I missionari uccisi nel 2019: sulla strada di Gesù
di Stefano Lodigiani
Il Dossier pubblicato annualmente dall'Agenzia Fides racconta le vite di 29 "martiri" e testimonia una sorta di “globalizzazione della violenza”: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione o in una zona geografica, il fenomeno appare ora più generalizzato e diffuso.
“Desidero che la celebrazione dei 100 anni della Maximum illud, nel mese di ottobre 2019, sia un tempo propizio affinché la preghiera, la testimonianza di tanti santi e
martiri della missione, la riflessione biblica e teologica, la catechesi e la carità missionaria contribuiscano ad evangelizzare anzitutto la Chiesa, così che essa, ritrovata la freschezza e l’ardore del primo amore per il Signore crocifisso e risorto, possa evangelizzare il mondo con credibilità ed efficacia evangelica”. Con queste parole, rivolte all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie il 3 giugno 2017, Papa Francesco indicava la testimonianza di tanti missionari e missionarie che hanno dato
la vita per il Signore Gesù, come una delle quattro dimensioni da tenere in considerazione per la celebrazione del Mese Missionario Straordinario dell’Ottobre 2019, al fine di ravvivare la missione. Sulla scia di questo tempo speciale vissuto dalle comunità cattoliche a tutte le latitudini, che è stato anche occasione di riscoprire le figure di tanti testimoni della fede delle Chiese locali che hanno speso la vita per il Vangelo nei contesti e nelle situazioni più diverse, l’Agenzia Fides prosegue il suo servizio di raccogliere le informazioni relative ai missionari uccisi nel corso dell’anno. Usiamo il termine “missionario” per tutti i battezzati, consapevoli che “in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (EG 120). Del resto l’elenco annuale di Fides ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto,
ma cerca di registrare tutti i battezzati impegnati nella vita della Chiesa morti in modo violento, non espressamente “in odio alla fede”. Per questo preferiamo non utilizzare il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimoni”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro proponendoli, dopo un attento esame, per la beatificazione o la canonizzazione.
Secondo i dati raccolti da Fides, nel corso dell’anno 2019 sono stati uccisi nel mondo 29 missionari, per la maggior parte sacerdoti: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. In Africa nel 2019 sono stati uccisi 12 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 laica (15). In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici (12). In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora.
Un’altra nota è data dal fatto che si registra una sorta di “globalizzazione della violenza”: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione, o in una zona geografica, nel 2019 il fenomeno appare più generalizzato e diffuso. Sono stati bagnati dal sangue dei missionari 10 paesi dell’Africa, 8 dell’America, 1 dell’Asia e 1 dell’Europa. Ancora una volta la vita di molti è stata stroncata durante tentativi di rapina o di furto, in contesti sociali di povertà, di degrado, dove la violenza è regola di vita, l’autorità dello stato latita o è indebolita dalla corruzione e dai compromessi. Questi omicidi non sono quindi espressione diretta dell’odio alla fede, bensì di una volontà di “destabilizzazione sociale”. “Il sacerdote e le comunità parrocchiali favoriscono la sicurezza, l’educazione, i servizi sanitari, i diritti umani di migranti, donne e bambini” ha spiegato il direttore del Centro Cattolico Multimediale (CCM) del Messico, p. Omar Sotelo Aguilar, SSP. La Chiesa locale è, di fatto, “una realtà che aiuta la gente, in diretta concorrenza con il crimine organizzato”, il quale sa che eliminare un sacerdote è molto più che eliminare una persona, perché destabilizza un’intera comunità. Così si instaura “una cultura del terrore e del silenzio, importante per la crescita della corruzione e, quindi, per permettere ai cartelli di lavorare liberamente” (vedi Fides 17/6/2019).
In questa chiave molto probabilmente devono essere letti alcuni degli omicidi, come quello di Don David Tanko, ucciso da uomini armati mentre era sulla strada per il villaggio di Takum, in Nigeria, dove stava recandosi a mediare un accordo di pace tra due etnie locali in conflitto da decenni, o il barbaro assassinio di un’anziana suora, nella Repubblica Centrafricana, Suor Ines Nieves Sancho, che da decenni continuava ad insegnare alle ragazze a cucire e ad apprendere un mestiere, o ancora la vicenda
di Fratel Paul McAuley, trovato senza vita nella Comunità studentesca "La Salle", a Iquitos, dipartimento della foresta peruviana, dove si dedicava all’istruzione dei giovani indigeni. Come tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici uccisi, portavano nella vita quotidiana delle persone con cui vivevano, la testimonianza evangelica di amore e di servizio, cercando di alleviare le sofferenze dei più deboli e alzando la voce in difesa dei loro diritti calpestati, denunciando il male e l’ingiustizia, aprendo il cuore alla speranza.
I missionari uccisi che raggiungono il riconoscimento del loro martirio da parte della Chiesa costituiscono quasi la punta dell’icebeg di questo calvario contemporaneo. Nell’anno 2019 ricordiamo: Mons. Enrique Ángel Angelelli, Vescovo di La Rioja (Argentina), Carlos de Dios Murias, francescano conventuale, Gabriel Longueville, sacerdote missionario fidei donum, e il catechista Wenceslao Pedernera, padre di famiglia, insultati e perseguitati a causa di Gesù e della giustizia evangelica, che sono stati beatificati il 27 aprile 2019. "Furono assassinati nel 1976, durante il periodo della dittatura militare, caratterizzato da un clima politico e sociale incandescente, che aveva anche chiari aspetti di persecuzione religiosa" ha sottolineato il Cardinale Angelo Becciu nell’omelia della beatificazione, ricordando che si impegnarono in un'azione pastorale “aperta alle nuove sfide pastorali, alla promozione degli strati più deboli, alla difesa della loro dignità e alla formazione delle coscienze,
nel quadro della Dottrina sociale della Chiesa”.
Alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale del Mese Missionario Straordinario, il 19 ottobre, nella Cattedrale di Crema, è stato beatificato l missionario del Pime, padre Alfredo Cremonesi, ucciso in odio alla fede il 7 febbraio 1953, in Myanmar (Birmania) dove aveva trascorso 28 anni di missione. “Fu proprio la sua carità – ha sottolineato il Cardinale Becciu – a portarlo a offrire la vita per difendere la sua gente. Il beato Alfredo Cremonesi è una bella figura di vita sacerdotale e religiosa, un missionario
che ha consumato la sua esistenza nel dono della propria vita. Interamente dedito a Dio e alla missione evangelizzatrice, era del tutto distaccato da se stesso: la sua esistenza era donata alla sua gente, della quale aveva voluto condividere la condizione di povertà, rinunciando a ogni pur minimo privilegio”.
“Un martire, eccellente educatore e difensore evangelico dei poveri e degli oppressi, che si è fatto uno di noi e per noi ha dato la vita” è stato, nelle parole del Cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán, Vescovo di David, lo statunitense fratel James Alfred Miller, dei Fratelli delle Scuole Cristiane (FSC, Lasalliani), durante la celebrazioni di beatificazione che ha presieduto il 7 dicembre, a Huehuetenango, in Guatemala, nel luogo del suo martirio, avvenuto nel 1982: la Casa Indígena La Salle, una scuola per
soli nativi delle zone rurali, molto povere, di cui era Vicedirettore ed in cui è stato sepolto.
P. Emilio Moscoso Cardenas, gesuita, primo martire dell’Ecuador, venne assassinato il 4 maggio 1897, durante la Rivoluzione Liberale con forti connotazioni anticlericali che sconvolse l’Ecuador a quell’epoca. “La sua vita virtuosa e la sua morte eroica incoraggiano ciascuno di noi a portare con entusiasmo la luce del Vangelo ai nostri contemporanei, così come ha fatto lui. La sua testimonianza è attuale e ci offre un significativo messaggio: non ci si improvvisa martiri, il martirio è frutto di una fede radicata in Dio e vissuta giorno per giorno; la fede richiede coerenza, coraggio e intensa capacità di amare Dio e il prossimo, con il dono di se stessi” ha detto il Cardinale Angelo Becciu, durante la beatificazione che ha presieduto il 16 novembre a Riobamba.
L’Arcivescovo di Rouen, Mons. Dominique Lebrun, il 9 marzo ha concluso la fase diocesana della causa di beatificazione di Don Jacques Hamel, che venne ucciso la mattina del 26 luglio 2016 mentre stava celebrando la Messa nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, in Normandia, da due uomini militanti del sedicente Stato islamico, che lo sgozzarono sull’altare.
Il 23 marzo presso il Centro Catechistico di Guiúa, diocesi di Inhambane (Mozambico), si è conclusa la fase diocesana del processo di Beatificazione di un gruppo di catechisti laici mozambicani e delle loro famiglie, uccisi in odio alla fede il 22 marzo 1992, mentre stavano partecipando ad un corso di formazione in questo Centro Catechistico diocesano, gestito dai Missionari della Consolata (IMC). Nella notte i guerriglieri della Renamo assalirono il dormitorio e presero uomini, donne e bambini, allo
scopo di avere informazioni sui loro avversari del Frelimo, cosa che ovviamente non ottennero e che quindi scatenò la loro ferocia. I ribelli condussero le famiglie lontano dal Centro, a circa tre chilometri, e dopo un doloroso interrogatorio cominciarono a uccidere tutti in una radura. Altri catechisti, vedendo la situazione ormai critica e irreversibile, chiesero di poter pregare. Dopo pochi minuti di preghiera, i 23 catechisti furono uccisi.
Il 21 giugno, nella Cattedrale di Bururi, si è aperta la prima Causa di canonizzazione nella storia della Chiesa del Burundi. Riguarda due missionari saveriani italiani, Padre Ottorino Maule e padre Aldo Marchiol, che insieme alla volontaria laica Catina Gubert, vennero uccisi nella parrocchia di Buyengero il 30 settembre 1995; l’abbè Michel Kayoya, a cui è intitolata la causa, ucciso il 17 maggio 1972 a Gitega, e quaranta seminaristi uccisi il 30 aprile 1997 nel seminario di Buta. “Questi fratelli e questa sorella in Cristo, sono gli eroi che noi, Vescovi del Burundi, presentiamo come un unico modello ispiratore dell’amore per la fraternità. E’ il primo gruppo di probabili martiri che presentiamo alla Chiesa universale, perché siano dichiarati ufficialmente martiri e vengano indicati a noi tutti come modelli di fraternità nella vita cristiana e anche in tutta la nostra società burundese” hanno scritto i Vescovi per la circostanza.
In Zimbabwe ha preso il via il 5 settembre la causa di beatificazione di John Bradburne, missionario laico, francescano secolare di nazionalità britannica, che ha dato la sua testimonianza di fede in mezzo ai lebbrosi di Mutemwa. "La colonia era sporca e la gente era sporca - ricorda chi lo ha conosciuto -. Non c’erano medicine, niente vestiti e la gente aveva fame. Lui si prese cura dei bisogni di tutti: nutrire le persone, lavarle e fasciare le loro piaghe". Nel 1979 si accesero delle polemiche con gli abitanti del
villaggio vicino. Bradburne si offrì di mediare, ma gli abitanti del villaggio lo accusarono di essere una spia, perché aveva difeso i lebbrosi. Dopo essersi rifiutato di lasciare lo Zimbabwe per motivi di sicurezza, venne preso e ucciso lungo la strada dagli abitanti del villaggio.
Anche di fronte a situazioni di pericolo per la propria incolumità, ai richiami delle autorità civili o dei propri superiori religiosi, i missionari rimangono al proprio posto, consapevoli dei rischi che corrono, per essere fedeli agli impegni assunti e rimanere accanto alla gente che condivide gli stessi rischi. Risulta quasi impossibile compilare un elenco di vescovi, sacerdoti, suore, operatori pastorali, semplici cattolici, che vengono aggrediti, malmenati, derubati, minacciati solo a motivo della loro fede. Come è
impossibile censire le strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, senza distinzione di fede o di etnia, come scuole, ospedali, centri di accoglienza, che sono assaliti, vandalizzati o saccheggiati. Particolare dolore provocano poi le chiese profanate o incendiate, le statue e le immagini sacre distrutte, i fedeli aggrediti mentre sono raccolti in preghiera. Si è ormai diffuso in diversi continenti il sequestro di sacerdoti e suore: alcuni si sono conclusi in modo tragico, come si evince anche dall’elenco dei missionari uccisi, altri con la liberazione degli ostaggi, altri ancora con il silenzio. In Nigeria sono aumentati i rapimenti a scopo estorsivo di preti e religiosi, la maggior parte vengono liberati dopo pochi giorni, in alcuni casi però con conseguenze devastanti per la loro salute fisica e psichica. Analogo fenomeno è frequente anche in America Latina.
Tra i rappresentanti di questo gruppo citiamo il gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio, rapito il 29 luglio 2013 a Raqqa, in Siria, su cui si sono rincorse in questi anni tante voci, senza nessuna conferma. Il suo rapimento non è mai stato rivendicato. La missionaria colombiana suor Gloria Cecilia Narvaez Argoty, rapita l'8 febbraio 2017 nel villaggio di Karangasso, in Mali, dal gruppo Al Qaeda del Mali. E’ ancora nelle mani dei suoi sequestratori padre Pierluigi Maccalli, della Società delle Missioni Africane (SMA), che nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2018, è stato rapito in Niger, nella missione di Bamoanga.
Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo. Come ha ricordato Papa Francesco l’11 dicembre, “il martirio è l’aria della vita di un cristiano, di una comunità cristiana. Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù”.