La diminuzione dei cristiani è un pericolo per il Medio Oriente
di Gianni Valente *
“Sarebbe bene che i cristiani facessero più figli”, dice il professor Hussein Rahhal (Hezbollah), docente di ingegneria e membro del Consiglio dell’Università Libanese
La diminuzione dei cristiani in Medio Oriente è un fenomeno che desta “preoccupazione”. Questo vale anche per il Libano, dove l’assottigliarsi della componente cristiana mette a rischio anche la tenuta di un sistema politico e di una convivenza sociale fondata sulla compresenza e sull’equilibrio delle diverse comunità di fede. Lo dichiara all’Agenzia Fides il professor Hussein Rahhal, docente di ingegneria e membro del Consiglio dell’Università Libanese, che è stato anche a capo del Cyber and Media Unit del Partito sciita Hezbollah. L’intervista è stata raccolta da Fides nel corso di un viaggio in Libano realizzato grazie all’Opera Romana Pellegrinaggi. Riguardo alla nascita e al ruolo giocato da Hezbollah nello scenario mediorientale, l'esponente del "Partito di Dio" ricorda che la occupazione del sud del Libano da parte di Israele "aveva messo in evidenza la incapacità di risposta da parte del governo e anche dei partiti di sinistra. Hezbollah è comparsa nella politica libanese in quel contesto: abbiamo capito che bisognava agire, se non volevamo condividere la sorte dei profughi palestinesi nelle nostre stesse terre. E un altro fattore di lungo corso che certo ha contribuito alla sua emersione è stata la rinascita della identità sciita, rappresentata dalla figura dell’imam libanese Moussa Sadr (il fondatore del Movimento dei diseredati, misteriosamente scomparso nel 1978, ndr).
Il sistema istituzionale libanese, fondato sulla divisione degli incarichi istituzionali e della rappresentanza parlamentare in base alle appartenenze religiose, non viene percepito dal rappresentante di Hezbollah come una gabbia rigida per la loro esperienza politica. Ma rimane aperta la domanda se tale sistema sarà in grado di reggere davanti a eventuali mutazioni degli equilibri demografici. “Al momento” sostiene Hussein Rahhal, rimarcando il paradosso libanese “tale suddivisione degli incarichi su base confessionale garantisce un sistema ‘secolare’, che tranquillizza tutte le componenti della popolazione. Se noi sciiti fossimo il 95 per cento della popolazione, non so cosa succederebbe. Non so se faremmo come in Iran. So solo che il Libano non è l’Iran. E se noi fossimo il 95 per cento, il Libano non sarebbe più il Libano. Sarebbe un’altra cosa”. In questo senso – sottolinea il rappresentante di Hezbollah – l’accettazione del sistema libanese da parte degli sciiti non è solo una scelta tattica temporanea. E l’asse tra Hezbollah e il Movimento Patriottico Libero - il Partito fondato dal Presidente Michel Aoun – non è secondo soltanto un’intesa politica: “Sentiamo vicini i nostri concittadini cristiani. E l’intesa con Il Movimento Patriottico Libero rappresenta anche un impegno etico. La guerra aveva frantumato il rapporto tra cristiani e musulmani. Ma già durante la guerra civile, in alcune situazioni, noi sciiti facevamo passare viveri e beni lungo le linee di demarcazione per farli arrivare a gruppi cristiani sotto assedio.Nel 2006, quando Israele ha bombardato il sud, tutti gli sciiti sono scappati verso zone abitate da cristiani e sono stati accolti, per
poi tornare alle proprie case quando la situazione si era calmata. E di recente, nella valle della Bekaa, abbiamo respinto i tentativi di infiltrazione dei jihadisti provenienti dalla Siria collaborando anche con formazioni cristiane che sono a noi avverse dal punto di vista politico, come le Forze Libanesi”.
Il rappresentante di Hezbollah ricorda che la prossimità tra sciiti e cristiani in Libano ha radici antiche: “durante gli ultimi 200 anni di dominazione ottomana” Spiega a Fides il professor Hussein Rahhal “gli sciiti avevano vissuto una forte regressione dal punto di vista sociale. E da sempre le famiglie sciite preferivano mandare i loro figli nelle scuole tenute dai cristiani. In molti villaggi, cristiani e sciiti vivono insieme, “e ci sono sacerdoti stimati come santi dalla popolazione sciita, che vengono accolti anche nelle moschee a parlare di Gesù e della Vergine Maria”.
Riguardo al coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto siriano, e del suo impegno contro il sedicente Stato Islamico (Daesh) e le altre milizie jihadiste, Hussein ammette che per gli sciiti libanesi la tenuta della Siria “rappresentava un interesse strategico primario: cosa ne sarebbe stato del Libano – aggiunge il professore di Hezbollah – se in Siria si fosse insediato un regime jihadista, anti- sciita e anti-cristiano? Ciò avrebbe messo in discussione la nostra stessa, elementare sopravvivenza”. Hussein Rahhal riconosce che il potere di Assad “ha un problema con la democrazia”, ma aggiunge che “quando è in gioco la propria esistenza, le questioni relative al
sistema politico diventano secondarie”. A suo giudizio, anche adesso i nemici di Assad puntano a spartire la Siria e non hanno alcuna intenzione di appoggiare processi di transizione e una soluzione politica interna che preservi l’integrità territoriale nazionale siriana. “E comunque – aggiunge il professore - appare poco credibile che Paesi come l’Arabia Saudita possano chiedere ad Assad di farsi da parte in nome della democrazia”.
"Gli statunitensi” ha dichiarato di recente il ministro degli esteri libanese Bassil Gebran “ci chiedono cose che non possiamo fare e su cui siamo in disaccordo. C'è un disaccordo tra noi e Washington su Hezbollah: loro lo considerano terrorista, mentre noi no”. Anche per l’esponente di Hezbollah i rifugiati siriani presenti in Libano devono far ritorno nella propria Patria quanto prima, se non si vuole mettere a rischio la tenuta del sistema politico e sociale libanese. Ma il professore riconosce anche che tanti profughi, destinatari dei sussidi e del sostegno dell’Onu, adesso stanno meglio in Libano di quanto starebbero in Siria. Hussein Rahhal elogia la modalità di intervento sperimentata da organismi tedeschi, che hanno offerto sostegno economico per un anno a nuclei familiari di rifugiati siriani rimpatriati. “Anche i sunniti libanesi” annota il professore sciita “sperano che i rifugiati siriani appartenenti alla loro stessa confessione religiosa ritornino in Siria, perché qui diventa sempre più difficile trovare lavoro”.
Interpellato da Fides riguardo al Documento sulla Fratellanza umanba, firmato a Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar, l’esponente riconosce che si tratta di un testo importante, come “punto di partenza”, ma aggiunge che a suo giudizio “l’influenza del Grande Imam è diminuita anche a vantaggio di predicatori salafiti”, e consiglia il Vaticano di aprire o potenziare contatti anche con altre realtà e istituzioni musulmane, come i Fratelli Musulmani o le Università sciite di Najaf (Iraq) e di Qom (Iran). In ogni caso” aggiunge il professor Hussein Rahhal “gli interventi del Papa e della Santa Sede a favore dei palestinesi, della pace e dalla giustizia, o riguardo alle emergenze umanitarie conferiscono di per sé una grande autorevolezza alla voce della Chiesa cattolica, la Chiesa di Cristo. Anche agli occhi dei musulmani. E possiamo essere uniti anche nella tutela della famiglia e nella difesa della vita, per preservare le nostre società dalla cultura co consumista”.
* nota sull'autore
Redattore dell'Agenzia Fides