzando la religione. I cattolici chiedono che la soluzione al conflitto armato non sia solo militare: necessari incentivi e crescita della società civile, con nuovi insegnanti, professori, medici infermieri
Nella Repubblica centrafricana la guerra continua. Non è un vero conflitto civile e neppure uno scontro classico tra eserciti. È una violenza diffusa che mina la stabilità del Paese e colpisce duramente le popolazioni civili. A lungo i media e gli osservatori internazionali hanno parlato di una resa dei conti tra la comunità musulmana e quella cristiana. Con il passare degli anni, però, è emerso che dietro la facciata delle "tensioni religiose" (che pure esistono) si nascondano interessi economici di vecchie potenze coloniali (Francia), nuove potenze internazionali (Cina e Russia) e Paesi confinanti (Ciad, Sudan e Camerun). Ma dove affonda le radici questo scontro?
C’è una data che segna l’avvio di questa difficile fase politica e sociale della Repubblica centrafricana. È il 24 marzo 2013. In quel giorni il presidente François Bozizé è costretto a fuggire dalla capitale di fronte all’avanzata delle milizie Seleka. «Fin dall’indipendenza - ricorda al'Agenzia Fides padre Dorino Livraghi, Gesuita, per anni missionario a Bangui -, il Paese è stato scosso da colpi di Stato. La popolazione locale li considerava quasi fisiologici. Dopo le prime settimane di instabilità, tutto però tornava come prima. Questa volta si è capito che eravamo di fronte a qualcosa di diverso».
Le milizie Seleka erano composte da ribelli musulmani in maggioranza provenienti da Ciad e Sudan. Quindi stranieri e musulmani, in un Paese che ha sempre guardato con diffidenza le popolazioni che venivano dal Nord. «In realtà - osserva in un colloquio con Fides padre Aurelio Gazzera, carmelitano, missionario a Bozoum -, nel Paese non c’è mai stato un conflitto tra le comunità cristiane, animiste e musulmane. Anzi c’è sempre stato un delicato equilibrio che vedeva, da una parte, i cristiani occuparsi di agricoltura, piccolo commercio e amministrazione e, dall’altra, i musulmani occuparsi di allevamento e commercio all’ingrosso». Negli anni che sono seguiti al golpe contro Bozizé, ai miliziani Seleka si sono progressivamente contrapposti gruppi cristiano-animisti riuniti sotto la sigla anti-Balaka. «La religione è stata utilizzata in modo strumentale - continua padre Gazzera -. Per i leader delle milizie è un utile mezzo per aizzare i miliziani, quasi tutti giovanissimi, poveri e poco o nulla istruiti, contro gli avversari. La convivenza, possiamo dirlo senza essere smentiti, è stata esacerbata dai comandanti e dai politici».
Dalla caduta di Bozizé si sono alternati alla guida della Repubblica centrafricana diversi presidenti: Michel Djotodia, Alexandre-Ferdinand Nguendet, Catherine Samba-Panza e, infine, Faustin-Archage Touadéra. Dopo l’apertura della Porta santa a Bangui da parte di papa Francesco (2015), il conflitto sembrava aver superato il momento più difficile, ma gli equilibri sono sempre fragili. Il governo di Bangui è debole e non controlla tutto il territorio. Le milizie sono molto potenti e spadroneggiano su ampie fette del Paese. «Le violenze sul territorio - spiega padre Gazzera - continuano imperterrite. La gente è stanca. Non ne può più della guerra. Le persone semplici hanno capito che dal conflitto non c’è nulla da guadagnare. Ma ai politici e alle potenze straniere fa gioco questa instabilità ed è utile manovrare i comandanti delle milizie».
I violenti scontri e gli attacchi contro i civili hanno costretto un cittadino su quattro a fuggire dalle proprie case. Più di 600mila persone sono sfollate all’interno del proprio Paese e quasi 594mila persone hanno cercato rifugio nei Paesi vicini come Camerun, Repubblica Democratica del Congo e Ciad, tutte nazioni che lottano con alti tassi di povertà. Sono in totale 2,6 i milioni di persone che hanno bisogno di assistenza sanitaria. «Molti rifugiati cercano di rientrare – osserva padre Gazzera -. Le organizzazioni statali non hanno mezzi per accoglierli e favorire il loro reinserimento. Così, se nei piccoli centri la rete famigliare riesce in qualche modo ad attutire il loro ritorno, nei grandi centri, dove il numero di persone che rientrano è maggiore, si stanno creando tensioni con la popolazione residente. E ciò potrebbe sfociare in nuovi scontri».
La Repubblica centrafricana è comunque una nazione poverissima. Con quasi il 65% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Il Paese avrebbe le risorse per far crescere la propria economia e, con essa, garantire un discreto benessere alla propria popolazione; è ricco di materie prime: oro, diamanti, uranio, legno pregiato. Per decenni, anche dopo l’indipendenza, a sfruttare queste risorse è stata la Francia, ex potenza coloniale. «Parigi - continua padre Gazzera - è ancora l’attore principale, ma da alcuni anni si sono affacciati sulla scena altri protagonisti: Cina, Russia, ma anche i vicini Ciad e Sudan». La Cina opera in modo discreto, ma non per questo meno devastante. «A Pechino - continua il missionario - interessa l’oro. Nella mia zona [la provincia di Bozoum, ndr] investono cifre enormi per estrarlo dal fiume, devastando l’ambiente circostante. Ho chiesto ai politici locali quante royalty versassero. Mi hanno detto che nelle casse centrafricane non è entrato un centesimo. Molto probabilmente hanno corrotto funzionari e politici a tutti i livelli». La Russia è una presenza meno discreta. «I russi - osserva - sono interessati ai diamanti. Per difendere le miniere hanno inviato i famigerati mercenari del gruppo Wagner, uomini disposti a tutto e che qui si sono macchiati di violenze inaudite nei confronti dei civili. Li si vede girare per le città a bordo di grandi camion, incuranti della popolazione civile». Nella Repubblica centrafricana operano anche attori regionali. In particolare, Ciad e Sudan molto attivi nelle province del Nord. A loro interessano i pascoli e l’acqua. Khartoum però è molto attiva anche nel commercio dei diamanti.
Di fronte a questa situazione, i cattolici non sono passivi. Il Card. Dieudonné Nzapalinga, Arcivescovo di Bangui, dopo aver ospitato nei momenti più duri della guerra i leader islamici per proteggerli dalle violenze, continua la sua opera di dialogo con musulmani e ribelli. L’obiettivo è riportare la pace. «È tempo di seppellire l’ascia da guerra - ha detto il porporato -. I veri problemi sono le strade in condizioni terribili, le scuole prive di insegnanti qualificati. Le basi educative del Paese ancora fragili così come il sistema sanitario. Nei dispensari non ci sono dottori, al massimo infermieri». Secondo l’Unicef, 1,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza sanitaria, quest’anno più di 40mila con meno di 5 anni affronteranno un rischio molto elevato di morte. Il Porporato sottolinea l’urgenza di lottare contro la miseria: «Questa povertà estrema potrebbe sfociare in una nuova rivolta specialmente se la comunità internazionale non porrà fine al traffico di armi che continuano ad affluire dal Sudan (Darfur), dalla Libia e dal Ciad e vanno a rinforzare le milizie armate. Non è con i gruppi armati che risolveremo questi problemi sociali». In merito al dossier del traffico di armi, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha rinnovato l’embargo sulle armi dirette alla Repubblica centrafricana. Tredici dei 15 membri del Consiglio hanno votato a favore della risoluzione, con l’astensione importante di Cina e Russia che, come abbiamo visto, sono attori importanti in questo teatro.
Anche i Vescovi centrafricani hanno preso una chiara posizione nella loro assemblea ordinaria, tenutasi a Bangui dal 6 al 12 gennaio. «Resta ancora molto da fare per un’efficace ripresa del nostro Paese - ammoniscono i prelati -. Il conflitto che imperversa con tutte le sue drammatiche conseguenze fa apparire delle forme di contro-testimonianza nella nostra vita. Alcuni cristiani separano la loro vita professionale dalla loro vita di fede. Altri mescolano pratiche di magia con celebrazioni sacramentali. Altri ancora si lasciano attrarre da sette e società segrete (massoneria, rosacroce, ecc.). Infine, alcuni abbandonano i grandi valori di unità, dignità, lavoro, rispetto, solidarietà, onestà a favore di facili guadagni e del perseguimento dei propri interessi». Pur esprimendo apprezzamento per l’operato del governo nel potenziare le forze di sicurezza, i Vescovi sottolineano che «la soluzione al conflitto armato nella Repubblica centrafricana non è solo militare, ci chiediamo: a quando la formazione di qualità e l’assunzione di massa di insegnanti, professori, infermieri e medici?».