Il mese missionario straordinario: un kairòs per la Chiesa
di Fabrizio Meroni
Il Mese Missionario Straordinario Ottobre 2019 dal tema: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo” è stato indetto da Papa Francesco il 22 ottobre 2017. L’intervento del Segretario generale della Pontificia Unione Missionaria. P. Fabrizio Meroni, Pime, al 29° Simposio di Missionologia Promosso a Burgos dalla Facoltà di teologia del nord della Spagna, sul tema “L’interpellanza missionaria di Papa Francesco”
Cercherò di offrire una riflessione a partire dalla mia esperienza cristiana di credente, di prete, di missionario, di teologo e di formatore. Le ricche e stimolanti esperienze ecclesiali di comunità cristiane, soprattutto di Africa, Asia e Oceania, finora visitate, oltre al mio personale impegno apostolico di formazione e di insegnamento in Brasile (Amazzonia), in Cambogia e negli Stati Uniti mi permettono di poter condividere con voi alcune riflessioni in preparazione del Mese Missionario Straordinario Ottobre 2019 dal tema “Battezzati ed inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo” (www.october2019.va). Il MMS si presenta dunque come un vero kairòs per una diagnosi positivamente propositiva la cui insistenza centrale è la conversione missionaria della propria fede e della compagine ecclesiale.
Anzitutto una questione di fondamento teologico. La certezza che la missione non solo rappresenti la natura propria della Chiesa (cfr. Ad Gentes, 2), ma ne sia l’origine, il fine e la vita, ci impone di ripensare la sua radice trinitaria e la sua origine cristologica e pneumatologica affinché Dio Padre sia glorificato e la sua creazione abbia vita. Le relazioni intratrinitarie (processioni e missioni) stabiliscono lo spazio teologico dove collocare la Chiesa dalla creazione in Gesù Cristo, mediante la redenzione della Pasqua aperta al suo compimento escatologico. La missione fa la Chiesa perché la rende ben più di uno strumento per la salvezza. La costituisce come comunità di salvati perché vera famiglia di Dio, figli e figlie nell’unico Figlio, forma escatologica dell’intera creazione (Pasqua, battesimo ed eucaristia). La Chiesa, sacramento universale di salvezza (cfr. Lumen Gentium, 1, 9, 48; Ad Gentes, 1; Gaudium et Spes, 45), è ben più di un mezzo o di un segno da superare. La Chiesa è rivelazione soteriologica della Verità piena circa il mondo, circa la nostra umanità in Dio. “La missione non risponde in primo luogo ad iniziative umane; protagonista è lo Spirito Santo, suo è il progetto (cfr. Redemptoris Missio, 21). E la Chiesa è serva della missione. Non è la Chiesa che fa la missione, ma è la missione che fa la Chiesa. Perciò, la missione non è lo strumento, ma il punto di partenza e il fine” (Papa Francesco, Discorso ai Partecipanti alla Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Vaticano, 3 dicembre 2015). La missione della Chiesa deve quindi essere intesa come efficace partecipazione storica e sacramentale alle missioni che Dio Padre affida al Figlio e allo Spirito Santo nel mondo.
La Chiesa è per natura missionaria perché nasce ed è fondata nella Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. La croce, la vita storica e risorta di Gesù di Nazareth, l’effusione dello Spirito a Pentecoste fondano la Chiesa in permanente stato di missione, caratterizzando così la sua intrinseca natura di spazio della salvezza e tempo della riconciliazione con Dio, collocato dentro la storia e il mondo. Il mandato missionario (cfr. Gv. 20, 19-23; Mt 28,19; At 1,6-8) ne esplicita la dimensione universale (fare discepoli tutti i popoli), la chiamata a partecipare della Pasqua di Gesù Cristo nel battesimo (cfr. Rm 6, Mc 10, 35-45) e la sua permanenza nel tempo e nello spazio geografico fino agli estremi confini della terra, senza mai sostituire il suo Fondatore e Signore Gesù Cristo: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
La missio ad gentes è la forma originale, il paradigma e il modello che configura tutta la missione evangelizzatrice della Chiesa perché esprime il primo annuncio del Vangelo e la trasformazione sacramentale del mondo, facendo di tutti i popoli dei discepoli missionari del Signore Gesù. La specificità della missio ad gentes all’interno della missione evangelizzatrice della Chiesa si trova nella sua peculiare relazione con il non ancora avvenuto incontro personale con Gesù Cristo e il suo Vangelo, con l’assenza di una fede cristiana capace di generare culture nuove, con donne e uomini le cui religioni e i cui popoli ancora anelano alla salvezza dal peccato e dalla morte nel qui e ora della storia umana. Conoscere Cristo o non conoscerlo, essere battezzati o non esserlo, abbracciare la fede cristiana e appartenere alla Chiesa, vivere il Vangelo della riconciliazione e sperimentare il perdono di Dio o meno, fanno la vera differenza. La missione, la conversione, il battesimo, la fede, l’amore rappresentano la volontà del Signore Gesù rispetto alla sua Chiesa. La missione di Gesù, cuore e motivazione della missione della Chiesa, è vera comunicazione di vita divina, di vita eterna, di vita di figlie e figli da sempre amati da colui che ci ha creati e ci è Padre in Cristo. Dare la vita di Dio Padre, offrire la vita dello Spirito Santo, sacrificarsi per la vita in Cristo rappresenta l’origine e la finalità della missione, dalla sua forma originale della missio ad gentes fino al suo compimento nella Gerusalemme del cielo, dimora di Dio tra gli uomini (cfr. Ap 21).
La missio ad gentes, come primo annuncio a persone, luoghi e popoli non ancora trasfigurati dalla Pasqua di Gesù, qualifica l’evangelizzazione della Chiesa guidata dallo Spirito Santo nel suo compito irrinunciabile di penetrare, convertire e trasfigurare il mondo fino agli estremi confini della terra, affinché tutti possiamo essere salvi. La missio ad gentes si rivolge a coloro che non sono storicamente segnati dal sacramento del battesimo, non partecipano ancora della fede cristiana e non appartengono ora e adesso alla Chiesa di Gesù Cristo, famiglia di Dio pellegrina nella storia. Il non riuscire a definire in altri modi, la mancanza di uno strumentario anche linguistico per poter evitare il negativo terminologico (non-cristiani) ci impone l’evidenza che rispetto a Gesù Cristo tutto ciò e coloro che non gli sono esplicitamente e sacramentalmente riferiti (ossia coloro che ancora non sono cristiani per battesimo, fede e Chiesa) sono originariamente, intrinsecamente e ontologicamente a lui orientati per creazione in Cristo (Lumen Gentium 13-17). La missio ad gentes partecipa e manifesta il flusso ininterrotto della forza di attrazione pneumatologica che l’Amore divino fin dalla creazione sprigiona nella Pasqua (cfr. Gv 8,28-29; 12,32-33), suo culmine rivelativo e salvifico. I “non-cristiani” sono ordinati al Popolo di Dio da sempre (cfr. LG 16) e si salvano grazie, solo e unicamente, alla Pasqua di Gesù Cristo nei modi conosciuti solo a Dio (cfr. Gaudium et Spes 22).
La missio ad gentes corrisponde, sebbene non si riduca ad esso, al bisogno naturale iscritto nel cuore di ogni uomo di essere salvo, ossia di sperimentare la pienezza della vita nella vittoria sul peccato, sulla malattia e sulla morte. Nella missio ad gentes la Chiesa è condotta dalla salvezza di Gesù verso un mondo che lo stesso Dio salvatore aveva già creato e costituito per essere salvato nel suo Figlio Gesù. Nell’annuncio, nei sacramenti e nell’amore propri della missio ad gentes i destinatari, così come i missionari, sono tutti bisognosi della salvezza di Gesù Cristo, come compimento dell’originale progetto di umanità e di vita in pienezza iniziato nella creazione e sempre attivo nel corso del cammino verso l’eternità. Tutta la creazione, nella centrale mediazione antropologica della vita intelligente, corporea e libera dell’uomo e della donna, chiede l’eternità della vita di Dio.
Conosciuta è l’insistenza magisteriale e parenetica del Santo Padre Papa Francesco riguardo alla missione, insistenza comunicata nelle sue espressioni pastorali quali “Chiesa in uscita”, “Chiesa ospedale da campo”, “Chiesa Santo Popolo Fedele di Dio”. Evangelii Gaudium 15 afferma che la missione deve diventare il paradigma della vita e dell’operare ordinario della Chiesa. Si richiede un’autentica conversione missionaria dei discepoli di Gesù, delle strutture della comunità ecclesiale (cfr. Evangelii Gaudium, 25, 27) come permanente stato di intima comunione missionaria con Cristo, di incontro personale con Gesù vivo nella sua Chiesa. Citando San Giovanni Paolo II, Papa Francesco ci dice che “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria»” (Evangelii Gaudium, 23). La missione di Gesù posta nel cuore della Chiesa diviene dunque il criterio di discernimento spirituale per valutare l’efficacia delle sue strutture pastorali, i risultati del suo lavoro apostolico, la fecondità dei suoi ministri e la gioia che siamo capaci di comunicare, perché senza gioia non siamo in grado di attrarre nessuno (cfr. Papa Francesco, Incontro con il Comitato Direttivo del CELAM, Bogotà, 7 settembre 2017).
Tale insistenza esortativa del magistero pontificio sulla missione evidenzia paradossalmente una profonda crisi del sentire ecclesiale circa la missione stessa, e in modo particolare in relazione alla missio ad gentes. È diffusa tra i battezzati, fedeli e pastori, una certa stanchezza missionaria per cui l’autoreferenzialità ecclesiale di certe Chiese locali si nasconde dietro presunte forme di inculturazione. Anche l’introversione burocratico-clericale dell’attività amministrativa pastorale sembra strutturare la sopravvivenza di molte istituzioni e di alcuni cristiani dediti alla manutenzione dell’esistente, secondo il criterio del “si è sempre fatto così” (cfr. Evangelii Gaudium, 33). L’irrilevanza sociale e culturale dei cristiani, insieme alla deriva del bisogno di essere accettati e percepiti come commercialmente attraenti nell’era tecnologico-affettiva, ci impone una sorta di omologazione mondana e mediatica, che scatena una forte tentazione centripeta. Sembriamo più preoccupati di rinnovare il vecchio che non di rinascere dall’alto nella novità pasquale: il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi, perché distruggerebbe quelli vecchi (cfr. Mt 9,17).
Siamo molto tentati dal ridurre la missione a una giustapposizione aggettivale a strutture già esistenti e forse caduche, piuttosto che avere il coraggio apostolico e l’audacia necessari per lasciarci ricreare e riformare con nuove modalità di presenza e testimonianza cristiana (cfr. Gaudete et Exsultate, 130-132). Se la crisi della missione è crisi di fede (Redemptoris Missio 2), la maturità della fede della Chiesa si manifesta coraggiosamente nella sua missione di attrarre tutti e tutto a Cristo ben sapendo che tutto gli appartiene fin dalla creazione. Se il dramma dei nostri tempi consiste nella rottura tra Vangelo e cultura, come ci ricordava Papa San Paolo VI (cfr. Evangelii Nuntiandi 20), la crisi della missione indica l’incapacità ecclesiale di scorgere nel mandato missionario pasquale di Gesù le implicazioni antropologiche, i nessi culturali e le aperture universali ed escatologiche dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza della fede cristiana. “A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. Quando si riesce ad esprimere adeguatamente e con bellezza il contenuto essenziale del Vangelo, sicuramente quel messaggio risponderà alle domande più profonde dei cuori: «Il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa»” (Evangelii Gaudium, 265).
Mi pare si possano evidenziare alcuni punti essenziali per un’azione positiva di vita ecclesiale con riferimento anzitutto all’esperienza della fede e, dunque, alla sua intelligenza teologica e alla sua pratica pastorale affinché la missione diventi la forma esistenziale del battezzato. La missio ad gentes, come mandato divino della Chiesa ad andare verso tutti i popoli fino agli estremi confini della terra (cfr. Ad Gentes, 1), rimane il movimento dell’amore di Dio che invita, invia, convoca e attrae, movimento d’amore che misura e rivela l’autenticità missionaria della vita e dell’agire ecclesiale. Quattro mi sembrano le questioni cruciali per un rinnovo della coscienza, dell’ardore e della responsabilità missionaria.
Anzitutto bisogna ritrovare il nesso intrinseco tra missione e salvezza cristiana (cfr. Ad Gentes, 7). Discepoli missionari inviati e destinatari, chiese partenti e soggetti riceventi, culture e esperienze religiose non segnate dal Vangelo di Gesù, i cui membri desiderano pienezza di vita, esigono conversione ed esigono di essere ripensati alla luce del bisogno universale di salvezza dal peccato e dalla morte. Il Mistero Pasquale e la missione storica di Gesù evidenziano come il bisogno di amore, il bisogno di salvezza dal male e dalla morte, dal peccato e dal dolore, dall’odio e dalla divisione, sia costitutivo dell’uomo che, per creazione in Cristo, anela alla figliolanza divina. L’interesse per il dialogo, per la convivenza pacifica, per la giustizia sociale ed economica, per l’ecologia (e non l’ecologismo) e per l’alterità (e non il gender), deve profondamente riqualificarsi e ristrutturarsi sull’offerta sovrabbondante di salvezza il cui cuore è il Mistero Pasquale (cfr. Gaudium et Spes, 22). Siamo chiamati a radicarci più consapevolmente nell’unicità salvifica universale del Salvatore Gesù Cristo, nella missione soteriologica della Chiesa dentro le sfide teologiche delle religioni e all’interno del nuovo contesto mondiale tecnologico digitale. Essere preoccupati della salvezza operata da Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, significa essere interessati a che tutti abbiamo vita, l’abbiamo in abbondanza e l’abbiamo per sempre. Non ci è stato consegnato un prodotto da vendere, ma una vita da comunicare: quella di Dio, frutto del suo amore che riconcilia, che è pienezza eterna della vita umana. La salvezza e la vita eterna, la croce e il sacrificio oblativo risultano un poco assenti da certe preoccupazioni pastorali e missionarie troppo consumate sul presente, sull’autogratificazione dei numeri e dell’esagerata esposizione mediatica. L’insistenza di Papa Francesco sulla santità nel mondo contemporaneo, con l’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate (19 marzo 2018) e il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, approvato dal Santo Padre, Placuit Deo (1 marzo 2018), richiamano insistentemente il problema della salvezza in Gesù Cristo, per grazia divina, come esperienza di vita nuova, di conversione dal peccato, di vittoria sulla morte, di vita eterna. La Chiesa pellegrina, la sua purificazione e la sua gloria sono esperienze di comunione dei salvati, dei santi nella famiglia degli amici di Dio.
La conversione a Cristo nella fede, la celebrazione del battesimo e la convocazione ad entrare nella Chiesa e la sua edificazione sono dimensioni sempre attuali e autentiche dell’univa missione della Chiesa nella sua originale e originaria forma di missio ad gentes. La pazienza provvidenziale di Dio, l’audacia e il coraggio della fede dell’apostolo, il contesto storico e geografico, il rispetto autentico della libertà religiosa, suggeriscono i tempi e le modalità affinché la conversione a Cristo delle persone e dei popoli in dialogo con le loro culture e religioni possa ancora oggi avvenire. I cristiani che mancano di questa certezza soteriologica rivelativa dell’avvenimento cristiano risultano poco trasfigurati dall’incontro personale con Gesù Cristo perché per nulla convinti che il Signore morto e risorto risponda alle necessità più elementari delle persone (l’amore e il lavoro), alle domande più profonde del nostro cuore (la vita eterna). Ripetiamo con forza che “l’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa»” (Evangelii Gaudium, 265).
Un secondo elemento che mi pare cruciale per un vero rinnovamento della Chiesa in stato permanente di missione è la necessità di recuperare nella fede il rapporto con il mondo (cfr. Gaudium et Spes) che include ciascuno di noi, il mondo che ci circonda, il mondo della materia, del corpo e delle cose, il mondo del tempo e dello spazio, delle culture e delle religioni. Dobbiamo imparare da Dio che, per salvare il mondo, lo ama fin dalla creazione e ci offre la sua vita divina nel Figlio inviato e sacrificato per noi. Dio amò così tanto il mondo da mandare suo Figlio affinché avessimo vita piena, ci dice San Giovanni nel suo Vangelo (cfr. Gv 3,16; 10,10). Dio, ricco di misericordia, ci ha amati ancora peccatori, mondani ed edonisti: per noi ha sacrificato il suo Figlio nella cui grazia per fede siamo salvi noi e il mondo (cfr. Ef 2,1-10; Rm 5,1-11). “Infatti, per poter collaborare alla salvezza del mondo, bisogna amarlo (cfr. Gv 3,16) ed essere disposti a dare la vita servendo Cristo, unico Salvatore del mondo. Noi non abbiamo un prodotto da vendere – non c’entra qui il proselitismo, non abbiamo un prodotto da vendere –, ma una vita da comunicare: Dio, la sua vita divina, il suo amore misericordioso, la sua santità! Ed è lo Spirito Santo che ci invia, ci accompagna, ci ispira: è Lui l’autore della missione. È Lui che porta avanti la Chiesa, non noi” (Papa Francesco, Discorso ai Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, Vaticano, 1 giugno 2018). Vendere un prodotto per scopi religiosi di lucro o di aumento del numero di adepti, manipolare la libertà delle persone nei loro più profondi bisogni materiali e spirituali di salvezza, aggregare a ideologie e opinioni religiose è proselitismo.
La missio ad gentes, per riqualificare evangelicamente la Chiesa, esige una ripresa sostanziale della centralità battesimale dei fedeli laici e della loro secolarità, del loro essere ordinariamente nel mondo. La testimonianza cristiana riqualifica la missione del battesimo grazie alla santità nel mondo. La testimonianza cristiana trova, nella fede ecclesiale dei discepoli di Gesù e nella loro competenza professionale (il lavoro), l’articolazione e l’efficacia dell’essere posti nel mondo pur non essendo del mondo né provenendo dal mondo. Il fedele battezzato laico, in virtù della comune esperienza dell’amore coniugale che genera vita e famiglia, insieme al suo radicale attaccamento al mondo e alla sua trasformazione, grazie alla sua attività lavorativa, esige di essere collocato al centro della preoccupazione pastorale dell’annuncio, della vita liturgica, della formazione catechetica e della carità comunitaria. Nella sua Lettera al Cardinal Marc Ouellet (19 marzo 2016) Papa Francesco ribadisce con forza: “Guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, (i fedeli) «vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo» (Lumen Gentium, 10). La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare”.
Ci serve qui ricordare, seguendo l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici 59, che “una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non interamente pensata non fedelmente vissuta»”. La tentazione di ridurre la Chiesa al suo elemento clericale e a una certa pastorale clericalizzante, l’aver sminuito l’amore umano tra l’uomo e la donna a semplice attività pastorale di discutibile preparazione al matrimonio e alla sua celebrazione canonico-rituale, l’indifferenza verso il mondo del lavoro, la professione e la trasformazione del mondo, l’abbandono dell’interesse educativo verso la scuola richiedono un radicale rinnovamento dei contenuti sui quali ci viene chiesto di impegnare il nostro battesimo e la nostra fede. Ritengo che l’esperienza umana elementare dell’amore coniugale tra uomo e donna possa rappresentare il luogo della salvezza per tutti [Cfr. F. Meroni, Christ’s Salvation, Church and Other Religions in Light of Vatican II, in F. MERONI (ed.), Mission Makes the Church, Aracne, Roma, 2017, pp. 195-225.
Cfr. F. Meroni, Il mistero nuziale e le sfide del gender. Uomo e donna: è ancora possibile?, Cantagalli, Siena, 2015], rispettando l’essenziale necessità dogmatica della fede cristiana, del battesimo e della Chiesa per essere salvi nella Pasqua di Gesù Cristo (cfr. Lumen Gentium, 14; Ad Gentes, 7; Gaudium et Spes, 22), da un lato, e, dall’altro, l’esigenza evangelica che tutti saremo giudicati sull’amore (cfr. Mt 25).
Se può aver senso parlare di una missio inter gentes, complementare alla sua dimensione ad gentes, mai in contrapposizione o sostituzione, la si dovrebbe intendere come modalità di presenza dinamica di annuncio e conversione di popoli, culture, religioni e persone che si incontrano e si aprono al Vangelo di Gesù e alla sua Chiesa, dentro il mondo. La fede cristiana che penetra questa interculturalità apre orizzonti nuovi, trasforma le relazioni e i popoli, trasfigura la materia, i corpi e il mondo per la gloria di Dio e la vita piena dell’uomo e della donna. Il dialogo tra le persone, le loro culture e le loro religioni e il rispetto imprescindibile della libertà religiosa di ciascuno rappresentano l’orizzonte naturale e necessario del farsi della missione della Chiesa dentro il mondo. La pacifica e ordinata coesistenza di comunità religiose diverse e reciprocamente rispettose le une delle altre deve garantire la libera possibilità della missione, della conversione e dell’appartenenza religiosa e comunitaria. Presenze cristiane significative e creative in luoghi prevalentemente indifferenti od ostili alla fede, dove la testimonianza cristiana convive quotidianamente con la tragedia del martirio di sangue, i movimenti ecclesiali, le nuove associazioni laicali, gli istituti missionari bisognosi di autentico radicale rinnovamento e le nuove forme ecclesiali di vita comunitaria, sono esperienze ecclesiali a cui far riferimento per comprendere la missio ad gentes nel suo riqualificare paradigmaticamente l’intera missionarietà della Chiesa inviata nel mondo, per la salvezza e la trasformazione del mondo. La parrocchia esige nuove forme flessibili di attuazione rispetto a realtà ecclesiali molto più qualificate, penetranti e trasformanti il mondo, quali i movimenti ecclesiali, l’impegno educativo e professionale di laici battezzati impegnati negli ambiti secolari, nuove forme personali e comunitarie di preghiera e formazione alla vita di fede, rinnovate modalità di vita contemplativa.
Un terzo elemento di vitale importanza affinché la missione forgi la natura, la vita e le strutture della Chiesa si trova nella necessità esperienziale e teologica di rifondare e di comprendere meglio la logica sacramentale dell’evento Gesù Cristo, della sua Incarnazione e della sua Pasqua. Limitare la missione ad annuncio e testimonianza dei valori del Regno, significa non solo operare una vera riduzione, ma significa privare la Parola di Dio e il Regno di Dio della concreta realtà storico-escatologica dell’Incarnazione e dell’efficacia salvifica e trasformatrice dell’opera missionaria della Chiesa fondata sulla Pasqua di Gesù. Le beatitudini, il precetto dell’amore e la liberazione dei poveri sono teologicamente concreti e pastoralmente efficaci solo all’interno della reciproca fondazione sacramentale. Ciò che era ben chiaro per il Concilio Ecumenico Vaticano II, ovvero la Chiesa come sacramento universale di salvezza (cfr. Lumen Gentium 1, 9, 48; Ad Gentes 1; Gaudium et Spes 45), la sua necessità radicata sulla necessità della fede teologale e del battesimo per la salvezza di tutti, battezzati e non, pare appannato e sbiadito in alcune riflessioni missionologiche ed ecclesiologiche contemporanee.
Il Battesimo e la Cresima come immersione e identificazione pneumatologica con il Mistero Pasquale, l’Eucaristia come forma comunionale di vera e corporea unità di Dio in Cristo con la nostra umanità nell’ordine del sacrificio e dell’oblazione, il Matrimonio come sacramentale unità di Dio con la sua creatura umana, di Gesù Cristo con la sua Chiesa, la Riconciliazione e l’Unzione degli infermi come vera liberazione dal peccato e ricreazione della vita piena, il Sacramento dell’Ordine come ministero a servizio della forma eucaristica del mondo e dell’umanità redenta, necessitano di essere riscoperti e ripensati nella riflessione teologica e nell’azione pastorale circa la missione. Senza il sacramento, l’amore e la misericordia rimangono vaghe intuizioni di fraternità e di riconciliazione da plasmare su criteri mondani e da impostare assistenzialmente come organizzazioni non governative o ideologiche, come spesso sottolinea Papa Francesco. Solo nel sacramento si comprende il vero senso del mondo, della materia e del corpo che, malato nel peccato, anela alla ricreazione pasquale della vita. Il sacramento attua la contemporaneità della salvezza di Gesù Cristo all’interno delle specifiche implicazioni antropologiche del Mistero cristiano.
Come bene ci ricorda il Papa Emerito Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis: “La dottrina cattolica, infatti, afferma che l’Eucaristia, in quanto sacrificio di Cristo, è anche sacrificio della Chiesa, e quindi dei fedeli. L’insistenza sul sacrificio – «fare sacro» – dice qui tutta la densità esistenziale implicata nella trasformazione della nostra realtà umana afferrata da Cristo (cfr. Fil 3,12). Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto dell’esistenza cristiana trasfigurandola” (Sacramentum Caritatis 70-71). La Chiesa dunque viene ricevuta da Dio e viene vissuta nello Spirito del Signore Risorto come Santo Popolo Fedele di Dio, Corpo e Sposa di Gesù Cristo, Tempio dello Spirito Santo. Trascurare il sacramento come momento sacrificato e risorto della Parola di Dio annunciata e incarnata rischia di escludere una grande parte del lavoro pastorale ordinario di molte comunità cristiane, pastori e missionari, per cui la riflessione sulla missione oggi sembra divenire insignificante. L’articolazione ponderata e saggia di annuncio, sacramento e testimonianza cristiana nella missio ad gentes potrebbe aiutare a rinnovarci e riformare radicalmente in senso missionario tutta la vita e l’attività della Chiesa.
Un quarto elemento, affinché la missio ad gentes ritorni ad interessarci come ardente e appassionata testimonianza pneumatologica della fede cristiana, come annuncio esplicito del kerygma pasquale di Gesù Cristo, come libero invito alla conversione a Gesù nella piena partecipazione sacramentale all’amore divino nella sua Chiesa, mi pare essere la questione riguardante la Verità. Una rinnovata comprensione delle implicazioni circa la Verità contenute nella Rivelazione cristiana si impone con sempre più forza nel contesto di indifferentismo qualunquista sia religioso che culturale. La misericordia che ci salva, il Figlio di Dio fatto carne, crocifisso e risorto, è verità che rivelandosi salva e salvandoci rivela (Dio è Amore, Dio è Luce). Mentre siamo riconciliati dalla Pasqua di Gesù Cristo, l’annuncio kerygmatico e l’insegnamento evangelico di Gesù e degli Apostoli è carico di verità che illumina il vero senso delle realtà create ed increate. La verità salva nell’ordine della creazione redenta in attesa di compimento escatologico. La parola divina pronunciata dal Padre nella carne sacrificata e risorta del Figlio continua a risuonare nella predicazione e nell’insegnamento della sua Chiesa grazie all’azione efficace nella storia e nel mondo dello Spirito di Verità. Nel dialogo con le culture e con le religioni, con l’uomo e la donna nei suoi costrutti sociali e comunitari, ci è richiesto di testimoniare l’intelligenza del Vangelo e della fede, con quella “parresia” che esprime la certezza e la convinzione veritativa di ciò che crediamo, senza che proselitismo, fanatismo e asserzione impositiva ledano la libertà dello Spirito che ci muove alla missione e ledano la libertà di coloro a cui siamo inviati. Gesù salvandoci rivela e rivelandosi salva. La riduzione della fede cristiana ad impegno di liberazione e a generica fraternità universale rischia lo svuotamento della consistenza di annuncio esplicito della Verità sulla realtà totale, sulla sua capacità di illuminare il vero senso delle cose create visibili ed invisibili, il vero bisogno di salvezza dal male e dalla morte. Ciò che riceviamo dalla Tradizione apostolica della fede della Chiesa come Verità che salva e salvezza che rivela, implica una parola di vera conoscenza, di giudizio morale e di impegno sociale nell’annuncio per la conversione e la vita di tutti.
Il Vangelo e i sacramenti ci rivelano il senso vero delle cose e ci introducono alla comprensione sempre più profonda della realtà. L’assoluto della Verità, proprio perché essa è una persona crocifissa e risorta nello Spirito, non è mai imposizione violenta, lesiva della libertà propria e altrui. E’ assoluta nella ricapitolazione della realtà intera, del mondo e dell’uomo-donna. Grazie alla morte come passaggio alla pienezza, proprio di ciascuno e vera esperienza per tutti, la Verità si rivelerà unica per ognuno e assoluta per tutti. La forma autentica dell’assolutezza della verità cristiana si manifesta oggi nella santità di vita come testimonianza cristiana fino al martirio e nella capacità di ragionevolezza e di razionalità aperta, nella sua capacità di offrire una comprensione adeguata e costruttiva del mondo e del suo centro creato, l’amore coniugale dell’uomo e della donna. Solo nella fecondità di questo rapporto si gioca, creaturalmente, il contenuto proprio dell’immagine e somiglianza della creatura verso il suo Creatore, nella declinazione dell’esperienza umana elementare dell’amore. Ogni uomo e ogni donna è, nel suo essere creatura, sempre figlio e figlia. Nell’ordine assoluto del reale, la Verità che si rivela e ci salva è il Figlio primogenito ed unigenito del Padre e Creatore: Gesù Cristo è il perfetto rivelatore del senso della mia contingente figliolanza. La Verità, che annunciamo nella speranza del compimento, a cui partecipiamo nel sacramento della fede e di cui diamo testimonianza nella carità, è assoluta perché riguarda tutti, salva tutti senza obbligare e forzare nessuno alla salvezza. Attrae e non violenta, attrae e fa liberi perché è amore intelligente, sacrificato e che dà vita. Conoscerete la Verità e questa ci fa liberi (cfr. Gv 8,32). Si percepisce il bisogno di una adeguata e convincente riscoperta della relazione tra la Verità rivelata e la conversione nella fede a Gesù Cristo, da una parte, e dall’altra la coscienza e la libertà personale, l’intelligenza e la volontà, la trasformazione culturale e il dialogo interreligioso. Più si tenta di evitare ogni riflessione a riguardo, più incalzante e lacerante si fa la questione e il suo impatto ecclesiale.
In questa prospettiva di urgente bisogno di risveglio missionario, non ci meraviglia la decisione di Papa Francesco, pubblicamente comunicata il 22 ottobre 2017 durante la Giornata Mondiale Missionaria, di voler indire un Mese Missionario Straordinario per l’ottobre 2019. La celebrazione dei 100 anni della Lettera Apostolica Maximum Illud di Papa Benedetto XV diviene per il Santo Padre l’occasione provvidenziale per chiedere a tutta la Chiesa di rinnovarsi e convertirsi sempre più a Cristo, riqualificando evangelicamente la sua missione. Un’opportunità la cui qualità celebrativa di preghiera, di riflessione, di formazione e di carità missionaria rivelerà lo stato di reale interesse e di dimensione missionaria della vita e della fede dei cristiani.
“«Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo». Questo è il tema che Papa Francesco ha scelto per il Mese Missionario Straordinario dell’ottobre 2019. Esso sottolinea che l’invio per la missione è una chiamata insita nel Battesimo ed è di tutti i battezzati. Così la missione è invio per la salvezza che opera la conversione dell’inviato e del destinatario: “la nostra vita è, in Cristo, una missione! Noi stessi siamo missione perché siamo amore di Dio comunicato, siamo santità di Dio creata a sua immagine. La missione è dunque santificazione nostra e del mondo intero, fin dalla creazione (cfr. Ef 1,3-6). La dimensione missionaria del nostro Battesimo si traduce così in testimonianza di santità che dona vita e bellezza al mondo” (Papa Francesco, Discorso ai Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, 1 giugno 2018).
Papa Francesco ha affidato alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e alle Pontificie Opere Missionarie il compito di coordinare a suo nome la preparazione e la celebrazione di questa sua iniziativa missionaria. Il Mese Missionario Straordinario Ottobre 2019 rappresenta una provvidenziale opportunità per riqualificare evangelicamente il nostro servizio alla missione della Chiesa. Non semplice rinnovo del vecchio, ma fedele creatività nella novità dello Spirito di Dio!
Invito tutti a visitare il sito elettronico del MMS OTT2019 (www.october2019.va). La Guida al MMS OTT2019 e tutto ciò che offriamo è inteso a stimolare la creatività di chiunque e delle Chiese locali per risvegliare la propria missionarietà e la propria fede a partire dai propri specifici contesti sociali e culturali.